In origine ci fu un Antiquarium, ricavato nell’ampio spazio che anticamente era stato usato come cisterna per gli abitanti di Villa de’ Bagni, l’attuale Ischia Porto.

Era lì che l’archeologo Giorgio Buchner aveva trasferito per anni i reperti che giorno per giorno emergevano dagli scavi condotti dal 1952 a Lacco Ameno, dopo averli disegnati, fotografati e catalogati. Centinaia di preziose cassette e scatole con le testimonianze di Pithecusa, il primo insediamento della seconda colonizzazione greca in Occidente, nell’VIII secolo a.C., che stava riemergendo tra la necropoli di San Montano, l’acropoli di Monte Vico e l’abitato corrispondente grosso modo all’attuale centro di Lacco Ameno e agli immediati dintorni. Una sistemazione curata con amore e dedizione da Buchner, che, tuttavia, già immaginava una collocazione più appropriata per l’enorme mole di materiali di grandissimo interesse storico-archeologico che si andava accumulando.

Ce ne vollero di anni perché quell’idea, poi tradotta in un progetto nero su bianco, si trasformasse in un vero museo, con il valore aggiunto di aver trovato sede nella settecentesca Villa Arbusto, sulla collina alle spalle del centro di Lacco. Era il 17 aprile 1999 quando, in una mattinata di primavera sfolgorante di sole, alla presenza del gotha dell’archeologia europea riunito intorno a Buchner, fu inaugurato il nuovo Museo Archeologico di Pithecusae.

Oggi, dopo la scomparsa nel 2005 dell’archeologo di origine tedesca che ha disvelato l’”alba della Magna Grecia”, un busto ricorda ai visitatori l’artefice del ritrovamento e dello studio del patrimonio che illustra la storia dell’isola dall’Età del Bronzo all’epoca romana.

Dalla Preistoria

Il percorso museale che si snoda per le sale del piano nobile di Villa Arbusto parte dalla Preistoria. In particolare, risalgono al Neolitico Medio Superiore i materiali ceramici e litici rinvenuti in località Cilento, presso il cimitero di Ischia, mentre sono più tardi, tra la media Età del Bronzo e l’Età del Ferro, quelli del villaggio, studiato da Buchner per la sua tesi di laurea, sulla collina del Castiglione, vicino all’attuale Casamicciola.

Alcune vetrine sono dedicate a testimonianze dell’Età del Ferro prima dell’arrivo dei Greci: oggetti di uso quotidiano, come fornelli di terracotta, vasi e tazze, e un interessante vaso “villanoviano”.

Le testimonianze di Pithecusa

La parte prevalente dell’esposizione museale riguarda la grande varietà di reperti riconducibili a Pithecusa, fondata da coloni greci provenienti dalla grande isola di Eubea nel secondo quarto dell’VIII secolo, qualche decennio prima di Roma. La sezione introduttiva a quella fase della storia isolana illustra la fitta rete di relazioni commerciali intrecciata dai naviganti pithecusani con la madre patria greca e con la Spagna, con Cartagine (tra i primi abitanti di Pithecusa c’erano anche Fenici) e il vicino Oriente  e con i popoli italici, dall’Etruria alla Puglia, dalla Calabria alla Sardegna.

Grande rilievo ha l’esposizione dei corredi provenienti dalle tombe della necropoli di San Montano, utilizzata ininterrottamente per le sepolture nell’arco di un millennio, a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C. Sono stati gli scavi nella necropoli a restituire i pezzi più significativi del museo: l’anfora di Aiace e Achille, la lekytos delle capre del Pittore di Cesnola (un ceramografo pithecusano), il vaso delle Parche e il più celebre cratere tardogeometrico di produzione pithecusana con la rarissima scena di Naufragio della fine dell’VIII secolo. E, su tutti, la famosa Coppa di Nestore, in stile geometrico e importata da Rodi, sulla quale a Pithecusa furono incisi in alfabeto euboico da destra verso sinistra versi che rimandano all’Iliade e che rappresentano la più antica composizione poetica ritrovata in Occidente, peraltro coeva proprio ai poemi omerici.

