È stato il filo conduttore di tutti gli incontri proposti finora da Isole Verdi, il corso di formazione per operatori turistici promosso dall’Area Marina Protetta Regno di Nettuno.
Non c’è stato argomento esplorato dai vari relatori che si sono susseguiti in queste settimane, che non abbia finito per ricollegarsi alle caratteristiche geomorfologiche dell’isola sia nella parte terrestre emersa che in quella sottomarina. Un esito inevitabile per un’isola che è per definizione un campo vulcanico dalle numerose e importanti peculiarità, che ne hanno fatto nel tempo un territorio di ricerca ideale per gli studiosi, anche perché continua a riservare sempre nuovi motivi di interesse.
E dunque l’appuntamento con il geologo Carlo Donadio, docente dell’Università di Napoli “Federico II”, trattando specificamente della geologia di Ischia, ha tirato le fila di tutti i discorsi precedenti, presentando una efficace e articolata sintesi di un tema estremamente vasto, con il valore aggiunto di una esposizione chiara e comprensibile ai non addetti ai lavori senza per questo sacrificare la precisione scientifica dell’approfondimento. Che ha riguardato anche Procida e Vivara, sebbene le due isole siano state poco indagate dal punto di vista geologico, tanto più al confronto della quantità e qualità di materiale e di studi realizzati sulla vicina Ischia.
A dimostrazione di quanto Ischia sia stata oggetto di attenzione da parte della scienza che studia la terra nella sua continua evoluzione, Donadio ha illustrato le numerose carte sul territorio dell’isola che ne rappresentano i diversi aspetti di interesse geologico. A cominciare dal ricco materiale geocartografico della Guida geologico-ambientale della Regione Campania sull’isola d’Ischia. Per passare alla carta tettonica che con una immagine tridimensionale evidenzia come l’isola sia collegata alla piattaforma continentale a nord, est e ovest, mentre nella parte meridionale, a poca distanza dalla costa, si trovi la scarpata del golfo di Napoli, dove il fondale marino precipita velocemente raggiungendo profondità significative. In quella direzione si trova anche il Canyon Magnaghi e ancora più a sud/est il canyon Dohrn. Peraltro, sulla variazione del fondale marino di 20mila anni fa ha influito la glaciazione Würm del Pleistocene, che coincise con una grande attività vulcanica sia nella zona del Somma Vesuvio, che in quella dei Campi Flegrei e delle isole di Ischia e Procida. E Donadio ha illustrato questi tre centri vulcanici presenti nel golfo di Napoli.
Venendo a Ischia, Il relatore ha fatto riferimento alla carta vulcanologica dell’isola del 2018, molto recente, che comprende anche Vivara, dove si sono evidenziati diversi aspetti geologici collegati all’attività vulcanica di Ischia. Lo schema dei vari periodi di quest’ultima ha come indicazione cronologica più antica 150mila anni fa. Da quel termine ai 73mila anni si ritrovano sieniti e l’affioramento da mare di lave scure. Sono difficilmente databili le rocce della fase tra i 60mila e i 56mila anni fa, mentre ad una terza emissione, tra i 56mila e i 33mila, corrisponde l’eruzione del tufo verde, un geomateriale molto importante, che si scava e si lavora facilmente tanto che vi si realizzavano anticamente cellai e perfino abitazioni ne grandi massi franati più in basso. Tra i 29mila e i 13mila anni l’attività vulcanica andò diminuendo, poi si arriva alle eruzioni degli ultimi 3700 anni fino all’ultima del 1302.
Donadio si è soffermato sul reticolo idrografico dell’isola che comprende diversi bacini a carattere torrentizio che hanno scavato le rocce piroclastiche meno compatte, formando valloni. L’area principale è quella di Olmitello-Cavascura, mentre tutti gli altri torrenti sono stati tombati dopo gli anni ’50, salvo ricomparire periodicamente con colate rapide di fango e con manifestazioni di dissesto idrogeologico.
Una grande complessità geologica
La carrellata di affioramenti rocciosi ha evidenziato la varietà di materiali presente sull’isola: ignimbriti dalle nubi ardenti, colate laviche, pomici grosse e lapilli, sabbie fossilifere ad altezze di 50/70 metri con fossili di ambienti marini poco profondi, che testimoniano il sollevamento esteso di quelle zone. E poi i tufi argilificati e i tufi stratificati, tra i quali il tufo verde la cui diffusione fu tanto estesa che frammenti di esso si sono ritrovati anche all’interno del tufo giallo di 15mila anni fa. Proprio la sommità dell’Epomeo dove l’opera umana si accompagna al modellamento naturale dimostra che il tufo verde è una roccia scavabile ed erodibile.
