Dal Monte Finestra, che domina con il Cerreto e il Trivento la fertile valle percorsa dal fiume Satrono, sul versante orientale dei Monti Lattari, basta uno sguardo ad abbracciarli tutti.
Sono i tredici borghi storici che formano Tramonti, il Comune sparso nell’interno della Costiera Amalfitana situato proprio “intra montes” come indica il suo nome. Che non corrisponde a nessuno degli antichi casali, ma identifica la loro unione dalle solide radici storiche, economiche, umane.
Condivise in gran parte con la vicina Amalfi, dalla quale mutuarono un diffuso benessere frutto dei ricchi scambi commerciali della Repubblica marinara di cui Tramonti era una delle “otto terre”, preziosa perché ne garantiva la sicurezza sul confine settentrionale. Non a caso, i marinai originari di Tramonti, ovunque approdassero nel Mediterraneo, erano definiti amalfitani. Uomini di mare, ma anche dediti con ottimi risultati all’agricoltura e all’allevamento, praticati fin dalle epoche più antiche dell’insediamento nella valle, contrappuntata dalle colline su cui si sono sviluppati e avviluppati i diversi borghi.
I primi a prendere possesso di quelle terre coperte di boschi e ricche di acqua furono dei transfughi picentini per sottrarsi all’occupazione romana della costiera Reghinna, l’attuale Maiori. Insieme ad altri gruppi di origine etrusca e italica fondarono intorno al V-IV secolo a.C. il primo casale, Cesarano, che fu a lungo il centro principale della valle. Anche dopo che la progressiva crescita demografica aveva fatto sorgere altri abitati nel circondario, tanto che in epoca medievale i villaggi tramontani erano più numerosi dei tredici attuali.
Per la sua posizione strategica nell’interno, Tramonti giocò un ruolo fondamentale nella difesa di Amalfi dagli attacchi longobardi al tempo di Arechi II e fino alla proclamazione della Repubblica marinara il 1° dicembre 839. E specularmente la valle tramontana fu protagonista anche nelle vicende militari che portarono alla sconfitta militare della Repubblica da parte degli invasori normanni. Il castrum di Montalto, sul monte Trivento, fu teatro della strenua resistenza dei tramontani nel 1127 e la sua capitolazione segnò la fine della Repubblica e il declino anche economico di Tramonti. Che per secoli fu un feudo donato dai sovrani delle varie dinastie succedutesi sul trono di Napoli ai loro più fidi alleati e sostenitori. E infatti Tramonti si trovò coinvolta nella lotta tra Angioini e Aragonesi. All’avvento sul trono di Napoli di Ferdinando I, Eleonora Orsini schierò Tramonti contro il sovrano, che nel 1460 ottenne la resa pacifica di tutti i casali, tranne Cesarano, riportata all’obbedienza con la forza, attaccando la fortezza di Montalto. Nel 1461, memore dell’appoggio dei tramontani, il re emanò vari privilegi a loro favore, escludendone però gli abitanti del borgo ostile. Il castrum di Montalto fu abbandonato e sostituito con la nuova fortezza di Santa Maria la Nova, di cui il principe di Salerno Raimondo Orsini aveva avviato la costruzione nel 1457, quando a Napoli regnava ancora Alfonso il Magnanimo. Nel 1480, dopo la sconfitta di Sarno, durante le lotte contro i baroni infedeli, Ferdinando I incrociò ancora il suo destino con Tramonti, dove trovò rifugio, cosicchè, una volta ripreso il controllo del regno, dichiarò nobili i cittadini tramontani.
Sede amministrativa del Comune di Tramonti è la frazione di Polvica, con il complesso francescano della chiesa e del convento dedicati a San Francesco d’Assisi, patrono di Tramonti, risalenti al 1474. Il convento ha rappresentato nei secoli il luogo d’incontro e di aggregazione degli abitanti di tutta la valle.
