Sulla strada per Pompei, si passa per la popolosa «Città del corallo», che è il protagonista prezioso della storia locale celebrata anche in musei come quello realizzato nel 1986 da Basilio Liverino in una cavità lavica a sei metri di profondità (la collezione di coralli e cammei è composta da più di un migliaio di pezzi ed è tra le più importanti del mondo); e quello ospitato presso lo storico Istituto Statale d’Arte.

La pesca del corallo si pratica da tempi remoti e i marinai torresi hanno solcato nei secoli tutte le rotte mediterranee, con disinvoltura, dall’Africa alla Sardegna e alla Corsica. Nel Cinquecento vantava una flotta di quattrocento imbarcazioni dedicate. La pesca venne incentivata da Ferdinando IV di Borbone che, nel 1790, dette vita alla Reale Compagnia del Corallo, e il giurista Michele de Iorio ebbe il compito di redigere il Codice Corallino, con norme che ne regolavano il commercio.

Secondo gli studiosi, il nome della città deriva da Turris Octava, in quanto all’ottavo miglio romano, lungo la strada consolare, si ergeva una torre di avvistamento. Il toponimo fu poi trasformato in epoca medievale, tant’è che in un documento in latino del 1324 si fa riferimento a «Torre Octava volgarmente detta del Greco», probabilmente in virtù dell’abbondante produzione di vico greco nella zona.

Abitata in epoca antichissima, l’area di Torre del Greco ha subìto anch’essa numerose trasformazioni, effetto delle eruzioni del Vesuvio che più volte l’hanno devastata: la più disastrosa fu quella del 1794, al culmine di un periodo di grande prosperità economica che era cominciato nel secolo XVI. La colata lavica distrusse gran parte dei quartieri e seppellì molte chiese. Molti edifici storici sono stati ricostruiti proprio dopo quella data.