Le delicate figurine abbigliate secondo la colorata moda del tempo e le sontuose decorazioni dei preziosi servizi per la mensa reale avevano sempre attirato la sua attenzione di bambina.
E poi c’era l’infinita collezione del nonno, Augusto il Forte, re di Polonia e principe elettore di Sassonia, che non aveva mai mancato di suscitarle profondo stupore. Era nata così la passione della piccola Maria Amalia per la porcellana che era presente ovunque, nelle più varie forme, in tutti i regali palazzi che aveva frequentato fin da piccola: in Polonia, dove pure suo padre Augusto III era stato eletto re, e soprattutto a Dresda, la capitale della Sassonia vicina a Meissen, in cui proprio il nonno aveva sostenuto nel 1710 la nascita della prima fabbrica di porcellana in Europa. Perciò, quando, appena quattordicenne, era andata sposa al principe Carlo di Borbone, da poco salito sul trono di Napoli, non aveva trascurato di portare con sé alcune di quelle piccole meraviglie modellate e dipinte a mano nella sua terra d’origine.
Innamorata della città che l’aveva accolta nel 1738 e sempre impegnata a condividere con l’amato consorte nuovi progetti per farla crescere e affermare, Maria Amalia fu una convinta sostenitrice dell’avvio di una produzione di porcellana anche a Napoli, dopo quelle che si erano nel frattempo affermate a Venezia e a Sèvres in Francia. Fu così che già nel 1740 iniziò la storia della Real Fabbrica di Capodimonte, dal nome della nuova reggia in collina presso la quale era stata insediata.
L’importazione a Napoli della complessa lavorazione messa a punto in Sassonia richiese delle variazioni significative, legate alla disponibilità delle materie prime. In tutto il regno di Carlo, infatti, non vi era traccia del caolino, che era elemento fondamentale della formula elaborata proprio a Meissen dal chimico e alchimista Johann Friedrich Böttger, grazie alla quale era stato possibile replicare in Europa la porcellana scoperta in Cina da Marco Polo. Dopo una lunga ricerca di alternative valide, fu il chimico belga Livio Ottavio Schepers che nel 1743 riuscì a impastare al feldspato (l’altro componente essenziale) delle argille individuate in alcune cave della Calabria. La maggiore presenza di feldspato e le caratteristiche di quelle argille diedero come risultato un impasto tenero, invece di quello duro tipico del caolino, che la cottura a temperature altissime rendeva ideale per realizzare miniature particolarmente fini e realistiche, con un magnifico effetto “sottovetro” finale per le decorazioni fatte a punta di pennello.
Del gruppo di lavoro che qualificò fin dall’inizio la produzione napoletana, fece parte tra il 1744 e il 1752 il decoratore piacentino Giovanni Caselli, grande miniaturista, ideatore delle decorazioni che in breve fecero conoscere e apprezzare la porcellana napoletana in tutta Europa. Merito dei numerosi artisti, arrivati da ogni parte d’Italia, che con Caselli diedero grande impulso alla varietà e raffinatezza della fabbrica napoletana. Tra loro si distinse anche il fiorentino Giuseppe Gricci, noto come “lo scultore del re”, il cui nome sarebbe rimasto legato al celeberrimo Salottino di Porcellana. Nel periodo di massimo fulgore della fabbrica, vi si contavano fino a cinquantotto artefici.
Il loro lavoro creativo produceva vasi preziosi, pomi di bastoni da passeggio, tabacchiere, brocche, i più vari oggetti ornamentali e ricchi servizi da tavola. I motivi prevalenti erano di gusto orientale, secondo la moda delle “cineserie” in voga all’epoca e praticata anche a Dresda, insieme a scene mitologiche, paesaggi, vedute delle più belle ville napoletane e fiori, oltre ad arditi intrecci di tralci di vite sui manici degli oggetti. Era questa una particolarità di Capodimonte, che aveva come elemento distintivo anche le scene di venditori e di vita popolare. I colori utilizzati erano delicati e contribuivano all’armonia delle rappresentazioni. Ogni pezzo era contrassegnato dal giglio borbonico azzurro, un vero e proprio marchio.
Il re si era talmente appassionato alla porcellana da seguire passo dopo passo la crescita e l’attività della fabbrica, oltre a custodire personalmente le chiavi dei depositi. La considerava talmente sua e della regina, che, quando nel 1759 fu improvvisamente chiamato a salire al trono di Spagna, non esitò a svuotare i depositi, per portarsi tutti i pezzi a Madrid, insieme agli artisti e ai lavoranti, che in gran parte accettarono il trasferimento. Sulle navi che partirono da Napoli con tutto il patrimonio personale dei sovrani, furono caricate anche cinque tonnellate di pasta per la produzione di porcellana. Fu così che, giunto a Madrid, il re riuscì ad attivare subito la Reàl Fabrica del Buen Retiro, rimasta in produzione fino al 1808. Nel frattempo, si fermava la fabbrica napoletana.
