croccantini

 

MANGIARE/BERE

nel Sannio

Tra i monti del Sannio: vini, olii e tante prelibatezze. Chilometri di filari. Che di stagione in stagione caratterizzano il paesaggio e l’identità del territorio.

 

Il Vino - Migliaia di ettari coltivati a vite dal Taburno alla valle Telesina, dalle pendici del Matese alla valle Caudina. E’ il Sannio che produce la metà del vino campano, con sette vitigni autoctoni di antico lignaggio a farla da padroni: Aglianico, Piedirosso in dialetto Per’e palummo, Sciascinoso noto anche come “olivella” a bacca rossa, Falanghina, Fiano e Greco a bacca bianca. E la Barbera del Sannio, a bacca rossa, che trionfa a Castelvenere, il Comune più vitato della Campania, dove il sottosuolo custodisce e tramanda delle caratteristiche cantine scavate nel tufo. Una viticoltura dalla grande storia e dall’altrettanto grande qualità, testimoniata da due Doc, Sannio e Falanghina del Sannio, dall’Aglianico del Taburno Docg e  dall’Igp Benevento.

 

popolicaL'olio - Tante vigne, ma anche tanti uliveti fasciano le colline sannite, protagonisti di saperi e tradizioni che si confondono con le più antiche presenze dell’uomo in questa terra sempre  generosa con chi la rispetta. E gli ulivi dalla lunga vita sono la memoria dei terreni buoni e del lavoro fedele che, oggi come ieri, serve a trarre dai loro frutti quanto di meglio l’olio extravergine d’oliva possa donare al palato e alla salute. Gli alberi antichi, i grandi tronchi modellati dagli elementi che connotano il paesaggio, appartengono alle tre cultivar di sempre: l’Ortice, dalle alte chiome e  i frutti allungati,  l’Ortolana dai rami penduli e l’aroma di mela che le è valso anche il nome di Melella e la Racioppella, che dona con costanza i suoi grappoli di olive. Una cura continua, la raccolta fatta ancora a mano e la molitura a freddo nella stessa giornata sono gli altri elementi determinanti per la qualità dei Dop sanniti, l’Olio extravergine di oliva Sannio Caudino Telesino e l’ Olioextravergine di oliva Sannio Colline Beneventane. Olio speciale, da gustare in assoluta semplicità su una fetta di pane, magari  di saragolla, un antico grano duro ancora coltivato in tutto il Sannio. Con la farina, il criscito, cioè il lievito madre, per la prima lievitazione e il lievito di birra per la seconda, si fanno pagnotte cotte a legna  dalla caratteristica mollica giallo paglierino e dalla crosta croccante, ideali per provare l’olio e per accompagnare con discrezione i  formaggi e i salumi a cui la zootecnia estensiva delle terre sannite ha conservato sapori autentici e genuini. La scelta è amplissima e piena di imbarazzi, visto l’alto livello di qualità delle varie produzioni. Meglio lasciarsi guidare allora da ciò che ogni singolo territorio, paese e contrada ha di speciale da offrire, perché la varietà dell’offerta è ovunque piena di sorprese.

I formaggi - Nel Sannio, terra di transumanza, gli allevamenti di bovini, di razza  podolica in particolare, di ovini, caprini e bufale, oltre alle carni, offrono latte per  formaggi a metro zero. Il caratteristico caciocavallo può essere il pregiato podolico, di  bufala, affumicato o quello, unico, di  Castelfranco e degli altri paesi della valle del  Miscano, lavorato dal latte delle vacche di razza Bruna. Senza trascurare il caciocavallo “impiccato” di Apice  Poi le provole, di vacca e di bufala, anche affumicate. E le scamosciate, stracciate e trecce, senza dimenticare le ricotte,  fresca e essiccata, di mucca, bufala,  capra e pecora.  A proposito di pecore, questa è terra di  Laticauda

La pecora dalla coda grossa (lata cauda) bruca sulle colline sannite da quasi tre secoli, frutto di un incrocio  tra la pecora Appenninica autoctona e la pecora Berbera o Barbaresca importata all’epoca di Carlo III di Borbone. Dal Napoletano la nuova razza si era poi diffusa nel  Sannio, in Irpinia e in parte del Casertano.  E in queste aree, dopo essere stata sull’orlo dell’estinzione, è stata recuperata grazie a piccoli allevamenti  familiari  finalizzati alla produzione casearia. Dal latte della bianca pecora dalla coda grossa si ottiene il famoso pecorino di Laticauda, Pat campano, venduto fresco, semistagionato o stagionato tra i 4 e i 12 mesi. A renderlo speciale sono le varie erbe di montagna di cui si nutre la Laticauda, tra le quali in particolare il trifoglio ladino. Che contribuisce anche al sapore speciale della sua rinomata ricotta.

