Tra le mura costruite dagli Aragonesi che lo resero inespugnabile nei secoli, il Castello racchiude la sintesi della storia di Ischia dal Medio Evo al 1809, quando fu abbandonato dalla popolazione e trasformato in carcere dai Borbone.

Nella grande cattedrale dedicata all’Assunta, per oltre un secolo,i putti scolpiti hanno osservato dall’alto le fastose celebrazioni religiose. Sono i superstiti di una folta schiera di testimoni silenti. nella chiesa madre, cuore religioso del Castello Aragonese, che al loro avvento aveva già ceduto all’isola grande quasi tutte le sue funzioni e la sua popolazione. Disseminati in ogni angolo, i putti paffuti avevano rappresentato, in quei primi decenni del ‘700, il nuovo gusto imperante al quale venivano via via adeguati tutti gli edifici sacri ischitani.

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E la chiesa madre ancora sull’Insula Minor non aveva fatto eccezione. Per volontà del vescovo Capecelatro, non si era salvato quasi nulla dell’antico per fare spazio agli stilemi rococò allora in voga. Compresi gli stucchi introdotti per abbellire pareti, archi e colonne, affidati ai fratelli Starace, Francesco e Cesare, il fior fiore degli artefici della capitale di là dal mare, che per un trentennio furono assidui sull’isola per lavori nelle chiese di Ischia Ponte e a Forio, Panza e Barano.

C’è voluto tempo per riuscire a ritrovare la “firma” degli Starace nei putti dell’antica cattedrale risparmiati dalle bombe inglesi, che nell’estate del 1809 distrussero gran parte del tempio. E tanti altri edifici della fortezza, vinta e ferita per la prima volta nella sua storia di tanti assedi e di altrettante vittoriose resistenze. Ci sono voluti più di due secoli. Fino a quando è cominciato il restauro per salvarli da un destino che pareva già segnato.

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Le mani esperte dei restauratori hanno provveduto con tutta la delicatezza possibile a consolidare gli intonaci che si stavano polverizzando, per la continua e prolungata esposizione agli agenti atmosferici.

Lo studio delle superfici ha rivelato nei putti una tecnica realizzativa di altissima qualità. Gli angeli sono stati modellati direttamente nella muratura, donando a ciascun volto, sotto i ricci ribelli, l’aspetto e l’espressione che lo rendono unico: imbronciato, sorpreso, sorridente, curioso, sognante... Così lavoravano gli Starace, è quella la loro “firma”. Evidente anche nei rami fioriti, tornati al loro splendore originario. Perciò non c’è stato bisogno di ricostruire o rimodellare le figure con la polvere di marmo, che servirà solo a preservarli in futuro dall'erosione subita nei secoli passati.

Il lavoro in quel che resta dell’abside è solo il più recente dei numerosi interventi compiuti negli ultimi anni sul Castello, tra l’antica cattedrale coperta solo dal cielo e la cripta sottostante. Ormai un restauro continuo, frutto della partnership con l’Istituto Europeo del Restauro, che ha sede sulla rocca, con la supervisione della Soprintendenza e la collaborazione scientifica dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Grazie a queste sinergie, l’antico complesso sacro ha cominciato a raccontare una complessa e appassionante storia, per secoli caduta nell’oblio.

Già il restauro della cappella a sinistra dell’abside aveva riportato alla luce stucchi di un barocco pesante, di gusto spagnolo. E indicato negli ultimi anni del ‘600 l’inizio della rivoluzione barocca della cattedrale. Ma il recupero di quanto rimasto della navata sinistra aveva evidenziato anche una delle arcate di piperno caratteristiche della chiesa cinquecentesca e ancora angeli, nelle tracce di un affresco di chiara matrice rinascimentale. Pochi elementi, sufficienti tuttavia a gettare un fascio di luce sul valore artistico-architettonico che la cattedrale dell’Assunta doveva avere nel momento di massimo fulgore della Città d’Ischia, fedelissima vedetta e custode del golfo e, dunque, delle sorti di Napoli e del regno aragonese.