Perdute le maestranze esperte e le riserve di materie prime, erano rimasti a Napoli i forni, le attrezzature e, soprattutto, i preziosi stampi. Quanto servì a riprendere la produzione di porcellana nel 1771, per volontà del re Ferdinando IV, supportato dalla consorte Maria Carolina, che aveva portato con sé da Vienna anche importanti opere d’arte in porcellana.
La Real Fabbrica Ferdinandea
Dall’originaria sede di Capodimonte, la nuova fabbrica fu spostata a Portici, dove rimase in funzione fino al 1825, quando fu trasferita presso il palazzo reale della capitale in cui sopravvisse fino 1787.
La seconda vita della produzione di porcellana partenopea fu animata da nuovi artefici, perlopiù artisti ed esperti provenienti dalla Toscana, ma anche dalla Germania. I venti anni tra il 1780 e il nuovo secolo, contrassegnati dalla direzione artistica di Domenico Venuti, furono i più interessanti dal punto di vista della qualità delle produzioni, anche grazie alla fondazione di una scuola d’arte specializzata, da cui uscirono idee e disegni per nuovi servizi da tavola e oggetti ornamentali di grande pregio. In quel periodo la porcellana divenne anche materiale per ricchi ed elaborati elementi d’arredo: cornici per specchiere, lampadari, colonne, pannelli decorativi e pavimenti.
L’Ottocento e la fama di una tradizione che resiste nel tempo
Altro importante contributo innovativo arrivò dopo Venuti da un artista umbro, Filippo Tagliolini, che introdusse la porcellana biscuit, ideale per creare statue in miniatura. E Tagliolini era abilissimo nel modellare e intagliare le sue creazioni, firmate con il suo monogramma, che divennero elemento qualificante della Capodimonte d’inizio Ottocento. Sempre in quegli anni, cominciò ad affermarsi il nuovo stile neoclassico in luogo della predominanza originaria di barocco e rococò.
Cambiò anche il marchio, che passò dal monogramma FRM sormontato da una corona alla N con corona blu, di cui si servirono successivamente anche i produttori privati.
Questi si affermarono durante il periodo francese, nel 1806, quando furono ceduti loro i diritti di produzione in cambio dell’acquisto di buona parte dei manufatti da parte dei sovrani napoleonici al potere in mezza Europa. L’accordo non fu mai rispettato e Gioacchino Murat, dal canto suo, non fece nulla per garantire continuità alla storia della porcellana a Napoli. A salvare la tradizione fu la creatività dei maestri partenopei, che di loro iniziativa non cessarono di creare modelli nuovi, ispirandosi sempre più a scene di vita napoletana. E dalla metà dell’800 la “Capodimonte” fu prodotta solo in piccole fabbriche familiari, con una predominanza di motivi floreali. L’unità d’Italia segnò l’inizio di una fase di decadenza, sebbene la porcellana di Capodimonte non abbia mai perso la sua rinomanza internazionale.
Oggi a tener viva la grande tradizione e l’illustre storia della porcellana napoletana è l’Istituto Superiore a indirizzo raro “Caselli-De Sanctis” istituito nel 1961, con la Scuola Internazionale della Porcellana nel Real Bosco di Capodimonte, nella stessa sede della Real Fabbrica di Carlo di Borbone, dove si continuano a produrre porcellane secondo lo stile più antico e secondo il gusto contemporaneo, grazie a collaborazioni con artisti e designer di vaglia. C’è poi il MUDI, ovvero il Museo Didattico della Porcellana di Capodimonte, che custodisce con i forni originari del Settecento anche gli altri antichi macchinari e il prezioso archivio degli stampi.
Nel vicino Museo di Capodimonte, all’interno della Reggia borbonica, il primo piano ospita nelle sale 35 e 36 dell’Appartamento Reale la straordinaria collezione di porcellane.
Altre opere, tra le quali una celebre tabacchiera decorata con la storia di Giuditta e Oloferne firmata da Giovanni Caselli, sono esposte presso il Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina nella Villa Floridiana in via Cimarosa, il Museo Filangieri a via Duomo e il Museo Diego Aragona Pignatelli Cortès alla Riviera di Chiaia.
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