Ricca è l’esposizione di ceramica corinzia di ottima fattura presente nei corredi funerari più antichi.

Vasi corinzi sono riemersi anche da un deposito in località Pastola, utilizzato dalla fine del VII secolo, che ha restituito, tra l’altro, la cosiddetta “stipe dei cavalli”, con statuine di muli e due modelli di carri guidati da muli, ma anche diversi modelli di barche, oltre ad alcune trottole di terracotta.

In località Mazzola, dove è stato scoperto il quartiere metallurgico di Pithecusa, oltre a vari reperti di bronzo e ferro finemente lavorati e ad interessanti resti di lavorazioni, è stato ritrovato il frammento del cratere cosiddetto di Inos, con la più antica firma di ceramista.

Tra i materiali di importazione da ogni angolo del Mediterraneo, dove arrivavano pure le merci dei pithecusani, notevole è la raccolta di scarabei egizi dalla Valle del Nilo, indossati come amuleti dai bambini a Pithecusa, e di sigilli scaraboidi, tra i quali la particolare serie del “suonatore di lira”.

Importate erano anche le capienti anfore di origine cartaginese e fenicia collocate al centro della seconda sala: venivano usate per il trasporto di derrate e poi riutilizzate per la sepoltura a enchytrismòs dei neonati e dei bambini.

Intorno al VI secolo, sebbene fossero ancora in piena attività anche per oggetti da esportazione le fornaci degli abilissimi ceramisti pithecusani nel Keramèikos situato sotto la chiesa e la piazza di Santa Restituta, l’affermazione di Cuma, la figlia di Pithecusa in terraferma che era diventata una potenza, e alcuni eventi vulcanici, segnarono l’inizio di un lento e progressivo declino per la colonia isolana. A quel periodo appartengono le terrecotte architettoniche dei templi che sorgevano sull’acropoli di Monte Vico, tra le quali la particolare sima laterale con gocciolatoio a testa d’ariete. Numerosi gli esemplari pregevoli di ceramica attica dallo scarico archeologico dell’acropoli. Che ha custodito nel tempo anche numerosi pezzi di ceramica da mensa dipinta di nero “Campana A”, di produzione locale ed esportata da Pithecusa in epoca ellenistica in Africa, Spagna e Francia meridionale.

Sebbene la maggior parte dei reperti della cosiddetta Fattoria di Punta Chiarito sia esposta al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, nella sezione della Magna Grecia, Villa Arbusto ospita una ricostruzione della capanna e un louterion di pietra.

L’epoca romana e Aenaria

La parte del percorso espositivo del museo relativa all’epoca romana propone le poche, ma comunque significative testimonianze di Aenaria riportate alla luce dal fondale marino negli anni Settanta del Novecento, quando furono trovati casualmente degli oggetti ceramici sotto la sabbia della baia di Sant’Anna dominata dal Castello Aragonese. A Villa Arbusto sono anche esposti ceppi di ancore e i grandi lingotti di piombo di stagno e frammenti di galena, provenienti dalle miniere spagnole di Cartagena, che recano i bolli della potente famiglia degli Atellii, attiva tra la Spagna e l’Italia dalla fine della Repubblica alla prima metà del I secolo a.C.

Anche se, come nel caso dei reperti del Chiarito, gli originali sono custoditi fin dal ritrovamento nel 1757 presso il Mann, il museo lacchese, proprio a conclusione del suo itinerario espositivo, presenta i calchi dei marmorei rilievi votivi di Nitrodi. Le lastre scolpite raffigurano Apollo con la cetra e alcune ninfe che versano con vasi e conchiglie l’acqua salutare della fonte isolana, già nota ai Romani per le sue virtù terapeutiche. Tutti riportano delle dediche che li identificano come ex voto di abitatori dell’isola in epoca romana. Si tratta dell’unico complesso votivo del genere riemerso dal passato nell’Italia meridionale, il che gli attribuisce un valore che travalica di gran lunga quello strettamente artistico.


Informazioni utili
Orari di apertura: il museo è aperto tutti i giorni dalle ore 9:00 alle ore 13:00 
Biglietto intero: 8 € 
Biglietto ridotto: 6€