È il sentiero 518 del Parco nazionale del Cilento, Alburni e Vallo di Diano, ovvero l’antico sentiero Casalicchio, che contribuisce a collegare la Roscigno Vecchia immersa nel suo sonno letargico alla Roscigno Nuova dove scorre la vita.
Quella è la via per salire sul Monte Pruno, che dall’alto dei suoi 879 metri si è guadagnato la fama di “balcone degli Alburni”. Una posizione straordinaria, la sua, sul Passo della Sentinella e sulla Sella del Corticato, il valico che mette in comunicazione il Cilento e il Vallo di Diano. Fu per quel motivo e per la presenza di sorgenti di acqua che il pianoro sulla vetta fu occupato da gruppi di Enotri fin dal VII secolo a.C. Erano pastori, che formarono piccoli insediamenti diffusi in tutta l’area vicina al monte.
Agli Enotri, una delle popolazioni italiche più antiche, seguirono negli ultimi decenni del V secolo i Lucani, nella loro fase di espansione verso la costa, dove avevano preso il controllo della greca Poseidonia, che ribattezzarono Paistom. Furono i nuovi colonizzatori ad innalzare nel secolo successivo un muro di difesa intorno all’insediamento sulla vetta, dove si rifugiavano in caso di pericolo tutti gli abitanti sparsi nei dintorni. Un’opera possente, massiccia, con fondazioni ancorate nella roccia viva e ben cinque metri di larghezza, di cui è stato riportato alla luce un tratto di una settantina di metri.
Abbandonato alla fine del III secolo abbastanza precipitosamente, forse in concomitanza con l’avvento dei Romani, il sito sul Monte Pruno cadde progressivamente nell’oblio fin quando se ne persero le tracce e pure il ricordo. Dovettero passare molti secoli prima che un contadino, impegnato nelle sue coltivazioni, giungesse a ritrovare dei frammenti di ambra che non potevano che provenire dal passato. Era il 1938 e da allora entrarono in azione i tombaroli, che depredarono ampiamente l’area, prima che venisse esplorata negli anni Sessanta del ‘900 dall’archeologa De La Genière, impegnata a scavare l’Heraion nella piana di Paestum. Ma fu solo negli anni Ottanta che iniziarono campagne di scavo sistematiche, che evidenziarono la presenza di una necropoli del VI secolo da cui arrivarono informazioni preziose per decifrare la storia del sito e molti reperti importanti. E non solo dal punto di vista archeologicoi.
Tra le scoperte di Monte Pruno la più famosa è la Tomba del Principe. Di fianco al defunto, un uomo, in posizione supina, fu rinvenuto un corredo funerario prezioso: vasi a figure rosse di provenienza magno-greca, oggetti di bronzo di fattura etrusca, tra cui un candelabro finemente decorato, un kantharos d’argento e dei pendagli dorati. La ricchezza degli oggetti lo identifica sicuramente con un nobile, la tipologia di alcuni reperti individua in lui un capo, di stirpe enotria: la ruota di un carro da guerra, strigili di bronzo e una corona d’argento. Un corredo indicativo anche della varietà e importanza degli scambi e delle relazioni con le diverse popolazioni presenti in quel periodo in Campania.
Nel sito sono tornate alla luce numerose sepolture sia maschili, compresa un’altra principesca del V secolo, che femminili. Nelle prime non mancano mai le armi, elmi, spade e punte di lancia di ferro, nelle seconde si trovano sempre collane di ambra e corredi ceramici. Sono stati rinvenuti ben 46 oggetti d’ambra, tra i quali delle testine di donna dagli occhi a mandorla e teste di sileni.
Alle pendici del monte, a poco più di un chilometro dal pianoro della vetta, nella piccola valle di Cuozzi, è emersa una struttura residenziale di circa 400 metri quadri, composta da diversi vani, disposti intorno al cortile, dal tetto con decorazioni fittili e pareti intonacate. Sono state ritrovate anche tombe a semicamera sia maschili, con un caratteristico cinturone di bronzo indicativo della cultura dei Lucani, che femminili. Tutti i reperti, primi fra tutti quelli della Tomba del Principe, sono esposti nel Museo archeologico provinciale di Salerno.
Il sito di Monte Pruno è un parco archeologico, gestito in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli, che vi ha creato anche una Scuola di Scavo, perché l’indagine archeologica continua...
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