 

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La rocca inespugnabile, dove la governatrice Costanza D’Avalos e la giovane poetessa Vittoria Colonna, animavano uno dei cenacoli culturali più importanti dell’Umanesimo italiano, frequentato dai maggiori letterati dell'epoca. E sotto le volte affrescate della cattedrale si celebrarono, il 27 dicembre 1509, le nozze tra Vittoria e Ferrante D’Avalos, nipote di Costanza, prima lama del Regno di Napoli, tramandate dalle cronache per il fasto e le illustri presenze.

Dietro l’arcata di piperno è emerso pochi anni fa un altro tassello sconosciuto della storia della cattedrale. Complice la mancanza di piante e disegni antichi. Nell’effettuare i saggi preliminari per consolidare la volta di una cappellina da sempre chiusa, si notarono dei riflessi colorati. Fu scoperta così, per caso, una volta sottostante completamente affrescata. Eliminato il grigio strato settecentesco, tornò alla luce parte della chiesa del ‘300, con i gigli di casa d’Angiò dorati in campo verde-turchese, contornati da decorazioni geometriche bianche e rosse.

E al di sotto emersero delle cunette con affreschi di figure sacre, che dovevano essere presenti in tutto il resto della chiesa nella sua versione originaria di epoca angioina.

La cattedrale del Castello già aperta al culto nel 1306, in stile gotico, era stata edificata solo da pochi anni quando re Roberto d’Angiò la visitò con la regina Sancha e un folto seguito, nella primavera del 1309. La prima fabbrica sacra realizzata dopo l’eruzione vulcanica del 1301, che aveva spopolato l’isola grande, davanti all’isolotto fortificato. Dove gli abitanti, di ritorno sull'isola dopo l’evento naturale che li aveva bruscamenti allontanati, si erano stabiliti numerosi, spostandovi tutte le funzioni della Città d’Ischia. E anche la cattedrale, costruita ex novo, nella quale le famiglie nobili residenti sulla rocca chiamarono in seguito i migliori artisti attivi a Napoli per abbellirla come meritava. E in quel periodo a Napoli era fortissima l'influenza di Giotto, chiamato a Napoli da Roberto d’Angiò nel 1328, come primo pittore di corte, per la quale lavorò fino al 1333, lasciando la sua impronta in Santa Chiara e a Castel Nuovo, dove formò numerosi artisti locali.

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E’ proprio la scuola giottesca il collegamento tra la chiesa superiore e l’edificio sottostante, identificato come cripta della cattedrale, ma in realtà una chiesa autonoma preesistente. E gli affreschi trecenteschi della cappella Bulgaro, oggi interamente restaurata, sono stati collegati agli artisti giotteschi della corte angioina. Come le pitture della cattedrale.

Un altro dei segreti della cripta è stato già disvelato. Anni fa, durante la verifica di una parete malridotta, fu rinvenuto un sottostante deposito di terra e di ossa. Nel rimuoverne il contenuto, poi, comparvero sorprendentemente delle pareti dipinte: si trattava di una cappella nascosta. Il restauro ha recuperato opere dipinte da mani diverse in periodi differenti: i dipinti più antichi, di influenza bizantina, della fine del ‘200, dimostrano una preesistenza di quel luogo di culto alla stessa cripta. Mentre un “Cristo tra la Madonna e San Giovanni”, degli anni Quaranta del ‘300, è stato attribuito dopo il restauro al Maestro di Giovanni Barrile.

castello particolare1Napoletano, tra i più attivi allievi di Giotto con cui collaborò a Castel Nuovo e a Santa Chiara, il Maestro è identificato dal nome della cappella Barrile che dipinse in San Lorenzo Maggiore a Napoli.

Uno stemma duecentesco ha consentito di attribuire con certezza la proprietà dell’antica cappella alla famiglia Calosirto, che nel 1654 darà i natali al Santo ischitano, Giovan Giuseppe della Croce.
Dietro la parete di pietra dell’abside barocca c’è un’intercapedine. Sono in progetto saggi per verificare cosa ci sia dietro. Le sorprese tra le stupefacenti rovine della cattedrale potrebbero non essere finite...

Informazioni utili
Il Castello Aragonese è aperto sette giorni a settimana, tutto l’anno, dalle ore 9.00 del mattino fino al tramonto.
Biglietto intero: 12€ 
Biglietto ridotto 10€

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