La piana di Capua aveva fama di grande fertilità. E varie erano le produzioni agricole di cui quella terra era prodiga. Lo sapeva bene il viceré Michele Reggio e Branciforte, che infatti suggerì a re Carlo di Borbone di acquistarvi dei terreni.

E la scelta cadde sul feudo del conte di Acerra, Ferdinando de Cardenas, posto tra due fiumi: a nord il lungo Volturno e a sud quello che allora si chiamava ancora Clanio, prima della realizzazione dei Regi Lagni. Una proprietà immensa, ben duemila ettari, in gran parte coltivati a cereali, foraggi, legumi, canapa e lino, ma anche con una parte paludosa e un’altra boscosa, dove si svolgevano le battute di caccia. Che furono il motivo che portò in quei luoghi re Carlo, il fondatore della dinastia dei Borbone di Napoli. 

E siccome frequentava quei possedimenti personalmente e con la corte, il re pensò di costruirvi una residenza di campagna, che potesse accoglierlo con il suo seguito. Così nel 1744 vide la luce la tenuta di Carditello, che doveva il suo nome alla proliferazione di cardi. A firmare il progetto e a curarne la realizzazione fu l’architetto romano allievo di Vanvitelli Francesco Collecini, a cui in seguito sarebbe stato affidato da re Ferdinando IV anche l’ampliamento del palazzo di San Leucio. 

L’edificio principale e centrale, caratterizzato da un loggiato e da un belvedere, si accompagna ad altre strutture di servizio adiacenti e affaccia, come queste ultime, su una grande distesa coltivata a prato, dalla forma ellittica, con un tempietto circolare al centro e, sui lati estremi, delle fontane con obelischi.

Fu il primo pittore di corte, Jakob Phillip Hackert, a curare sia le decorazioni degli interni che gli arredi moderni, in parte acquistati a Parigi e in parte realizzati apposta da artigiani locali. E sempre Hackert firmò il progetto delle pitture murali dell’appartamento reale, che affidò ai migliori artisti del momento: Fedele FischettiGiuseppe CammaranoGiuseppe MagriDomenico Chelli Carlo Brunelli, autore dei monocromi che adornano la chiesa a pianta centrale e la tela dell’altare dedicata a L’Ascensione di Cristo. Mentre Angelo Brunelli si occupò di dipingere le volte e di creare i bassorilievi in stucco che impreziosiscono ulteriormente i due grandi e scenografici scaloni simmetrici che salgono al piano nobile.

L’APPARTAMENTO NOBILE

I lavori di restauro degli ultimi anni hanno sanato alcune delle criticità che il lungo periodo di abbandono e trascuratezza aveva prodotto. Come la sostituzione del marmi trafugati nel tempo e il recupero dei bassorilievi di Carlo Beccalli,, che raffigurano trofei di caccia e motivi architettonici sul soffitto. Mentre in alcuni punti “strategici” compare la figura del cardo, simbolo della tenuta.  Di grande pregio gli abbellimenti della sale dell’appartamento privato dei sovrani e della corte. C’è  la Sala di Diana, le cui pareti sono adorne di pitture ispirate a episodi mitologici, mentre sotto il soffitto è usata la monocromia con tutte le sfumature del grigio per rappresntare Diana munita di arco e di frecce. C’è la Sala dei paesaggi, lo studio di Maria Carolina, che si chiama così per le scene agresti ideate da Phillip Hackert: sulla sinistra, un affresco della reggia di Caserta appena costruita; sulla destra, una veduta delle campagne di Capua con i contadini al lavoro e, in posizione frontale, un suggestivo scorcio di Napoli, mentre la volta è decorata da un trompe l’oeil di Domenico Chellicon putti che volano nel cielo azzurro. C’è la Biblioteca, voluta da Maria Carolina (dove fu firmato lo statuto di San Leucio), con dipinti degli animali delle caccie reali, mobili di pregio, sontuosi tendaggi, camini di marmo grigio di Mondragone e legno, opera di maestranze da mezza Europa. C’è il Salone delle feste con la volta decorata da Fedele Fiaschetti nel 1791, dedicata alla nascita dinastia borbonica con il dipinto L’apoteosi di Enrico IV.  C’è la Sala della tavola matematica, dov’era una tavola che veniva fatta salire tutta imbandita dalla cucina con un sistema di funi e carrucole. C’è la Camera oscura, forse una sala da gioco, con un lucernario formato da un occhio strombato detto pozzo di luce. C’è la Sala  delle quattro stagioni,  con bozzetti disegnati da Hackert e realizzati da Giuseppe Cammarano. A parte i dipinti, gli oggetti preziosi furono in parte distrutti dalle truppe francesi o dispersi tra le altre regge nel 1799. Così la ricca quadreria di nature morte fu trasferita a Caserta, gli arazzi su disegno di Fischetti spostati nel Palazzo reale di Napoli e i mobili e gli arredi divisi tra Caserta e Capodimonte. Le altre Reali Delizie di cui Carditello faceva parte a pieno titolo, visto che i sovrani usavano soggiornarvi.

