È una tra le più forti emozioni sensoriali che ogni procidano porta con se fin da piccolo, ovunque si trovi.

ER0270 ERR8630 pDifficile definirlo a parole, quel suono inconfondibile, evocativo, struggente come il legame indissolubile con la propria terra. Un suono unico, che non somiglia a nessun altro e non richiama note musicali, ma che racchiude fede, stratificazioni storiche e contaminazioni culturali, senso di appartenenza e spirito di comunità. Un suono che è come un grido: di dolore, del Cristo morente; di disperazione, dei seguaci che a quella morte partecipano; di allerta, per tutto il popolo chiamato a partecipare al rito collettivo. Quando la notte veste ancora il cielo, ma tutti, nelle case dai cento colori sono svegli, in attesa di ascoltarlo, commossi e indaffarati, perché quella è la “chiamata” alla più solenne e impegnativa giornata dell’anno, il Venerdì Santo, che da tre secoli si identifica con la Processione dei Misteri annunciata dal suono della tromba.

 

ER0270 ERR8630 pQuaranta giorni di prove

Per arrivare al richiamo della notte senza sonno del Giovedì Santo, ci vuole tutta la Quaresima. Per quaranta giorni, ogni sera, gli uomini che avranno il grande onore di emettere il suono giusto sono mobilitati per le prove, in luoghi isolati, vicino al mare compagno di ogni avventura, nel silenzio che solo a quello strano strumento è permesso di infrangere. L’impresa è difficile, richiede grande impegno, umiltà, passione. Perché la tromba di Procida, forse evoluzione della conchiglia usata in origine, è speciale nella forma e nelle caratteristiche, priva di tasti, un esemplare unico, senza eguali in nessun altro luogo. E imparagonabili sono le sue vibrazioni, ancestrali come i loro significati, che attraversano la storia e si collegano a riti e usi ben più antichi del solenne appuntamento pasquale.

L’addestramento dei quattro suonatori è un percorso lento e pieno di prove, un percorso di fede e di costanza, fino al giorno della prova più impegnativa di tutte, quando dovranno dimostrare tutta la loro abilità nel soffiare con la forza necessaria ad emozionare la folla. Una manciata di secondi di straordinaria intensità per un suono destinato a fissarsi indelebilmente nella memoria.

Suonano solo gli uomini, da sempre. A loro è affidato lo strumento della Congrega dei Turchini, gelosamente custodito a Terra Murata, dove tutto ha inizio, nel resto dell’anno. Ed è il più anziano del gruppo che nella sua casa provvede al lavaggio rituale della tromba, una settimana prima della notte fatidica. Con il latte, l’aceto e i pallini da caccia preparati dalla moglie, che dovrà poi farla asciugare accuratamente al sole o, in caso di mal tempo, in un forno a legna appena acceso e spento. Per qualche giorno c’è da recuperare il suono, dopo il lavaggio, ma il Mercoledì Santo lo strumento resta muto, fino alla notte della “chiamata”.

 

I Misteri

La Quaresima è anche il tempo di preparazione dei Misteri che connoteranno la Processione che da essi prende il nome. È una fase di partecipazione corale, che rafforza l’identità della comunità e il legame tra le generazioni. Tutto il tempo libero, per giorni, è dedicato alla progettazione e alla realizzazione dei “Misteri”, dietro i portoni all’interno dei palazzi antichi, dove si lavorano di gran lena la cartapesta e gli altri materiali poveri per modellare le grandi tavole, divenute negli ultimi anni sempre più impegnative. Tra le quaranta e le sessanta scenografie, ispirate dalla lettura dei Vangeli e del Vecchio Testamento e dalla creatività degli artefici, che ogni anno accettano la sfida dell’innovazione nel solco del rispetto delle Scritture e delle tradizioni. Squadre di costruttori  affiatate e fortemente motivate, abituate a superare tutte le difficoltà, valorizzando al meglio il contributo di tutti e le abilità di ciascuno, per dare sempre più lustro all’appuntamento che rappresenta come nessun altro la loro isola.

 

Il Giovedì Santo

Mentre si lavora ancora per completare i Misteri, il Giovedì Santo, l’Arciconfraternita dei Bianchi del Ss. Sacramento, fondata nel 1581 dal cardinale Iñigo d’Avalos, organizza la celebrazione “In coena Domini”. Al rito della lavanda dei piedi segue l’agape fraterna, a cui partecipano dodici confratelli che aprono il corteo dei Dodici Apostoli, preceduto da un Centurione e formato dai confratelli accompagnati dal padre spirituale “in nigris”, tutti con il volto coperto, una corona di spine sulla testa e una croce nera sulla spalla. Il corteo procede per le strade dell’isola e sosta in tutte le chiesa parrocchiali per adorare il Santissimo Sacramento. A sera, da tutte le chiese, si eleva il canto del “Vi Adoro”, a suggello di una intensa giornata che prepara all’attesa.

I riti di preparazione delle Statue

Due sono le statue fondamentali della processione del Venerdì Santo, il Cristo morto e l’Addolorata.

