Tanto familiare, eppure ancora percepito come lontano dalla nostra quotidianità. Il tema della biodiversità, più volte evocato in Isole verdi, il corso di formazione per operatori turistici promosso dall’Area Marina Protetta Regno di Nettuno, è stato protagonista assoluto del primo incontro con Nino Martino, docente di master sulle aree naturali protette e il capitale naturale all’università La Sapienza di Roma e direttore tecnico di Aigae, l’Associazione italiana guide ambientali ed escursionistiche.
Un’occasione per approfondire a tutto tondo il concetto di diversità biologica nelle sue molteplici connessioni e implicazioni. Proprio quelle che ne chiariscono il valore rispetto ai fenomeni globali, ma che lo avvicinano anche alle nostre esperienze di vita.
Il relatore è partito dal definire la biodiversità, che identifica il numero, la varietà e la variabilità degli organismi viventi sulla Terra. Si tratta, dunque, di un valore da coltivare. E sostanzialmente biodiversità e vita sono la stessa cosa.
Il valore della diversità
Tre sono i livelli della biodiversità, i geni, le specie e gli ecosistemi e sono tutti connessi fra di loro. E infatti se, per ipotesi estrema, esplodesse un arcipelago vulcanico nel Pacifico, gli effetti sarebbero devastanti per la vita in tutto il pianeta e forse solo pochi umani sopravvivrebbero, ma la vita in generale resisterebbe, grazie all’adattabilità di altre forme viventi. E la variabilità delle specie viventi consiste proprio nella loro capacità di adattamento. Anche alle condizioni più estreme. A Yellowstone, il più antico parco naturale al mondo, che compirà 150 anni di vita il prossimo anno, nei punti dove si raggiungono i 250 gradi di calore non c’è vita, ma a 220 gradi invece vivono dei batteri, ciò che lascia immaginare che vi possano essere forme di vita su Venere.
C’è poi la diversità genetica, che indica la variabilità all’interno di una stessa popolazione e tra le popolazioni di organismi della stessa specie. Come si riscontra nelle popolazioni umane. È stato grazie alla mappatura genetica oggi possibile, che si è potuto risalire a come gli ominidi di vario ceppo si sono sparpagliati per il mondo.
I mutamenti genetici sono stati favoriti soprattutto in agricoltura, nei millenni, con selezioni successive – oppure oggi con gli Ogm – che hanno determinato le trasformazioni delle specie. Il carciofo, per esempio, in natura non esiste, ma è una mutazione provocata da una selezione nel tempo partendo da un cardo selvatico. Ci sono un miliardo di geni al mondo, che si prestano a combinazioni infinite di cui nessuno ha conoscenza.
Anche la diversità delle specie è un valore, perché la vita si esprime attraverso numeri elevati. Il numero delle specie viventi è stimato tra i 5 e i 100 milioni, ma ne conosciamo solo 20 milioni e non c’è ancora un’unica classificazione che le renda tutte riconoscibili. Peraltro, solo di 1,7 milioni possediamo una descrizione scientifica.
E poi c’è la diversità degli ambienti naturali, degli ecosistemi. Questi più sono complessi più hanno possibilità di sopravvivere, adattandosi a disastri e cambiamenti climatici. Dunque, le specie più diverse sono quelle che danno il maggior contributo alla biodiversità. E a questo è connessa anche l’importanza ecologica di una specie: un albero della foresta tropicale sostiene tante altre specie vegetali e animali e la sua perdita implica anche quella di tutte le altre specie che ci vivono.
Esemplare il caso della Posidonia, le cui foreste hanno bisogno di grandi estensioni per svolgere la loro funzione a beneficio di tante altre specie. Senza l’ossigeno che producono i posidonieti, il Mediterraneo con il suo lentissimo ricambio sarebbe un catino dove la vita sarebbe difficile per vegetali e animali. E, di conseguenza, senza la Posidonia non ci sarebbero neppure la stragrande maggioranza delle attività di pesca e di turismo.
Conservare la biodiversità
La conservazione della biodiversità è un problema su cui sta ancora lavorando, come sull’impatto sugli ecosistemi e sulla vita. Comunque, si è compresa la necessità di evitare la frammentarietà degli habitat e di garantirne, perciò, la connessione. Così si stanno realizzando ecodotti, corridoi ecologici. Le isole protette ormai non bastano più, sono invece indispensabili politiche di conservazione che agiscano al di fuori dei parchi e delle aree protette.
D’altra parte, la gestione del pianeta in un’ottica di biodiversità è condizionata dalla velocità dei cambiamenti indotti dalle attività umane. Cambiamenti legati ad un incremento globale dei consumi sulla scia dei Paesi più ricchi. Ma il pianeta non ha tutte queste risorse e allora bisogna forse cambiare il modello di sviluppo? Sta di fatto che la biodiversità raggiunse il suo massimo livello durante il Pliocene e il Pleistocene, quando i cambiamenti climatici e l’avvento dell’uomo bloccarono il processo.
