Dopo il viaggio nella cultura del vino, l’isola contadina con le sue peculiarità, tradizioni e colture è stata protagonista del secondo incontro dedicato al “Paesaggio, agricoltura eroica e prodotti tipici” di Isole Verdi, il corso di formazione per operatori turistici promosso dall’Area Marina Protetta Regno di Nettuno.

AAA 9700Guida esperta e appassionata di questo piacevole tour, decisamente inconsueto per gli ospiti dell’isola e ormai poco frequentato anche dagli isolani, è stata Silvia D’Ambra, da tempo impegnata in attività positive per il recupero dell’agricoltura isolana e per il rilancio dei prodotti tipici come rappresentante della condotta Slow Food di Ischia e Procida. E l’approfondimento è partito proprio da un discorso di Carlo Petrini, il fondatore dello Slow Food, incentrato sul rapporto tra cibo, agricoltura, zootecnia, storia, antropologia, economia politica e salute. Il passaggio logico successivo è partito dai concetti di sostenibilità, biodiversità e ecosistema per metterli in correlazione con gastronomia e cibo, le parole chiave scelte da D’Ambra all’inizio del suo articolato intervento. Che si è poi addentrato nel rapporto imprescindibile tra cibo e ambiente, sottolineando come ognuna delle nostre scelte quotidiane finisca con l’avere un impatto sociale e sull’ambiente circostante.

AAA 9700Venendo alla realtà isolana, D’ambra ha richiamato l’importante studio sul regime pluviometrico di Ischia opera del professor Cristofaro Mennella, che evidenziò notevoli differenze tra le zone dell’isola, definita in quell’occasione “gemma climatica d’Italia” per la mitezza del suo clima in ogni stagione. In particolare, Mennella dimostrò con dati scientifici inoppugnabili una particolarità tutta ischitana, ovvero la minore quantità di precipitazioni nelle zone più esposte ai venti meridionali del versante meridionale rispetto alle zone del versante settentrionale molto più piovose, nonostante siano riparate dai venti umidi. Mennella calcolò che tra la più asciutta Forio e la più piovosa Ischia la differenza poteva essere anche di 400 millilitri di pioggia all’anno.

Questa notevole varietà climatica si riflette inevitabilmente sulle produzioni agricole e consentirebbe, dati i differenti periodi di maturazione da una zona all’altra, di avere i vari prodotti tutto l’anno.

 

I prodotti tra terra e mare

AAA 9700Con una breve digressione marina, la relatrice ha voluto ricordare come prima della costruzione della Banchina Olimpica per le Olimpiadi di Roma del 1960, la riva sinistra del Porto di Ischia consentisse ancora un rapporto diretto col mare, tanto che vi si pescavano dei gamberetti (lamparapill) usati come esche per la pesca, allora ancora molto ricca. Come prima della creazione del porto, quando l’antico lago vulcanico era già collegato al mare aperto dalla bocca vecchia, la cosiddetta Foce. E per restare in tema marino, D’Ambra ha citato il finocchio di mare (Triticum maritimum, che cresce vicino al mare, edibile, consumato anticamente dai marinai per il suo apporto di vitamina C, utile contro lo scorbuto.

Interessante il parallelismo tra coniglio e murena: entrambi vivono nelle tane, a terra e a mare, e la seconda era abitualmente pescata dai contadini di Ischia, come racconta “La cucina nel Regno di Nettuno” di Ciro Cenatiempo ricette comprese. D’Ambra ha ricordato come a Ischia Ponte e a Cartaromana si svolgesse regolarmente il cala cala, ovvero lo scambio tra contadini e pescatori dei prodotti freschi della terra e del mare.

 

fagioliIl prodotto tipico di punta, il fagiolo zampognaro

Dopo il vino, il prodotto agricolo tipico di Ischia è il fagiolo zampognaro, così chiamato per la forma che ricorda quella della zampogna, soprattutto quando si gonfia dopo la spugnatura, e per il consumo nel tempo di Natale. Il suo legame con il territorio è testimoniato dalla citazione da parte del botanico Giovanni Gussone, che nell’Ottocento censì tutte le piante del regno borbonico, comprese quelle dell’isola d’Ischia. Un fagiolo antico, lo zampognaro, rosso scuro picchiettato di bianco, che era stato per scomparire, prima di essere “riscoperto” e salvato nel 2001, grazie all’impegno dello Slow Food isolano, regalando i semi per favorirne di nuovo la diffusione e rilanciarne la coltivazione fino a ottenere il riconoscimento di Pat, Prodotto agricolo tradizionale.

Lo zampognaro cresce preferibilmente nella zona di Campagnano, ad un’altezza di circa 200 metri sul livello del mare, con una esposizione ai venti marini sul versante più umido dell’isola. Tentativi di coltivarlo più in alto o al livello del mare in altre parti dell’isola non hanno dato gli stessi risultati positivi. Ciò che ha consentito di individuare nel fagiolo autoctono un ecotipo, ovvero una pianta che ha bisogno di un particolare habitat per crescere al meglio.

