Per diciannove secoli Aenaria era stata solo una leggenda. Nella baia dominata dal Castello Aragonese nessuno aveva mai trovato tracce della mitica città romana che aveva trasmesso il suo nome all’intera isola.
Fino all’estate del 1973, quando due amici, durante un’immersione tra gli Scogli di Sant’Anna, ripescarono un blocchetto di galena. Altre ricerche riportarono alla luce reperti in grado di testimoniare una città sommersa, precipitosamente abbandonata dagli abitanti tra il 130 e il 150 d.C., prima di essere inesorabilmente inghiottita dal mare.
Al di sotto delle alte piante acquatiche e dello strato di sabbia, a circa sette metri di profondità furono recuperati molti oggetti di terracotta di uso quotidiano, riconducibili ad un periodo tra il III secolo a.C e il I d.C. Molti di fattura locale, altri delle più diverse provenienze. Compresi tanti reperti di metallo restituiti dal mare, tra i quali un grosso lingotto di piombo di oltre 36 chili. Con una firma: Gneo Atellio della “gens” degli Atelli, di origine campana, dedita alla lavorazione dei metalli. Aenaria da “aenum”, metallo, dunque. La scoperta di una intensa attività metallurgica spiegava in modo finalmente convincente l’origine del nome della città ritrovata. Sulla quale, però, calò di nuovo il silenzio, per altri quarant’anni, durante i quali di Aenaria furono visibili solo i reperti, oggi esposti nel Museo Archeologico di Pithecusae, a Lacco Ameno. A rilanciare il percorso bloccato nel ‘73 è stato un progetto di ricerca e valorizzazione del sito archeologico di un gruppo di giovani isolani. Da allora, ogni anno, in primavera e in autunno, procede al disvelamento della città invisibile. Che ha rivelato manufatti oggi in parte sommersi. Come il ninfeo ricavato in una grotta all’interno di uno scoglio o il lungo corridoio nella roccia che ne attraversa un altro, probabilmente in comunicazione con una villa marittima.
Anche sul litorale di Aenaria le villae maritimae non dovevano mancare. Lo testimoniano colonne di pietra, basamenti, frammenti di statue e di pitture murarie, tantissime tessere di mosaico bianche e in pasta vitrea, materiali da costruzione e oggetti ceramici da mensa di pregio. E sempre sotto il mare sono stati ritrovati tratti murari e l’inizio della strada che s’inerpicava sulle colline.
Ma a dominare nella baia era il porto, fulcro degli scambi commerciali che Aenaria intratteneva nel Mediterraneo. Ne è rimasta la banchina in opus cementicium, costruita tra la fine del I a.C. e l’inizio del I d.C., di cui sono stati riscoperti finora una ventina di metri e che ancora prosegue, sotto alla sabbia. E si stava lavorando ad un ampliamento, testimoniato da una cassaforma di legno, ottimamente conservata dopo duemila anni, destinata a contenere la gettata di malta cementizia per la costruzione del nuovo tratto. Interrotta dall’improvviso evento che spopolò la città.
Aenaria può essere visitata con guide esperte e grazie alla barca di “Marina di Sant’Anna” dal fondo trasparente.
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