Spostandosi sull’altro versante dell’isola, verso occidente, c’è la Chiesa di Sant’Antonio da Padova, il protettore di Anacapri (è conosciuta anche come chiesa de’ Marinai), che ha un impianto seicentesco ed è stata restaurata e ampliata nel 1899. La chiesa, dotata di una piccola terrazza panoramica, si trova sul percorso che incrocia la cosiddetta Scala Fenicia.
Giunti nel centro storico, da Piazza Vittoria, procedendo per la strada pedonale alla sinistra del monumento ai Caduti, si trova la Casa Rossa, per il suo inconfondibile colore rosso pompeiano. Realizzata con più stili architettonici, ispirati al collezionismo tardo ottocentesco, ha finestre bifore e merlature, ingloba una torre aragonese cinquecentesca a pianta quadrata e, all’interno, presenta il caratteristico cortile porticato. La sua storia è legata alla vicenda del generale americano John Clay H. Mac Kowen, che sbarcò a Capri reduce dalla Guerra Civile americana e vi rimase per ventitré anni. La sua vita presenta analogie con quella di Axel Munthe, che pure trasformò Villa San Michele in una casa museo, dove raccolse e custodì numerosi reperti archeologici, tra epigrafi, bassorilievi e statue antiche recuperati qua e là sull’isola. La Casa Rossa ospita una mostra permanente con tele di maestri italiani e stranieri, collezione che è stata acquistata dal Comune di Anacapri grazie all’offerta di Spiridione e Savo Raskovich, due appassionati che hanno raccolto e conservato opere dedicate a Capri. Dal 2008 vi si trovano anche le tre statue romane ritrovate nel 1964 e nel 1974 nella Grotta Azzurra.
La Villa San Michele è uno dei luoghi più visitati in assoluto: si trova in zona Capodimonte, a cinque minuti dal centro. Fu costruita, per una parte su rovine di epoca romana, con un personale progetto da Axel Munthe, il medico e scrittore svedese (1857-1949) autore del celebre romanzo autobiografico “Storia di San Michele”. Secondo alcuni è una sorta di “follia personale”, sulla scorta di quella che ispirò il conte Fersen, per lo stile eclettico, discusso e affascinante dell’architettura. La Villa è gestita dalla Fondazione Axel Munthe “San Michele”. Il complesso della villa comprende anche il Castello Barbarossa, oasi naturalistica ricoperta di vegetazione a dir poco straordinaria.
Restando in un contesto paesaggistico-naturalistico di enorme fascino, s’impone l’escursione al Monte Solaroo all’eremo di Santa Maria a Cetrella e, eventualmente, una passeggiata per il Passetiello, che era una volta l’unica e difficile via di collegamento tra Anacapri e Capri. Durante l’occupazione francese, nel 1808, il Passetiello ricoprì un ruolo strategico, perché consentì il passaggio delle truppe da un Comune all’altro. La cima del Solaro, invece, si può raggiungere a piedi o, più comodamente, in seggiovia prendendo, da Piazza Vittoria per via Caposcuro, a destra. Nella valle compresa tra il Solaro e il monte Cappello con vista indimenticabile sull’incanto di Marina Piccola, si trova l’eremo che deve il suo nome alla cedrina, l’erba aromatica. Un angolo esclusivo di solitudine e contemplazione, scelto per questo dagli eremiti domenicani alla fine del ‘400. Annessa al convento c’è una chiesetta con il campanile quadrato, che costituisce un esempio dell’architettura tardo-gotica caprese. Qui si celebravano gli antichi riti di devozione dei pescatori di corallo.
Dal cuore di Anacapri si diparte un’altra passeggiata cruciale per gli escursionisti amanti del verde, i quali, partendo a sinistra della stazioncina della seggiovia, possono raggiungere il belvedere della Migliera. Qui, dove sono stati ritrovati resti di costruzioni di età imperiale, ci si affaccia sulle rocce scoscese delle cale del Tuono e del Limno o, verso ovest, si punta lo sguardo fino a Punta Carena e al Faro che, inaugurato il 1° dicembre 1867, è il secondo in Italia per importanza e potenza d’illuminazione. La Migliera è il luogo dove si coltivava il miglio, cereale diffusissimo prima dell’arrivo del granturco. Si cammina tra vigneti, uliveti, giardini e orti, verso la meta finale, che è a dir poco spettacolare. Volendo, un po’ più in alto, ai piedi di una croce di ferro, si gode finanche della vista dei Faraglioni. Punta Carena e il Faro sono raggiungibili comunque da via Nuova del Faro, sempre tra scenari unici che evocano la storia, per la presenza dei Fortini (di Pino, di Mesola, di Orrico) che, insieme alle torri di Damecuta e della Guardia, costituivano il sistema difensivo occidentale fino a nord, alla Grotta Azzurra, in un’alternanza di piccole baie deliziose, tra le quali Cala del Tombosiello e Cala del Rio, caratterizzate da una bellezza memorabile.
Della grandiosa Villa imperiale di Damecuta, restano pochi resti sull’altopiano: lo scavo fu iniziato nel 1937 da Amedeo Maiuri. Si è riusciti a definire l’esistenza di una lunga loggia sostenuta da arcate, la presenza di frammenti di colonne in puro marmo greco. Di certo era ricca di pavimenti in marmo, di stucchi, e decorazioni di pregio. La Torre cilindrica di Damecuta, all’estremità ovest della Villa, a 151 metri sul mare, fu costruita a difesa delle incursioni saracene, e riutilizzata come fortino dagli inglesi nel periodo del conflitto con i francesi (1806-1815). Dal belvedere si intravede il piccolo scalo di Gràdola con la spiaggetta rocciosa a ridosso della Grotta Azzurra.
Della Grotta Azzurra si sa che nell’immaginario collettivo rappresenta uno dei luoghi più famosi del mondo. Fu esplorata il 18 aprile 1826 da quattro personaggi entrati nella leggenda, tra cui il pittore tedesco August Kopisch.
Tornando, infine, al centro di Anacapri, restano da visitare alcuni luoghi di culto. A cominciare dalla Chiesa monumentale di San Michele, barocca, settecentesca, con architetture ideate da Antonio Vaccaro. La chiesa di Santa Maria di Costantinopoli è invece della fine del ‘300, quando fu eretta con il nome di santa Maria “alli Curti”. La chiesa di Santa Sofia, a tre navate, è il risultato di numerose stratificazioni: presenta una facciata bianca settecentesca, con un campanile a più orologi e si apre sulla piazzetta.
Dulcis in fundo, merita sicuramente una visita Le Boffe, il quartiere seicentesco descritto da Maiuri. Il nome, “le boffe“, pare che venga dal dialetto caprese, perché così si indicano le bolle sotto la crosta del pane; ma, per altri, il termine proviene da una deformazione di d’Elboeuf, il comandante della guarnigione francese sull’isola.
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