Da Boccaccio al Grand Tour e ora anche museo...

Aria buona e verde rigoglioso. Con l’aggiunta di un indimenticabile panorama sul golfo di Napoli.

Furono queste caratteristiche ad attirare l’attenzione sull’altura ai piedi di monte Faito, che appariva come un luogo ideale in cui edificare una residenza reale. Come avvenne nella seconda metà del XIII secolo, certamente prima del 1280. A godere per primo dell’ottima esposizione di quel palazzo fu Carlo I d’Angiò, alla cui epoca risalgono i documenti più antichi sulla reggia in collina nella città che aveva già il castello a mare dal quale avrebbe tratto il suo nome.

WhatsApp Image 2020 09 27 at 19.17.04Domus de loco sano fu probabilmente il nome originario di quella collina poi tramutato in Quisisana. Anche se un’altra versione lo fa risalire ad una esclamazione – “Qui si sana!” – pronunciata da Carlo II d’Angiò, che lì era guarito da una grave malattia. E anche questo contribuì alla fama del palazzo, luogo prediletto di villeggiatura dai re angioini e dai personaggi più in vista della corte napoletana. 

Tra quelli, vi fu anche Giovanni Boccaccio, che a Castellammare ambientò la VI novella del X giorno del Decameron, dove si narra che un cavaliere, Neri degli Uberti, si sarebbe trasferito nella località costiera e lì avrebbe scelto un luogo sopraelevato tra “ulivi, nocciuoli e castagni” per costruirvi un “bel casamento e agiato”, corredato da un “dilettevole giardino” nel quale aveva realizzato pure un vivaio di pesci. Nella realtà, Roberto d’Angiò, appassionatosi al luogo, volle ampliare il palazzo, con due edifici esposti uno verso il mare e l’altro verso il viale d’ingresso. I due corpi di fabbrica contavano tre piani: al primo viveva la servitù, al secondo erano le stanze reali ed il terzo era di rappresentanza. Ciò lo rese ancora più chiaramente luogo preferito di vacanza dei sovrani, che si giovarono del Quisisana anche durante le pestilenze. Il primo fu  nel 1401 Ladislao di Durazzo, che vi si rifugiò con la famiglia per sottrarsi alla peste che mieteva vittime nella capitale. E vent’anni dopo vi si sottrasse ad una nuova epidemia Giovanna II. Il favore dei sovrani del periodo angioino venne meno sotto gli Aragonesi e con i vicerè, divenuto possesso di notabili dello stato,  cominciò la progressiva decadenza.

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Nel 1541 Castellammare divenne feudo dei Farnese e fu così che la proprietà del Quisisana, ormai diruta, entrò nel patrimonio ereditato da Carlo di Borbone da parte della madre Elisabetta Farnese. Fu l’inizio di un nuovo periodo d’oro per la più antica reggia del regno. Il ripristino e la ristrutturazione del Casino del Quisisana avvenne sotto Ferdinando IV. I lavori iniziati nel 1759 riunirono i due corpi di fabbrica originari in un edificio a elle, recintarono l’area della proprietà, sistemarono gli impianti idrici, che utilizzavano l’acqua proveniente dal Faito, e realizzarono viali e viottoli per la fruizione del vicino bosco di Quisisana. Fu creato all’epoca anche un bel giardino all’italiana di circa due ettari.  Con Ferdinando IIfu data un’ impronta inglese all’intera proprietà, luogo prediletto dal re, che dal  terrazzo si dice  cacciasse le quaglie.

Tra il 1758 e il 1790, nonostante vi fossero sempre lavori in corso, la famiglia reale mancò l’appuntamento con la villeggiatura a Castellammare solo un paio di volte. La residenza, d’altra parte, offriva tutti i comfort con il suoi di 49mila metri quadri abitabili, su due livelli, con cento stanze, le splendide terrazze affacciate una sul golfo e l’altra sul bosco e una cappella. Anche il bosco, detto delle  quattro Fontane del Re, era tutto da vivere, con i suoi percorsi, le fontane appunto, le statue e i belvedere tra platani e ippocastani, olmi lecci e carpini, oltre a numerose piante tropicali. Molto vasto, il bosco si estendeva tra il Faito e la strada sorrentina, tra il rivo San Pietro e il rivo delle Monache. Inoltre, facevano parte del complesso del Quisisana una casa colonica, la chiesa, una torre, una cereria, le scuderie, una masseria con un ricco frutteto e coltivazioni per la casa e abitazioni per i lavoratori. Perciò la reggia di Quisisana divenne tappa del Grand Tour. E la sua bellezza ispirò molti artisti: da Hackert Dahl ai pittori della Scuola di Posillipo. Un periodo di splendore di cui non restano che le strutture, visto che gli arredi furono completamente depredati dai briganti dopo la caduta dei Borbone.

Passata ai Savoia, nel 1877 la reggia entrò nel demanio statale e fu allora ceduta al Comune di Castellammare, che la cedette a privati. Nel 1898 fu trasformata in albergo, il “Margherita” dismesso nel 1902. Poi ospitò tra il 1909 e il 1910 collegio dell’Annunziata, fu ospedale militare in entrambe le guerre mondiali. Dopo le guerra tornò ad essere albergo: nel 1923 il “Royal Hotel Quisisana” contava 200 camere ed era segnalato tra i migliori d’Italia. L’hotel fu poi ripristinato anche nel secondo dopoguerra, restando struttura ricettiva fino agli anni Sessanta del ‘900. Il terremoto del 1980 provocò molti danni e l’abbandono successivo fece il resto. Fino al complesso restauro iniziato nel 2000 e concluso nel 2009.

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Dopo una fase lunga di progettazione, la nuova vita del Quisisana coincide con la nascita del Museo Archeologico di Stabiae. Nel 2019 il Comune di Castellammare ha firmato una convenzione con cui ha ceduto in comodato d’uso il palazzo al Parco Archeologico di Pompei, che ha curato l’allestimento degli spazi museali al piano nobile. Lì sono custoditi gli ottomila reperti raccolti nell’Antiquarium, chiuso dagli anni Novanta del ‘900, insieme ad altri pezzi provenienti dal Museo Archeologico di Napoli e agli affreschi delle ville stabiane. In particolare, Villa Arianna e Villa San Marco, con cui è stato creato un circuito di visita. 

Il museo è intitolato a Libero D’Orsi, il benemerito preside della scuola media di Castellammare, che negli anni ’50 riprese lo scavo di Stabia, riportando alle luce una parte significativa e pregevole delle testimonianze di età romana, per le quali creò l’Antiquarium nella sua scuola.

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