L’alberata aversana si sviluppa tutta in altezza.

Quella dei pioppi su cui si arrampicano le viti di Asprinio, un vitigno a bacca bianca che popola esclusivamente i terreni dell’agro aversano nel territorio di ventidue Comuni.

Lì la vendemmia si fa con scale altissime, per raggiungere i grappoli, che crescono sulle spalliere delle viti sorrette dagli alberi fino ad un’altezza record di venticinque metri. Impianti tanto spettacolari e inusuali da essere diventati elemento caratteristico del paesaggio nei terreni aversani, dove i vitigni di Asprinio, ancora oggi franchi di piede perché non minacciati dalla fillossera, furono introdotti in epoca angioina. Pare che sia stato proprio re Roberto d’Angiò a commissionare la ricerca di una zona adatta all’allevamento di quel particolare vitigno, affinchè se ne potesse trarre il miglior vino frizzante. E l’agro aversano si è rivelato perfetto per la produzione, oltre che del bianco Doc, anche dello spumante destinato ad essere riconosciuto come un “secco” senza rivali. Di cui è particolarmente apprezzato l’abbinamento con la mozzarella di bufala. Il felice incontro tra due indiscutibili eccellenze casertane.

Le alte spalliere di Asprinio rappresentano la classica eccezione alla “regola” dell’allevamento basso, introdotto dai Greci ventinove secoli fa in Campania, nei loro insediamenti insulari e costieri, e ben presto diffuso in tutti gli altri territori vocati alla viticoltura, compresa la Campania Felix. Dove i terreni acidi e freschi nell’area del vulcano di Roccamonfina sono la patria del Galluccio, un Doc ottenuto per il bianco da Falanghina e per il rosso e rosato da Aglianico. Gli stessi vitigni, coltivati nella zona del Massico - un tempo nota come ager Falernus - in cinque Comuni tra cui Sessa Aurunca e Mondragone, danno il Falerno del Massico Doc, uno dei vini più amati dai Romani, descritto da Plinio per le caratteristiche della sua produzione e cantato da Catullo e da tutti i grandi poeti e letterati latini.