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La statua in legno del Cristo, dal volto straordinariamente espressivo della sofferenza patita sulla croce, è del 1728, opera dello scultore di scuola napoletana, specializzato in soggetti sacri, Carmine Lantriceni. Appartiene da sempre all’antica Congrega dell’Immacolata Concezione, fondata nel 1588 su iniziativa dei Padri Gesuiti e detta dei Turchini, perché di quel colore è la mozzetta di seta indossata dai confratelli sul saio bianco, che è da sempre l’organizzatrice della Processione. Quando nel 1892 la Congrega lasciò la sua sede storica a Terra Murata, per trasferirsi nella nuova chiesa di San Tommaso d’Aquino, fu spostato anche il Cristo ligneo, che vi è custodito da allora per tutto l’anno, fatta eccezione per l’uscita pasquale. Preceduta da una rituale cerimonia, affidata a cinque donne. La statua lignea viene adagiata su un letto di marmo ricoperto da una stoffa rossa. La statua viene spolverata con pennelli partendo dai piedi fino al viso, poi pulita con olio di cannella seguendo lo stesso rituale. Tutto ciò che è venuto a contatto diretto con la venerata opera d’arte viene conservato con cura. Poi il gruppo si concentra nella preghiera.

Nell’ultimo sabato di Quaresima, le stesse donne si erano dedicate alla vestizione della statua dell’Addolorata, che risale all’Ottocento. Il rituale anche in quel caso si compone di gesti tramandati di generazione in generazione. In sacrestia, la statua viene delicatamente spolverata e poi coperta con vesti finemente ricamate.. Un gruppo di uomini provvede poi all’intronizzazione sull’altare maggiore della chiesa, sul trono vestito di stoffa rossa, dove resterà fino al momento della Processione.

 

ER0270 ERR8630 pDa Terra Murata quando è ancora buio

Erede, come altre in Campania, delle consolidate tradizioni della Semana Santa di Spagna trasferite a Napoli durante il lungo periodo di dominazione spagnola, la Processione di Procida è documentata per la prima volta nel 1693 e definita come “processio mortificationis”. Una cerimonia dal forte impatto emotivo, considerato che si ritenne necessario proibirne la partecipazione ai minori di diciotto anni. Decisivo per la riorganizzazione del corteo fu l’arrivo sull’isola della statua del Cristo Morto, ma la sua configurazione attuale cominciò a svilupparsi solo più tardi con l’aggiunta dei Misteri, raffigurazioni simboliche sempre più elaborate di scene tratte dalla Bibbia.

Tutto inizia, quando è ancora buio, al suono della tromba alternato a tre rulli di tamburo, i suoni che accompagnavano i condannati a morte nell’antica Roma, che qui annunciano agli isolani il momento della veglia per prepararsi all’evento del nuovo giorno.  A Terra Murata, il borgo più antico, la folla prega intensamente mentre nella piazza antistante l’abbazia di San Michele, dai luoghi dove sono stati costruiti, arrivano i Misteri, svelati per la prima volta al pubblico, e da ogni parte dell’isola si raccolgono gli oltre duemila partecipanti nelle vesti, alcune anche molto antiche, che indosseranno nella Processione.

 

Per le strade dell’isola

All’alba è il confratello più anziano dei Turchini a dettare ad alta voce l’ordine della Processione in base al tema dell’anno, chiamando per nome tutti i partecipanti. A dare il ritmo al lento incedere dell’interminabile fila sono la tromba e il tamburo, subito dietro gli stendardi delle Congreghe e la corona di spine. Poi, i Misteri, spostati con grande devozione dai portatori lungo il percorso che, dall’alto di Terra Murata, attraversa l’isola scendendo verso il mare, con qualche pausa intermedia. Portate a spalla, procedono solenni le statue di soggetto religioso. Dietro quella dell’Addolorata, in braccio a un genitore, vestito con la tunica e la mozzetta dei Turchini, sfilano gli “angioletti”, i piccoli di uno o due anni alla loro prima Processione, vestiti con abitini neri ricamati in oro, come il manto funebre della Madonna. A seguire, i bambini più grandicelli con i fiori. E verso la fine del corteo, la statua su cui si appuntano commossi tutti gli sguardi: il Cristo Morto, con il pallio, il baldacchino funebre. Chiude la Processione la banda musicale, che intona marce funebri.

Ci vogliono almeno tre ore per completare il percorso, che ha da sempre come punto d’arrivo Marina Grande, luogo dell’ideale ricongiungimento al mare, dove restano esposti i Misteri.

Le statue, invece, nel pomeriggio vengono ricondotte a San Michele, mentre a sera, al chiarore delle fiaccole, la statua del Cristo è riaccompagnata alla chiesa di San Tommaso d’Aquino, sede dei Turchini. L’ultima suggestione di una giornata vissuta intensamente attimo per attimo da tutto il popolo procidano. Che ne serberà suoni, atmosfere ed emozioni nella memoria. Tra i ricordi più preziosi da custodire con cura.

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