C’è anche una chiesa, la Cappella dell’Ascensione in stile neoclassico, con splendidi stucchi che delineano una volta a cassettoni dove compare di nuovo il fiore di cardo. Al centro della volta, l’affresco dell’Eterno Padre con angeli e santi: nei pennacchi le virtù Eternità Sapienza, Misericordia e Giustizia e, sul palchetto, La nascita di Gesù La fuga in Egitto 

Il restauro recente ha permesso di recuperare le quattro storiche meridiane della tenuta.

UNA FATTORIA E TENUTA AGRICOLA MODELLO

Fu Ferdinando IV a ripensare la funzione di Carditello rispetto all’idea originaria del padre: dunque, non più solo tenuta di caccia, bensì fattoria modello e tenuta agricola per coltivazioni sperimentali, fatte con metodi d’avanguardia e utilizzando le prime macchine agricole. E centro di allevamento di razze equine e bovine, frutto di nuovi incroci.

Ad essere notevolmente implementato fu l’allevamento delle bufale, presenti già da almeno sei secoli nella piana di Capua. Grazie al caseificio attivato all’interno della tenuta e alla notevole quantità di latte bufalino che vi veniva lavorato, fu avviata la Reale Industria della pagliata delle bufale, ovvero la prima produzione di “mozzarella” su larga scala, decisiva per la conoscenza e la diffusione di quel particolarissimo formaggio.

Ferdinando vi volle trasferire l’allevamento dei pregiati cavalli di razza Persano. Per addestrarli fu creato il Galoppatoio, il più grande ippodromo al mondo presente  in una residenza reale. I sovrani solevano assistere alle evoluzioni dei cavalli nel tempietto centrale, mentre i dipendenti della tenuta  assistevano alle gare da spalti appositi. E c’era un fossato, che il passaggio dell’acqua che irrigava il prato. Oggi, al fine di verificare lo stato di salute dell’ambiente che qualifica la tenuta, è stata installata  una stazione di biomonitoraggio, che si avvale della collaborazione delle api, perché se ne analizzano i prodotti come indicatore ambientale.

LA STORIA DOPO I BORBONE

La tenuta fu occupata dai garibaldini nel 1860, per poi essere trasferita nella proprietà  di Casa reale Savoia. Nel 1920 gli arredi e gli edifici  furono assegnati al demanio dell’Opera Nazionale Combattenti,  che lottizzò e mise in vendita gran parte degli oltre 2000 ettari della tenuta, che rimase con l’edificio centrale e 15 ettari circostanti a raggiera. Nel secondo dopoguerra, divenuta patrimonio del Consorzio generale di Bonifica del bacino inferiore del fiume Volturno, precipitò in progressivo degrado, che sembrava inesorabile. Fin quando nel 2013 il complesso non è stato  stata acquistato dal Ministero dei Beni culturali  nel 2013 e ne è iniziato il recupero Nel 2016 è stata costituita la  fondazione Real Sito di Carditello di cui fanno parte il Ministero, la Regione e il Comune di San Tammaro. E’ così iniziato il  recupero della vocazione agricola originaria e della cura delle razze selezionate, in particolare di cavalli Persano. E l’apertura al pubblico si accompagna ad attività culturali e ad iniziative legate al settore agroalimentare, realizzate in sinergia con università e istituti di ricerca.