Lo spartiacque fu l’arrivo dal Perù del pomodoro, agli inizi del Seicento. Una novità destinata a rivoluzionare le abitudini

alimentari e le tradizioni gastronomiche anche dei napoletani, che impiegarono circa un secolo a fare di quel frutto, rosso e saporito, uno dei pilastri della loro cucina, soprattutto popolare. Così, proprio a partire dall’ingresso in cucina del nuovo arrivato, si può stabilire un prima e un dopo nel modo di cucinare e anche di concepire la pizza nella città che si è conquistata sul campo l’onore di esserne considerata la patria e che ha saputo farne una delle sue eccellenze riconosciute a livello mondiale.

popolica

A voler essere precisi nella ricostruzione storica, la genesi della pizza non è proprio partenopea. Tuttavia, ha diversi elementi che possono associarla alla città fin dai tempi più remoti delle sue origini, nebulose perché quella che chiamiamo pizza è una evoluzione del pane. Un pane schiacciato, per l’esattezza, come quello che per primi sperimentarono i Greci, che anticamente lo definivano “plakùs” ovvero placenta, associazione decisamente significativa. In seguito, proprio in Grecia, quel tipo di pane ha preso il nome di “pita” e anche questo è un elemento da non trascurare nella storia della nostra schiacciata preferita. E Napoli era città greca, per fondazione e cultura...

E legatissimo alla città, che ne fece uno dei suoi numi tutelari, fu anche Virgilio. Proprio lui, nell’Eneide descrisse per la prima volta quel pane, usato come piatto e mangiato per la fame dopo ciò che conteneva. Evidentemente, era già entrato nel consumo dei popoli italici del I secolo a.C. Peraltro, tra le varie ipotesi formulate sull’etimologia della parola “pizza”, una delle più accreditare la fa discendere dal verbo latino pinsere, che vuol dire pestare e schiacciare. Nella versione attuale, diventata ormai di accezione comune in ogni angolo del mondo, il termine “pizza” è riconducibile ufficialmente al X secolo d.C., quando cominciò a comparire in contratti redatti in diverse città dell’Italia centrale, compresa Roma. Per trovarlo citato a Napoli, però, bisogna aspettare il Cinquecento, che poi è anche il secolo in cui fa la sua comparsa una schiacciata condita, in uso tra il popolo per la semplicità degli ingredienti, tutti a buon mercato.

popolica

La chiamavano mastunicola ed era una sorta di focaccia insaporita con strutto, aglio e sale grosso. Soffice e saporita, riempiva la pancia con poco e, facilmente trasportabile, si poteva mangiare ovunque. Col tempo si evolse in una versione più “raffinata”, con l’olio d’oliva al posto dello strutto, arricchita con il caciocavallo e aromatizzata con foglie di basilico. Rigorosamente bianca, perché il pomodoro era ancora solo americano.

Se la “mastunicola” era la pizza del popolo, per le classi agiate il termine pizza designava tutt’altra pietanza e così continuò ad essere per diversi secoli. Nel Cinquecento fu pubblicata la prima ponderosa raccolta di ricette, in sei volumi, sintesi puntuale della cucina rinascimentale, ad opera del cuoco dei papi Bartolomeo Scappi. Tra le mille ricette compaiono anche una Torta reale di polpa di piccione da Napoletani detta pizza bocca di dama e poi una Torta con diverse materie da Napoletani detta pizza. Entrambe erano dolci, con zucchero e frutta secca, la prima fatta di pasta frolla e la seconda di pasta sfoglia.

La pizza tra i gourmet dell’epoca continuò a identificare delle torte, dolci o salate. Vincenzo Corrado, che era cuoco molto rinomato a corte e alle mense dei nobili napoletani, ma anche uomo di lettere e filosofo,  nel suo celebre Il Cuoco galante del 1773 fu il primo a citare una versione salata della torta alla napoletana, che tra due strati di pasta sfoglia accoglieva mozzarella, ricotta, provola, prosciutto, salsiccia, pancetta, uova, pepe e cannella. Quella era la “pizza rustica” dei nobili, mentre il popolo continuava a frequentare la “mastunicola” e la pizza con i “cecinielli”, ovvero dei piccoli pesci. Ma nel frattempo, il popolo partenopeo aveva scoperto e apprezzato la novità americana: il pomodoro. E nel corso del Settecento ne aveva fatto il condimento preferito per i maccaroni e per la pizza. E infatti è del 1734 l’origine riconosciuta della pizza marinara con olio, aglio, pomodoro e origano, praticamente l’evoluzione rossa della “mastunicola”. Chiamata marinara, perché era la preferita di pescatori e marinai per la facilità di trasporto degli ingredienti fondamentali. E ancora oggi resta al secondo posto tra le predilette degli amanti della pizza.