Le altre dodici frazioni corrispondono ad altrettanti borghi storici, ciascuno con la sua parrocchia e i suoi monumenti e bellezze da visitare. C’è Pucara con la parrocchia di Sant’Erasmo e il conservatorio dei Santi Giuseppe e Teresa, fondato tra il 1662 e il 1676 per accogliere nobili fanciulle napoletane e poi divenuto convento delle suore di San Giuseppe e Teresa, che più volte accolse in visita Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. C’è Novella, con la sua bella chiesa di San Bartolomeo Apostolo e Sant’Antonio, compatrono di Tramonti. C’è Gete, nota per una cappella rupestre intitolata a San Michele arcangelo, ricavata in una cavità naturale nella roccia, dove sono scavati anche dei sepolcri antichi. C’è Ponte con la parrocchia di San Felice da Nola. C’è Campinola, dove la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista custodisce una pala d’altare raffigurante la Madonna tra San Giovanni Battista, san Francesco che presenta il committente Francesco Telese e musicanti del 1608, opera dell’artista umbro Ippolito Borghese, e un pregevole organo di Carlo Rossi del 1729. Di notevole interesse botanico è nel territorio di Campinola il Giardino segreto dell’Anima, che si sviluppa su otto terrazze, con un agrumeto, un importante roseto e una ricca collezione di piante officinali. C’è Corsano con la sua parrocchia delSantissimo Salvatore. C’è Capitignano con la chiesa dedicata alla Beata Vergine Maria. C’è Pietre, dove la chiesa di San Felice di Tenna è in una splendida posizione, aperta con il suo campanile e la canonica su un ampio sagrato; ricostruita dopo il sisma del 1688 ad una sola navata, mentre originariamente ne aveva tre, presenta opere e stucchi di gusto barocco, mentre la facciata è in stile neoclassico. C’è Figlino con l’antica chiesa di San Pietro apostolo che sfoggia un pregevole pavimento di maiolica della scuola di Capodimonte raffigurante dei pavoni, simbolo di eternità, e i limoni simbolo di Amalfi e della sua costiera; di rilievo anche i dipinti di epoca barocca e un bassorilievo rinascimentale; al di sotto della chiesa si trova una cripta con affreschi bizantini non aperta al pubblico. C’è Cesarano, il borgo più antico sotto il Monte Cerreto, la cui chiesa parrocchiale, intitolata a Santa Maria Assunta, fu edificata sull’antica fortificazione, dapprima con una sola navata a croce latina alla quale nell’ampliamento cinquecentesco furono aggiunte altre due navate e il campanile; ospita due tele di Luca Giordano: la Santa Vergine Assunta sull’altare maggiore e la Crocifissione; vi si trova un prezioso busto reliquiario di San Trifone, commissionato per grazia ricevuta dopo la peste del 1656, al quale i tramontani sono molto devoti. C’è Paterno Sant’Arcangelo con la sua chiesa dell’Ascensione e parrocchia di San Michele arcangelo. C’è Paterno Sant’Elia con il Monte Trivento, che si raggiunge percorrendo un bellissimo sentiero, dove sorgeva il castrum di Montalto, saccheggiato nel 1422 durante la guerra tra Filippo II d’Angiò e Alfonso V d’Aragona e poi espugnato da Ferdinando I nel 1461 e da allora abbandonato a favore del nuovo castello di Santa Maria la Nova; sulle rovine si erge la cappella di Santa Caterina; la chiesa di Sant’Elia presenta un portale in pietra lavica scolpita e un fonte battesimale del 1458 con lo stemma di Tramonti, tre monti sormontati da una mezza luna.
Le tredici chiese dei tredici borghi sono collegate dal Sentiero delle tredici chiese, 14 chilometri da percorrere a diverse altezze fino ai 500 metri. E da non perdere, su un’altura al centro della valle, il quattrocentesco Castello di Santa Maria la Nova, costruito a pianta rettangolare, con sedici torri di pietra calcarea e imponenti mura, che racchiudevano appartamenti, cucine, scuderie, carceri, sotterranei. Nell’Ottocento fu adibito a cimitero comunale. Se ne conserva parte della cinta muraria, di tredici torri e la cappella della Vergine Maria, dove si riunivano i parroci di tutti i borghi tramontani.
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