Sulle origini della città, l'ipotesi più accreditata è che fu fondata intorno nell’ottavo secolo a.C. dagli abitanti della vicina Pithekoussai (Ischia) provenienti dalle città euboiche di Calcide ed Eretria.
In breve tempo divenne una città fiorente e potente, ed estese la sua influenza sul golfo flegreo e quello partenopeo. La sua storia, come si è detto, con la caduta nelle mani dei Campani (421 a.C.), si fonde con quella di Dicearchia. Poi, quando Puteoli divenne il porto principale di Roma, decadde rapidamente in breve tempo e fu ricordata solo per la presenza dell’Antro oracolare della Sibilla, in quello che è oggi il Parco Archeologico dei Campi Flegrei. Questo monumento portato alla luce nel 1932, scavato nel tufo, affascina per la misteriosa atmosfera che lo avvolge. Virgilio, nel sesto libro dell’Eneide, riteneva che proprio qui bisogna cercare la sede della leggendaria, terribile sacerdotessa di Apollo. Ma, a giudizio di alcuni studiosi, potrebbe trattarsi anche di un raro esempio di architettura funeraria di ispirazione cretese-micenea. Un corridoio (dromos) lungo più di 130 metri (largo 2,40 e alto circa 5 metri), di perfetto taglio trapezoidale e illuminato da sei aperture laterali, conduce in un ambiente arcuato nel quale si affaccia un altro più riposto. Altri studi recenti attribuiscono alla struttura una funzione difensiva della sottostante area portuale. Alla sua destra si apre la Cripta Romana; a sinistra c’è la via Sacra, disseminata di antichi reperti greci, romani e medievali che incorniciano la splendida veduta sulle isole di Ischia e Procida. Su questa via si incontra il Tempio di Giove, costruito sul punto più alto dell’acropoli: del tempio greco (V sec. a.C.), rimane soltanto il tracciato del podio. Nel V secolo fu trasformato in basilica cristiana, della quale sono rimaste cospicue tracce e l’originale vasca del battistero. Sulla terrazza inferiore si trova il Tempio di Apollo, la cui leggendaria costruzione è attribuita al mitico Dedalo, che qui atterrò dopo il favoloso volo da Creta, e del quale rimangono poche tracce nel basamento, (anch’esso fu adattato a chiesa cristiana nel V secolo).
Si costeggia il Lago Fusaro, nel quale si specchia la Casina Vanvitelliana. Vero gioiello dell’architettura del Settecento, fu voluta da Ferdinando IV di Borbone, come casino reale di caccia e come pegno d’amore per la seconda moglie morganatica Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia. Fu Carlo Vanvitelli a progettarla nel 1782 con una leggerezza che si moltiplica grazie all’effetto speculare del bacino lacustre, che era la mitica palude di Acherusia. Evidenzia una raffinatissima concezione architettonica, tanto da somigliare a una pianta acquatica galleggiante. Fu saccheggiata durante i moti del 1799 e lesionata dai terremoti, ed è stata restaurata nel 1991. Un famoso dipinto di Hackert (si conserva al museo di Capodimonte) la ritrae nella sua spettacolare suggestione del tempo. Ospitò anche Metternich e lo zar di Russia, Mozart, Rossini e Vittorio Emanuele III.
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