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Le carni - Ghiande, castagne e, noci non mancano in terra sannita, come la crusca il mais e, dunque, neppure i maiali, quello nero in particolare. Se ne fanno prodotti tipici come la soppressata, il capocollo, la salsiccia del Sannio. A Castelpoto, nella valle Caudina alle pendici del Taburno, la salsiccia è rossa perché alla carne suina con lardo e pancetta si aggiunge nel corso della lavorazione il peperoncino macinato. Anche quello è un prodotto locale: i “papauli” più piccoli sono essiccati all’aperto, poi tostati nel forno a legna e poi macinati e aggiunti alla carne con aglio, finocchietto selvatico e sale. Le salsicce rosse presidio Slow Food possono essere dolci o piccanti e si possono gustare cotte o preferibilmente a fette sul pane casereccio o sul pane cunzat di Castelpoto, fatto con ciccioli e uva passa. 

L’aria di montagna, il clima a 830 metri di altitudine e una lavorazione affinata nei secoli nelle sue varie fasi sono il “segreto” del prosciutto di Pietraroja, rinomato già nel Settecento. Oltre alla qualità delle carni e alla accurata stagionatura, a fare la differenza è la lenta essiccazione naturale nella frescura delle cantine del paese sul monte Mutria e una leggera affumicatura con la legna dei boschi vicini.

Gli ortaggi - Immancabili nelle ricette del Sannio, le cipolle sono largamente coltivate nelle zone pianeggianti o di media collina. Ma tra tutte primeggia la dorata cipolla di Bonea, con il suo inconfondibile aroma. Molto delicato è il sapore dei carciofi di Pietrelcina, da piccoli terreni domestici coltivati secondo saperi antichi. Raccolti in fasci da quattro, legati con i “vinchi”, cioè i giunchi raccolti sulle sponde del Tammaro, sono protagonisti di una tradizionale sagra a maggio. Tra le specialità vegetali, il fagiolo di San Lupo, per il clima a 500 metri di altezza e le peculiarità del suolo, è senza dubbio degno  della Regina, com’è altrimenti noto, in onore di Maria Teresa di Borbone che molto lo apprezzò.

La frutta - Altro prodotto regale, con duemila anni di storia, è la mela annurca Igp, che si produce anche nelle valli Caudina e Telesina e nell’area del Taburno. E poi altre mele antiche: la sergente, la zitella e la limoncella, molto pregiata per la polpa bianca leggermente acidula, da cui si ottiene anche un tipico sidro, molto diffuso anticamente tra i contadini. Tra tanta uva da vino, c’è invece, per la tavola, l’uva cornicella. E a Tocco Caudio e nei centri vicini del parco regionale del Taburno-Camposauro sono speciali le ciliegie. Rosse, molto zuccherine, ideali anche candite o sotto alcol.

I funghi e i tartufi - Terra di montagna, terra di boschi, quella sannita è prodiga di funghi: porcino bianco e nero , piopparelli, chiodini, gallinacci, mazze di tamburo, ovuli, retelle, scardelle, virni. E le faggete storiche del Taburno offrono l’humus adatto allo  scorzone, un tartufo estivo, grosso, simile al tartufo nero e molto aromatico.

TORRONE E TORRONCINI

Bianco d’uovo, miele, nocciole o mandorle. Sono gli ingredienti base di una delle eccellenze di Benevento, tanto antica che il poeta romano Marziale già la segnalava tra i prodotti caratteristici della città. E la cupedia, a cui Tito Livio attribuiva un’origine sannita, era molto apprezzata dai Romani. Quelli antichi e quelli moderni. Tanto è vero che siccome Benevento era territorio dello Stato Pontificio, quando nel Seicento i torroni cominciarono ad es- sere conosciuti e apprezzati al di fuori della città sannita, ne venivano inviati nella Città Eterna come regalo agli alti prelati. E in omaggio al Pontefice, nel Settecento arrivò anche la novità del “torrone del Papa”. Ma l’affermazione arrivò con i Borbone, che fecero della “copeta” beneventana il dolce della tradizione natalizia partenopea. E così il “torrone della Regina”, preferito da Ferdinando I, si aggiunse agli altri gusti che nel frattempo si erano differenziati dalla versione originaria. Ciò che non era mai cambiato era la lavorazione rigorosamente artigianale, rispettata a Benevento e negli altri centri in cui si era diffusa la produzione del torrone, come Santa Croce del SannioMontefalcone in Val Fortone San Marco de’ Cavoti, dove nel 1891 esordì il torrone croccantino. 

Oggi il torrone di Benevento, prodotto Igp, è presente sul mercato tutto l’anno con una grande varietà di gusti, dal caffè alle essenze di agrumi e di frutta.

La ricetta

Peperoncini ripieni al tonno

Si comincia dai peperoncini, che sono le piccole papaccelle, rotonde, dolci e carnose, tipica produzione locale. Mondati dei piccioli e dei semi, vanno bolliti in acqua e aceto. Poi, vanno riempiti con un impasto di tonno sott’olio, capperi, acciuga, spezie e aromi tritati. E conservati sott’olio, ovviamente con un extravergine sannita. Sono un ottimo antipasto o anche un contorno versatile.

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