Nella serena notte di mezza estate, tutto il paese veglia, unito nell’attesa che le campane della chiesa madre inizino a suonare. Da tempo immemorabile, è quello, ogni 26 luglio, l’inizio di uno dei momenti comunitari più significativi per i figli di Sanza e per tanti altri fedeli cilentani.
Dopo la Messa, sparati i fuochi d’artificio segnale della festa, comincia per loro la marcia verso la cima del monte che sovrasta il paese. Tutti uniti nella lunga e accidentata salita tra le rocce chiare del Cervati, dietro la venerata statua dorata della Madonna delle Neve, racchiusa nella stipa di legno usata nella solenne uscita annuale. A portarla sulle spalle lungo il sentiero di circa dodici chilometri, con un passo sempre più veloce che pare annullare la fatica, sono i confratelli dell’Arciconfraternita di Santa Maria della Neve. A gruppi di otto alla volta, si danno il turno, forti e motivati, per tener vivo il rito antico al quale si preparano già da bambini. Nell’ascesa al monte carica di emozioni e di significati, i marunnari cantano devoti, dando il ritmo al cammino della lunga schiera di fedeli che li segue su per la montagna, portando le cente di ceri e fiori preparati dalle donne per essere poi lasciati al santuario.
Il dislivello è forte dai circa ottocento metri di altezza del paese alla sommità del più alto monte della Campania, mille metri più sopra, ma nessuno sembra soffrire la difficoltà dell’impresa. I giovani confratelli accompagnano la salita al suono di zampogne, ciaramelle, organetto e tammorre, mentre i portatori aumentano progressivamente il ritmo, tergendosi il sudore con le tovaglie appositamente ricamate, ricevute in dono dalle nonne quando sono entrati nel gruppo dell’arciconfraternita. La processione prevede solo due soste, ai Poggi della Madonna, e nei punti più ripidi dello stretto sentiero prende la forma di una catena umana solenne e suggestiva. Si procede per ore, nella notte, mentre i marunnari, più in alto, guadagnano metri aumentando progressivamente la velocità. Quando l’alba ha già scacciato le ombre della notte e si staglia familiare vicino alla vetta la sagoma del santuario più alto del Cilento, inizia la corsa dei marunnari con la stipa, per l’ultimo tratto. Arrivati in cima, davanti alla chiesa, aprono le porticine della custodia di legno e mostrano ai fedeli la statua della Madonna, portata ancora una volta sul monte da cui prende un altro dei suoi titoli – Madonna del Cervati - come accade da secoli.
Da quella giornata del 26 luglio, festa di Sant’Anna, la statua della Madonna con il Bambino resta nel santuario montano che le è dedicato per una decina di giorni, esattamente fino al 5 agosto, quando, con un’altra processione in direzione opposta, viene riportata dai marunnari e dai fedeli nella parrocchiale di Santa Maria dell’Assunta, nel borgo antico di Sanza. Ė quello, nel resto dell’anno, il centro del culto di Santa Maria delle Neve, rappresentato dalla statua cinquecentesca in legno dorato di fattura napoletana, attribuita alla bottega di Giovanni Meriliano da Nola e Domenico Napolitano, autori di altre effigi mariane esposte nelle chiese del Vallo di Diano.
Precedente al Mille, la chiesa incastonata nelle rocce bianche del Cervati è stata dichiarata Santuario dal 1993, quando è entrata a far parte delle cosiddette Sette Sorelle, ovvero i sette santuari mariani del Cilento. Estremamente semplice nella struttura, con una facciata di pietra locale perfettamente in armonia con la montagna, l’edificio sacro si compone di due ambienti attigui, ma distinti e risalenti a epoche diverse. La parte più antica è quella interna, del IX secolo, a pianta rettangolare, con una volta ad arco acuto e una parete absidale in cui si aprono tre nicchie, delle quali la centrale accoglie in quei pochi giorni d’estate la statua proveniente dal paese. L’ambiente più esterno, realizzato per fare più spazio ai pellegrini, è invece del XVIII secolo.
Se è solo nei giorni tra il 26 luglio e il 5 agosto che accoglie anche la statua più venerata, il Santuario della Madonna della Neve è aperto ai pellegrini e al culto, con la celebrazione della messa domenicale, dalla prima domenica di giugno alla seconda di ottobre. A prendersi cura della piccola chiesa sono confratelli dell’arciconfraternita laicale la cui origine è probabilmente coeva a quella della prima chiesa del Cervati e del culto di cui è espressione nella comunità di Sanza. Dove il gruppo di oltre cento fedeli ha sede in una cappella del 1863 della famiglia Campolongo, vicina alla chiesa madre dell’Assunta. Alla confraternita si accede da bambini, passando per fasi successive di formazione e di integrazione che hanno il senso di un vero e proprio rito di iniziazione. Far parte dell’arciconfraternita è ancora oggi un elemento distintivo e fortemente identitario per i sanzesi, che si dedicano a tener vivo il culto della Madonna della Neve e tutti i riti e le tradizioni che in mille secoli di storia vi si sono ispirati. A cominciare dai pellegrinaggi estivi, che per le loro particolarità sono stati riconosciuti come Elemento culturale immateriale campano.
I membri dell’arciconfraternita si occupano anche della cappellina posta sempre sul Cervati, poco più sotto il santuario, dal quale si osserva distintamente, insieme al meraviglioso paesaggio circostante.
La Grotta della Madonna
Tra i faggi maestosi della parte sommitale del Cervati, in una delle cavità che punteggiano la roccia carsica della montagna, forse dai monaci greci del monastero di Santa Maria di Sirippi vicino Rofrano fu anticamente posta un’altra statua della Madonna, anch’essa molto venerata. La sua collocazione è in una fessura nella pietra, inizio di una grotta che si estende dentro il monte, dedicata alla Vergine, rappresentata da una statua in stile bizantino di raffinata fattura.
A quella parte più antica del piccolo santuario in grotta, risalente all’epoca altomedievale, fu aggiunta nel XVIII secolo un’altra sala più accogliente per i fedeli. La tradizione racconta di un’apertura più ampia di accesso alla grotta della Madonna, che però fu ristretta per un miracolo per impedire che i ladri si impossessassero della statua. Quella attuale, in malta e gesso, potrebbe infatti averne sostituita una più antica e preziosa. Già oggetto di culto dei pellegrini cilentani.
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