Le maestose vestigia di Paestum non erano lontane. E, frequentando quella zona, non passò inosservato a re Carlo di Borbone il grande bosco di Persano, che si estendeva nella pianura percorsa dai fiumi Sele e Calore Lucano ed era ricco di selvaggina.
Una caratteristica decisiva per attirare l’attenzione del sovrano, notoriamente appassionato di caccia, che decise infatti di entrare in possesso di quell’area verde, allora del feudatario di Serre, il conte De Rossi.
Acquisito il possedimento di Persano, seppure all’inizio solo in affitto, il re vi avviò fin dal 1752 la costruzione di una casina di caccia. La fabbrica fu affidata ad un ingegnere militare, il milanese Giovanni Domenico Piana, che sfruttò il sito su cui sorgeva già un edificio, a sua volta collocato sopra i resti di un villaggio medievale. Dal progetto di Piana, su cui già l’anno seguente intervenne il grande Luigi Vanvitelli, sorse la residenza a due piani, dalla facciata in stile barocco. Dominata, all’ingresso, da un portale di pietra affiancato da due garitte, da cui si entra nel bell’atrio dalle decorazioni a stucco, impreziosito da uno scalone su cui si fa notare la statua marmorea di un cane, che sarebbe opera di Antonio Canova.
Inserita tra le Reali Delizie una volta divenuta proprietà personale del sovrano, nel 1758, dunque solo un anno prima del suo trasferimento in Spagna, la tenuta di Persano fu sempre tra le predilette di Carlo, che la frequentava assiduamente, anche per seguire l’allevamento di cavalli di varia provenienza finalizzato alla selezione di una nuova razza pregiata. Progetto di cui continuò ad interessarsi anche dalla Spagna, inviando cavalli e con richieste continue di aggiornamenti. Dopo di lui, ad appassionarsi alla residenza nella Piana del Sele fu il suo successore, Ferdinando IV, che vi organizzava battute di caccia al cinghiale con la corte, non di rado in concomitanza con la visita di altri sovrani o di diplomatici stranieri. Da Persano, gli illustri ospiti venivano condotti facilmente sulla costa, per ammirare gli spettacolari templi di Paestum. E così la Reale Casina di caccia si ritrovò ad essere anche cornice di qualche momento storico importante per il regno.
Intanto, attraverso una complessa serie di incroci, l’obiettivo di creare una nuova razza di cavalli era stato raggiunto e i “persano” per le loro caratteristiche si erano rivelati ideali per l’impiego militare, molto apprezzati anche all’estero, tanto da diventare simbolo e motivo di orgoglio del regno borbonico. Alla sua caduta, dunque, la tenuta finì con l’identificarsi con le scuderie fino al 1874, quando ne venne decisa la chiusura con la dispersione della mandria.
Fu solo nel 1900 che il governo italiano decise di recuperare il cavallo persano, ricostruendo presso la sede originaria la “razza governativa di Persano”, sempre finalizzata all’utilizzo militare, per la cavalleria, che fu attiva fino alla seconda guerra mondiale. I famosi cavalli continuarono a essere allevati a Persano fino al 1972, quando furono trasferiti a Grosseto. Ma l’antica casina reale di caccia rimase nella disponibilità del Ministero della Difesa, che da allora l’ha destinata a sede di alcune unità dell’Esercito.
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