La complessità della geologia dell’isola trova riscontri ovunque. L’isolotto del Castello è il relitto di un antico edificio vulcanico di cui si individua ancora il condotto centrale, con aggiunte di materiali di altre epoche e cavità scavate dal mare sui bordi. La secca di Ischia è il risultato dei depositi piroclastici eruttati dal Banco d’Ischia che hanno raggiunto un’area molto vasta anch’essi. Poi le piroclastiti del Cretaio; i blocchi di frana di Cavascura; i depositi di frana di Cava Acquara, la colata di fango di Monte Vezzi.
Molto particolari, i Pizzi Bianchi rappresentano un geosito di grande interesse, frutto di prodotti piroclastici, dunque, non molto compatti, erosi dalla pioggia e dal vento, che formano dei pinnacoli su cui dei frammenti di rocce laviche più compatte formano come dei tappi che restano intatti, mentre gli elementi continuano ad erodere lateralmente le “guglie” chiare.
Anche l’isolotto di Sant’Angelo è frutto di un complesso processo di formazione in varie epoche, come dimostra la diversità di materiali da cui è composto, che si sono aggiunti e sovrapposti in diverse fasi. Molto particolare è anche la grotta del Mago, che è una rara grotta naturale, con lave solide e compatte alla base e piroclastiti incoerenti sopra, con prodotti di vari eruzioni. Nella baia di Sant’Anna c’è una faglia a sinistra, verso Cartaromana, incisioni provocate dal ruscellamento di acque e gli scogli a mare.
Perché l’erosione delle coste
Donadio è partito dalla spiaggia più grande, i Maronti, dove sono stati fatti dei ripascimenti, tra cui uno causa della perdita di una prateria di Posidonia durante il prelievo della sabbia a 20 metri di profondità, dove bisognerebbe agire con la massima attenzione. Ma l’erosione è continuata, come mai? Il problema è che lì come altrove non arrivano più i sedimenti che formano naturalmente la sabbia, perché i torrenti che li portavano a mare sono scomparsi o sono stati tombati, mentre il mare continua a spendere energia asportando i sedimenti esistenti. Poi, siccome ad appena venti metri dalla costa il fondale precipita velocemente sulla scarpata della piattaforma continentale, la sabbia che lì precipita non può più tornare verso terra.
Il fenomeno riguarda tutti i versanti dell’isola ed è comune ad altre zone. Conseguenza anche della costruzione dagli anni ’60 di strade litoranee, parcheggi, abitazioni e alberghi sulle coste che hanno cambiato il percorso delle acque superficiali, da cui arrivavano i detriti per il ripascimento naturale. Tra gli esempi proposti dal relatore, la spiaggia del Lido, della cui ampiezza aveva un ricordo personale, o la spiaggia di San Montano, nella bellissima baia: anche lì è venuto a mancare l’apporto del torrente che alimentava naturalmente il lido e i ripascimenti artificiali sono stati effettuati con sedimenti diversi dagli originari, altro aspetto che dovrebbe essere curato con particolare attenzione.
Le frane
Una frana enorme verificatasi circa 6mila anni fa dall’Epomeo scagliò nel mare il grande masso di tufo verde a forma di Fungo, simbolo di Lacco Ameno. Le frane possono essere innescate da terremoti o a loro volta provocarli. Come dimostra la sequenza di terremoti registrati a Ischia e documentati dalla fine del Settecento e culminati con il sisma del 1883 e poi dall’ultimo del 2017.
A Ischia non c’è bradisismo
In passato, diversi testi sostenevano che l’isola d’Ischia fosse interessata da un fenomeno di bradisismo come i dirimpettai Campi Flegrei, anche se molto più contenuto. Il professor Donadio ha escluso che il bradisismo riguardi Ischia, dove si verificano solo movimenti vulcano-tettonici. Nulla a che vedere con il bradisismo della costa continentale, in un’area a semicerchio che va dal Castel dell’Ovo a Cuma, con epicentro nel Rione Terra di Pozzuoli, dove si sono avuti innalzamenti e sprofondamenti di alcuni metri in varie epoche e a varie riprese.
Il Radon
Sollecitato a chiarire la cancerogenicità del tufo, Donadio ha spiegato che tutti i tufi contengono il radon, gas raro inerte, che se si respira in ambienti chiusi può determinare malattie tra cui il cancro. Per evitare il rischio, dopo aver eventualmente misurato la presenza di radon, si può intervenire con impianti efficienti di aereazione degli ambienti e intonacando i muri di pietra, perché un intonaco di almeno 4 millimetri è sufficiente a imprigionare il radon nella roccia, turando tutti i pori da cui potrebbe uscire.
