Un edificio sacro e uno scrigno d’arte, la magnifica chiesa di Santa Sofia.
Nata per diventare il simbolo del potere longobardo su Benevento e il suo territorio, cuore della Langobardia minor, il ducato del sud che nel 758 re Desiderio aveva affidato al genero Arechi II. E il giovane duca si era dedicato subito a rendere la capitale sempre più all’altezza del suo ruolo, chiamandovi da mecenate artisti e uomini di lettere e investendo in opere militari, civili e religiose. Come la costruzione della nuova chiesa, che fu ultimata nel 762. E prese il nome di Santa Sofia come la grande Aghìa Sofìa di Costantinopoli, dedicata dunque alla Divina Sapienza di Cristo.
La nuova chiesa era stata costruita sul modello della cappella palatina di Liutprando a Pavia. Piccola e con caratteristiche abbastanza atipiche, considerate le soluzioni architettoniche decisamente innovative adottate. Come la disposizione radiale di pilastri e colonne. Una chiesa diversa da tutte, che aveva accolto le reliquie dei XII Fratelli Martiri e nella quale il 26 agosto 768 fu traslato solennemente il corpo di San Mercurio da Cesarea, molto venerato a Bisanzio e patrono dei Longobardi. Un ruolo di assoluta preminenza per Santa Sofia, che avrebbe trovato conferma nel 774, quando la sconfitta di Desiderio ad opera di Carlo Magno fece del ducato di Arechi l’ultimo baluardo indipendente del grande regno longobardo in Italia. E le spoglie di Desiderio trovarono sepoltura nella chiesa di Benevento, come quelle degli altri capi longobardi, per volere di Arechi che, proclamato il Principato, la trasformò definitivamente nel santuario della gens langobardorum. E alla chiesa il principe affiancò anche un monastero femminile benedettino, affidato alla sorella Gariperga, che divenne uno dei centri più importanti della cultura longobarda. Lì, nello Scriptorium di Santa Sofia, fu elaborata la famosa lettera beneventana, un modello di scrittura usato in quasi tutta l’Italia meridionale per codici e documenti ufficiali fino al XIII secolo.
L’edificio sacro doveva subire in seguito varie trasformazioni, a cominciare dalla nuova pianta stellare al posto di quella circolare, introdotta con il primo restauro in epoca medievale. Ma ancora altre modifiche arrivarono dopo il violento terremoto del 1688, che tirò giù la cupola e alcune delle aggiunte medievali. Fu il cardinale Orsini, futuro Benedetto XIII, a commissionare una ricostruzione secondo il gusto barocco imperante. Il progetto dell’ingegner Carlo Buratti stravolse l’originario impianto longobardo e cancellò in gran parte gli affreschi delle Storie di Cristo e della Vergine di cui restano pochi frammenti. La pianta tornò ad essere circolare, come quella della chiesa di Costantinopoli, l’interno fu intonacato e abbellito con decorazioni barocche. Furono costruite due cappelle laterali, furono modificate l’abside, la facciata e i pilastri. Invece, l’ultimo restauro del 1957 tentò di recuperare il più possibile le caratteristiche longobarde, rimuovendo anche le cappelle barocche sulla base di documenti allora appena ritrovati.
Dell’intervento barocco è rimasta la facciata con gli spioventi ricurvi. Il bel portale è romanico ed è incluso in una cavità più grande con le due colonne che reggono il caratteristico arco. Nella lunetta, figlio del rifacimento medievale, c’è un pregevole bassorilievo raffigurante Cristo in trono tra la Vergine San Mercurio e un monaco inginocchiato.
L’interno è a pianta circolare, con al centro sei colonne, che forse provengono dal tempio di Iside, collocate ai vertici di un esagono e collegate da archi su cui è impiantata la cupola. L’esagono interno presenta un anello decagonale con otto pilastri di pietra calcarea bianca e due colonne ai fianchi dell’entrata, ognuno disposto parallelamente alla parete corrispondente. Si creano così dei suggestivi giochi prospettici, accentuati dalle volte quadrangolari, romboidali e triangolari, frutto dei diversi rimaneggiamenti. Che si notano anche nella zona delle absidi, che è circolare, mentre le altre pareti formano parte di una stella interrotta dal portone. Negli spigoli permangono delle nicchie. E così, se il corpo centrale richiama la tradizione longobarda come si osserva nella chiesa di Santa Maria in Pertica a Pavia, le volte e altri particolari sono ispirati all’architettura bizantina.
Degli affreschi originari restano, nelle due absidi laterali, dei frammenti de L’annuncio a Zaccaria, Zaccaria muto, L’Annunciazione e La visitazione della Vergine. Furono dipinti cavallo tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo da artisti della Scuola di miniatura beneventana, nota anche come Scuola Longobarda.
Distrutto il monastero originario da un terremoto, ne fu edificato un altro tra il 1142 e il 1176 dall’abate Giovanni IV. Si distingue il magnifico chiostro romanico con chiare influenze moresche che accoglie la sezione archeologica del Museo del Sannio.
La chiesa affaccia su piazza Santa Sofia, dove si trova anche il campanile, edificato nel 1703, dopo che il terremoto del 1688 aveva raso al suolo quello originario. E quello nuovo fu costruito sul lato opposto all’ingresso della piazza, per evitare che, nel caso di un altro sisma, la chiesa e il campanile potessero arrecarsi danni vicendevolmente, com’era appena avvenuto. Al centro della piazza c’è una fontana neoclassica, realizzata durante il Decennio francese (1806-1815), con dei leoni che sorreggono un obelisco coevo.
L’Unesco ha inserito il complesso di Santa Sofia nella lista dei siti patrimonio dell’Umanità nel 2011, nella serie dei “Longobardi in Italia, i luoghi del potere”, sette luoghi che si distinguono per le testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree di età longobarda.
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