Scoglio lo chiamano a Castellammare di Stabia e a Torre Annunziata, da dove si osserva distintamente in mezzo al mare, a poca distanza dalla costa.
Una definizione familiare per la piccola isola di Rovigliano, appena seimila metri quadrati di superficie per un gruppo di scogli, uniti tra loro dall’uomo ancora prima che i Romani ne scoprissero e apprezzassero la posizione favorevole nel golfo di Napoli, davanti alla foce del Sarno. Quanto resta visibile, forse, di una grande montagna sprofondata nel mare per un evento geologico che si perde nella notte dei tempi. E rocce calcaree della stessa natura dei Monti Lattari, che dominano quel tratto di costa.
Elementi che il mito ha rielaborato e impreziosito, assegnando l’origine dell’isolotto ad Ercole che, di passaggio per quei lidi reduce dalla sua decima fatica, avrebbe scaraventato in mare la cima del monte Faito, per potervi più comodamente riposare. E, infatti, per gli antichi l’isolotto era la “Petra Herculis”. Lì dove, secondo Plinio il Vecchio, sorgeva un tempio dedicato al dio. Proprio Plinio, che aveva scelto quel lembo di terra nel mare per osservare più da vicino l’eruzione del Vesuvio, vi fu colto dalle esalazioni che gli diedero la morte. E da allora la “Pietra di Ercole” divenne la “Pietra di Plinio”.
La tragedia vesuviana segnò una cesura rispetto alla precedente vita della piccola isola, dove resti di strutture in opus reticulatum potrebbero risalire o al tempio o a una villa della gens Rubellia, che produceva vino nella vicina Pompei. Dal loro nome o da quello del conte Rubelio, che ne divenne proprietario nel Medio Evo, derivò il nome “Rubellianum”, a cui Papa Innocenzo III fece riferimento esplicito, per la prima volta in un documento scritto, per indicare il confine tra le diocesi di Napoli e di Nola.
Nel V secolo d.C. sull’isola di Rovigliano arrivarono i Benedettini, che vi costruirono un monastero dedicato a San Michele arcangelo, autorizzato nel 1220 da Papa Onorio II ad adottare la Regola Forense.
Quando nel IX secolo i Longobardi occuparono Castellammare, il conte Orso si stabilì sull’isolotto con la moglie Fulgida, donna che si fece ben presto ammirare per la grande bellezza e lo spirito caritatevole, e il figlioletto Miroaldo. A Castellammare, invece, alloggiava la guarnigione. A interrompere quella tranquillità fu un attacco saraceno sferrato dal mare. Non impiegarono molto, gli assalitori, ad avere ragione dei soldati in terraferma. E neppure a vincere la strenua resistenza opposta sull’isola. Fulgida, nel tentativo di salvare la vita al marito, fu colpita da una lancia e perse i sensi. Al risveglio, trovò una carneficina e il marito impiccato, nessuna traccia del figlio, che era stato rapito dagli invasori per farlo schiavo. Poco dopo, morì anche lei. Da quel momento, secondo la leggenda, sul far della sera il suo fantasma si aggira senza pace per l’isoletta, alla ricerca dei suoi cari, sempre accompagnata dal volo dei gabbiani.
Iniziata la decadenza delle strutture più antiche nel XIV secolo, nel XVI secolo l’isoletta tornò ad assumere un ruolo prezioso a difesa della costa e del porto di Castellammare contro le scorrerie turche. Sui ruderi del monastero fu edificata una torre alta venti metri, tra le più importanti del golfo di Napoli. Un paio di secoli più tardi la fortezza fu ristrutturata per volontà di Carlo di Borbone. Poi divenne caserma e prigione. Con l’Unità d’Italia, venuto meno lo scopo difensivo originario, la torre fu dapprima venduta a privati, poi nel 1925 fu dichiarata monumento nazionale. Ben presto abbandonato, lo Scoglio di Rovigliano è rimasto da allora disabitato.
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