 

Gli orti ischitani

AAA 9700Nonostante le difficoltà di raggiungere certi terreni e il poco spazio disponibile, in tutta l’isola è ripresa la coltivazione di orti  destinati perlopiù al consumo domestico. Anche se ci sono giovani che con spirito resiliente hanno di nuovo messo a coltura terreni abbandonati nelle diverse zone dell’isola, fino all’Epomeo. Una volta per le coltivazioni orticole si utilizzavano gli spazi fra i filari nei vigneti, che tuttavia è una pratica non corretta e orami abbastanza in disuso.

Numerosi un tempo erano gli ecotipi di un’isola riconosciuto scrigno di biodiversità. Molti di essi sono andati perduti quando furono abbandonati i terreni e l’agricoltura, ma c’è forse la possibilità di riprenderli giacchè in passato gli ischitani che avevano terreni a Ventotene usavano trasferirvi colture tipiche ischitane. Da qualche anno, inoltre, si assiste a una riscoperta delle sementi ereditate, ma non è detto che siano effettivamente locali, anche perché l’isola ha una vocazione ad accogliere dall’esterno e a rielaborare integrando e infatti la nostra tipicità è in costante evoluzione.

 

Terrazzamenti e parracine

AAA 9700Le caratteristiche geomorfologiche isolane, anch’esse molto variegate, hanno imposto in varie zone il ricorso ai terrazzamenti, a cui si collega l’antica (e ormai a rischio) abilità manuale alla costruzione delle “parracine”, i muretti a secco di contenimento dei terreni, anche se a Buttavento, la funzione prevalente è proprio quella di riparare dal vento. D’altra parte, neppure tutti i terrazzamenti sono realizzati con “parracine”: in alcune zone, dove la conformazione geologica dei terreni è particolare come a Fontana sotto il Belvedere o a Piano Liguori, si utilizza il sistema detto a “puoi”. Dove sorreggono i terrazzamenti, tuttavia, le parracine sono diventate un importante elemento del paesaggio.

E la biodiversità dell’isola ha trovato in esse un altro habitat utile per la crescita spontanea di erbe utilizzate per minestre antiche, come la minestra salvagioia, fatta con qualche decina di specie selvatiche e raccontata dalla signora Mercede di Fontana in un bel documento video raccolto qualche anno fa da Silvia D’Ambra. Dove è spiegata anche la storia delle fosse della neve, realizzate alla Falanga nel bosco di castagni, dove i nevaioli raccoglievano la neve in inverno per trasformarla in ghiaccio, usato d’estate anche per sorbetti molto apprezzati dai viaggiatori che approdavano a Ischia.

 

Le capre

AAA 9700Fino agli anni ’60 era diffuso, a Ischia, l’allevamento di capre. Tanto florido che si arrivò a contare anche cento pastori, presenti con le loro greggi sia nei pascoli sull’Epomeo, dai Frassitelli a Kalimera, sia vicino al mare, dove gli animali erano portati al pascolo dai Maronti alla zona di San Ciro, allora ricca di orti (parule), ai dintorni del porto di Ischia. Oggi le capre sono tornate ai Frassitelli e si sta recuperando, non senza fatica, una tradizione produttiva.

 

Il coniglio principe della tradizione

AAA 9700Tutte le isole del Mediterraneo sono popolate da conigli fin dall’antichità. Una presenza che fu molto favorita dagli Spagnoli, perché garantiva carne in quantità agli occupanti. E in effetti il coniglio si riproduce e cresce velocemente. Ma per gli stessi motivi è ben presto entrato nell’alimentazione degli isolani, fino a diventare una tradizione consolidata e riconosciuta come tale dall’intera comunità.

La distruttività dei conigli, la cui proliferazione minacciava le vigne, fu all’origine della forma di allevamento che sfruttava la capacità dell’animale di scavare gallerie sotterranee, le cosiddette “foleche”, che venivano iniziate dall’uomo e proseguite dai lagomorfi. Regolarmente nutriti dall’uomo solo con erbe raccolte nei campi.

Il recupero del coniglio da fossa ha portato a ottenerne il riconoscimento come presidio Slow Food, ma c’è ancora da lavorare sulla filiera, perché si rischia di mantenere la tradizione senza disporre però del prodotto tipico.

Comunque, la razza ischitana originaria, ‘a paregna, è andata perduta sul piano della purezza genetica per la mancanza di azioni specifiche di tutela della biodiversità.

A rendere famoso il coniglio ischitano è soprattutto la ricetta della sua preparazione. O meglio, le ricette, perché numerose sono le variazioni sul tema, legate alla disponibilità nelle diverse zone degli altri ingredienti. Così, per il pomodoro, si passa dalla conserva del versante di Ischia, perché così si usava conservare il pomodoro durante l’inverno, mentre a Forio e Serrara, dove i piennoli resistono a lungo grazie al clima secco, si utilizzano i pomodori a pezzi. E se di solito si usa l’aglio, ci sono zone dove è la cipolla a finire in pentola. E pure l’uso della piperna è controverso e dettato da usi locali e familiari. Insomma, le ricette tramandate di generazione in generazione sono tante quante forse le famiglie isolane e tutte legittime.

In conclusione, D’Ambra ha auspicato un impegno diffuso nella tutela delle sacche di biodiversità che hanno resistito finora, anche in funzione di un turismo sostenibile, rispettoso degli ambienti e dei luoghi.

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