Procida, un altro sistema geologico
Nonostante la vicinanza, dal punta di vista geologico Procida presenta molte differenze rispetto a Ischia. Procita, com’era nota fino all’Ottocento, deriva il suo nome da Prochyte, che nel suo significato “spianata” fa riferimento alla sua forma come appare dal mare.
La scarna documentazione sulla geologia dell’isola ha identificato alcuni edifici vulcanici, di cui oggi restano i relitti, corrispondenti a diverse eruzioni esplosive che fanno pensare ad una somiglianza con Santorini, in Grecia. Vivara, invece, è collegabile a Ischia e presenta una base di roccia lavica dura e compatta sulla quale si sono adagiati materiali piroclastici.
In mare, i siti più particolari sono le Formiche vicino Vivara, dove le rocce passano dai 4 metri della sommità ai 15 metri di profondità, e le secche del Ruommolo di dentro e del Ruommolo di fuori: edifici vulcanici collassati e poi ricoperti di sedimenti marini e anche di fanerogame (Posidonia).
I centri eruttivi individuati sono Fiumicello, Terra Murata, forse Montanto nella parte centrale e ora sepolto , Pozzo Vecchio e, ultimo e più recente, Solchiaro. Centri eruttivi sempre nuovi, disposti in senso orario e inizialmente separati gli uni dagli altri, come un piccolo arcipelago. Nel tempo, a partire da circa 75mila anni fa, i materiali piroclastici (pomici arrivarono anche da Ischia) hanno via via colmato gli spazi tra un edificio vulcanico e l’altro, formando l’isola com’è oggi.
Tra gli elementi più interessanti il ritrovamento alla base della punta della Lingua di uno strato corrispondente alla grande eruzione di tufo grigio campano di 40mila anni fa, che fu talmente violenta da proiettare nella troposfera materiali che sono stati ritrovati fino in Antartide. Sopra quello strato si sono adagiati i tufi di altre eruzioni come quella di Terra Murata. E poi di Solchiaro, che ha coperto tutte le altre eruzioni precedenti. La presenza della cosiddetta Breccia Museo di lava trachitica, poi, ha consentito di collegare i fenomeni di Procida a quelli di Monte di Procida. Scambi di materiali vulcanici si sono avuti tra Ischia, Procida e Campi Flegrei. Procida è a pieno titolo un’isola flegrea, mentre Ischia è un sistema a se stante.
I due scogli che s’innalzano davanti alla bella spiaggia di Ciraccio, Ciraccio e Ciracciello, sono relitti della falesia, soggetta ad una seria erosione che la sta facendo progressivamente arretrare.
Problemi e rischi per il territorio dal cambiamento climatico
La minor quantità di sedimenti sta facendo regredire le spiagge soggette ad una forte erosione.
Il cambiamento dell’intensità dei venti, che è molto aumentata dagli anni ’70.
La diminuzione delle precipitazioni a fronte di fenomeni più violenti sempre più frequenti che sono più erosivi a cui si accompagna una maggiore impermeabilizzazione del territorio che accelera i processi ed è all’origine delle colate di fango.
Più frequenti mareggiate (da uno o due all’anno alle attuali tre o quattro) che accelerano l’erosione delle spiagge, facendo arretrare la linea di riva.
Aumento dei macroinquinanti (plastiche, materiali da costruzione) per cui non esiste più un ambiente privo di residui di attività antropiche.
La crisi climatica che porterà in futuro il passaggio da un clima più caldo e arido a uno più freddo e umido aumenterà erosione e vulnerabilità delle zone a rischio.
Tutti gli scenari individuano nelle zone più a rischio per tutti questi fattori sia i centri urbani costieri che le isole.
Le soluzioni possibili
Il criterio del flumen unicum fa riferimento ai bacini di acque superficiali che non riguardano solo la parte emersa, ma anche quella sommersa, per cui i danni che si arrecano loro a terra provocano conseguenze e danni anche a mare e a grandi distanze. Perciò è necessario pensare a interventi di rinaturazione, di recupero dei torrenti, di salvaguardia delle coste. E servono nuove normative ambientali rispetto ai nuovi fenomeni.
C’è da sviluppare l’economia circolare e puntare su politiche plastic free.
Serve mitigare gli effetti del cambiamento climatico diminuendo la produzione di gas serra.
Sarà utile sviluppare una capacità di resilienza e adattabilità, assecondando i cambiamenti con l’ingegneria naturalistica, la bioarchitettura.
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