Biodiversità e regioni geografiche
L’Italia è uno dei Paesi con maggiore biodiversità al mondo. Merito della sua forma allungata, che fa sì che sia attraversata da ben cinque regioni biogeografiche.
Tra i più delicati sono gli ambienti umidi, che subiscono una sempre più forte pressione antropica, oltre al problema del sale che mette in difficoltà alcune specie. Le zone tropicali, che occupano il 6/7 per cento della superficie terrestre, detengono tuttavia il primato di biodiversità, con il 90 per cento delle specie viventi, in particolare la microfauna. Tra tutti, poi, l’habitat più fragile è la barriera corallina, che sta subendo già conseguenze dall’acidificazione dei mari e che altre potrebbe averne per effetto dello scioglimento dei ghiacci ai Poli, con conseguente innalzamento del livello del mare. Questo potrebbe aumentare tra uno e tre metri con rischi altissimi per tutte le aree costiere. Ciò che è già successo quando, per effetto di un altro cambiamento climatico, un mare interno si trasformò nel deserto del Sahara e di altre trasformazioni simili non sappiamo nulla.
L’evoluzione ha raggiunto livelli di specializzazione e di complessità che ci sfuggono anch’essi. Martino ha fatto cenno alle orchidee, che per riprodursi imitano la femmina del bombi, attirando il maschio alla ricerca di femmine. Quello, posandosi sui fiori, effettua lo scambio genico necessario a riprodurre le piante di cui ha gustato il nettare. Se conoscessimo i meccanismi di questa evoluzione tanto specialistica, ciò sarebbe utile per combattere il cambiamento in corso.
Perdita di biodiversità
Nel ‘700 con la rivoluzione industriale e l’avvento delle macchine a vapore, la diffusione delle armi da fuoco e l’affermazione della borghesia, cambia anche la caccia, che produce estinzioni di specie accertate per la prima volta. Non a caso, le prime associazioni di tutela ambientale nacquero allora in gran Gran Bretagna, patria della rivoluzione industriale. Certo, le estinzioni appartengono alla normalità, ma un conto è che avvengano su scala geologica, un conto, come ora, su scala umana.
Particolarmente grave è che la velocità con cui si stanno estinguendo specie vegetali e animali è tale, che molte di esse scompaiono dal pianeta prima che noi abbiamo avuto la possibilità di identificarle e conoscerle. Un patrimonio prezioso che viene meno senza che ce ne accorgiamo, ma privandoci di tante specie utili, con un danno scientifico, ma anche economico, anche volendo prescindere dal profilo etico.
All’origine di questo impoverimento ci sono: caccia e pesca non sostenibili; lo sterminio deliberato di alcune specie; le raccolte per collezioni; il mercato internazionale di certi prodotti (zanne degli elefanti, i corni dei rinoceronti, per esempio); l’alimentazione tradizionale e delle credenze popolari. La pesca al tonno rosso, un tempo gestita in modo sostenibile grazie alle tonnare, oggi mette a rischio la specie. Cause indirette della perdita di biodiversità sono: la frammentazione, distruzione e modifica degli habitat; i cambiamenti climatici in atto e la desertificazione.
Perché mantenere la diversità biologica?
Custodire la diversità biologica non è solo un fatto etico e culturale, ma risponde a esigenze e utilità specifiche per gli esseri umani: mantenere la biosfera, per sostenere la vita umana, che non può prescindere dalla produzione di ossigeno di boschi e foreste; conservare sostanze medicinali naturali, che perdiamo in molti casi prima ancora di conoscerne l’esistenza, a discapito prevalentemente dei popoli più poveri che ne fanno largo uso, non avendo accesso ai medicinali chimici di sintesi, ma anche del resto dell’umanità che perde opportunità di salute; proteggere il suolo dai fenomeni di dissesto idrogeologico, conseguenti in molte aree alla distruzione delle foreste di mangrovie, che svolgono la funzione di salvaguardare le zone costiere, impedire la desertificazione, favorire la riproduzione di zone ittiche; tutelare i sistemi di pesca sostenibile, per arginare l’emigrazione e la povertà
Un mondo sconosciuto
Il continente sud-americano è il più ricco di specie vegetali, con un terzo delle piante superiori del mondo, ma anche il meno esplorato. Proprio lì si sta procedendo alla sistematica distruzione delle foreste e delle evidenze ambientali con ripercussioni globali. E poi le foreste tropicali con il 50 per cento degli organismi del mondo e una superficie appena del 6 per cento. Si calcola che sia del 15 per cento la quantità di specie che si estinguono ogni anno e che vanno perdute in un decennio tra il 2 e il 5 per cento delle foreste.
Solo in Italia, dove abbiamo 5mila specie vegetali e 57mila della fauna, ben il 68 per cento è minacciato di estinzione. E questa perdita di biodiversità, non meno di quella delle altre zone del mondo, pesa sul futuro dell’umanità e rappresenta una sfida collettiva di sopravvivenza a cui ciascuno può dare un contributo importante, con le scelte e le buone pratiche adottate nella vita di ogni giorno.
AREA MARINA PROTETTA DELLE ISOLE FLEGREE REGNO DI NETTUNO
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