Le alte falesie della Penisola sorrentina sono da sempre uno dei suoi habitat ideali lungo le coste italiane. Non è raro avvistarlo, il falco pellegrino (Falco peregrinus), mentre vola maestoso sul mare, scrutando il cielo in cerca di prede.

Il nido è vicino, in qualcuna delle cavità che si aprono sulle ripide pareti rocciose, dove vive da solo o con la compagna che si sceglie per la vita. E alla quale deve procurare il cibo, mentre lei, di dimensioni ancora più grandi, cova le uova o si prende cura dei pulcini nei primi giorni di vita.

Poche settimane e anche lei riprende i voli per la caccia, alternandosi con il compagno nella protezione e nell’addestramento della prole. Che cresce bene in quel luogo ancora selvaggio. L’agricoltura sana che si pratica in Penisola, senza i pesticidi che hanno messo in crisi la specie in altre zone di montagna, ha consentito ai falchi di essere più prolifici e di portare a buon fine le covate annuali. E non è più tempo della raccolta di uova, che tanto era diffusa nei secoli passati.

Erano preziose anche per l’imperatore Federico II, quelle uova. L’autore del De arte venandi cum avibus si serviva proprio degli implacabili falchi pellegrini per praticare la sua caccia favorita. E nella città di Sorrento, fedelissima alla casa di Svevia, aveva trovato il modo di coltivare quella sua passione, a cominciare dalle uova per procurarsi i pulcini da addestrare fin da piccoli.

A occuparsene era Adenulfo Vulcano, di una delle famiglie sorrentine beneficiate dall’imperatore, che lo aveva scelto come falconiere personale, considerandolo quasi un componente della famiglia, proprio per la sua riconosciuta dimestichezza con i rapaci. E da allora, anche quando la dominazione sveva si era esaurita, la storia dei rapaci della Penisola era continuata, insieme alla sottrazione di uova, che aveva messo a rischio la popolazione del falcune, come lo chiamano in dialetto.

E’ un grande spettacolo della natura quando, dopo averla puntata quasi immobile, il pellegrino si lancia in picchiata sulla preda ad una velocità che supera i 300 chilometri orari. Il più veloce animale del pianeta attacca soprattutto i neri corvi imperiali e altri uccelli di media grandezza, ma capita che ingaggi delle battaglie aeree con altri rapaci. Quelli stanziali e quelli che sorvolano numerosi le costiere durante i lunghi viaggi migratori. Il gheppio (Falco tinnunculus), che lì chiamano cristariello per la particolarità del volo a “spirito santo”, quando resta immobile nell’aria facendo vibrare solo la punta delle ali. E la poiana (Buteo buteo)più grande di tutti,  lo sparviero (Accipiter nisus), il falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) e il raro falco pescatore (Pandion haliaetus). Gli stupendi signori delle falesie che si innalzano sul mare delle Sirene.