Niente a che vedere, comunque, con la versione “colta”, che ancora era l’unica segnalata nei ricettari in voga nell’Ottocento. Anche se Ferdinando I di Borbone amava moltissimo la pizza “popolare”, quella di ‘Ntuono Testa in particolare, che tentò, con molte resistenze della regina, di introdurre nei ricevimenti a corte. Tornando ai ricettari ufficiali, nell’anonima “Cucina Casareccia” del 1828, compare come un dolce di pastafrolla ripieno, mentre nel libro del 1837 di Ippolito Cavalcanti, in una appendice in napoletano, è descritta la ricetta di una  “pizza rusteca” e di una “pizza doce” con amarene, bianco mangiare e ricotta. E sempre di ricotta è la torta-pizza presente nel celeberrimo ricettario di Pellegrino Artusi del 1891. 

A raccontare la pizza “di strada”,  che era diventata cibo amato e diffuso nei vicoli del cuore di Partenope, fu per primo Alessandro Dumas padre, attento e appassionato osservatore e narratore della Napoli popolare. Ne “Il Corricolo” del 1843, facendo riferimento ad un viaggio del 1835, scrisse anche della pizza come una schiacciata, rotonda, lavorata come la pasta per il pane, di cui elencò i condimenti delle varie versioni: all’olio, al lardo, allo strutto, al pomodoro e ai pesciolini. E intorno al 1830, nel libro “Napoli contorni e dintorni” di un certo Riccio, per la prima volta si riporta il connubio tra pomodoro e mozzarella: un’altra svolta nella storia della pizza.

Secondo la tradizione, la versione pomodoro e mozzarella, diventata la più famosa e richiesta pizza nel mondo, risale al 1889.  Era il mese di giugno quando, in occasione della visita del re Umberto I di Savoia e della regina Margherita, il miglior piazzaiolo dell’epoca, Raffaele Esposito, della pizzeria alla salita di Sant’Anna di Palazzo, ebbe l’onore di preparare la pizza per i sovrani. Gliene propose tre: la storica Mastunicola bianca, la prima rossa Marinara e una con i colori della bandiera italiana: il rosso del pomodoro, il bianco della mozzarella, disposta come i petali di una margherita in onore della regina, e il verde del basilico. Quest’ultima colpì talmente la sovrana, che scrisse di suo pugno un ringraziamento ad Esposito. E il pizzaiolo più famoso decise di chiamare, quella, pizza Margherita. In realtà, la pizza mozzarella e pomodoro esisteva già, descritta nel libro “Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti”, pubblicato dall’editore svizzero Francesco de Bourcard nel 1853.

Marinara e margherita sono le “napoletane” per eccellenza, in base alle quali è stato sintetizzato il disciplinare internazionale dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, redatto nel 1984 da Antonio Pace e Lello Surace con la collaborazione dei più rinomati pizzaioli partenopei. La vera pizza napoletana è rotonda, di diametro tra i 22 e i 35 centimetri; dal cornicione alto non oltre i due centimetri, gonfio, soffice e dorato, senza bruciature. La parte centrale di spessore non superiore a un quarto di centimetro accoglie il condimento, con prodotti preferibilmente campani: pomodori pelati frantumati a mano con pezzi ancora evidenti o pomodorini freschi tagliati a spicchi; mozzarella di bufala DOP tagliata a fette o  fior di latte tagliato a listelli, che vanno distribuiti uniformemente; formaggio grattugiato che, quando usato, va sparso con movimento rotatorio uniforme; foglie di basilico fresco sui condimenti e olio extra vergine di oliva, versato con l’apposita agliara di rame dal becco lungo e stretto, per far passare un filo d’olio sottile e continuo, aggiunto con movimento a spirale. Cotta rigorosamente in forno a legna, a temperatura tra  i 430 e i 480 gradi, per 60/90 secondi, garantendo con specifici movimenti una cottura uniforme su tutti i lati.

Dal 5 febbraio 2010, la Pizza Napoletana è una Specialità Tradizionale Garantita STG dall’Unione Europea. 

Copyright video, foto e testi © 2020