È un elemento fondamentale del paesaggio, o meglio, dei paesaggi ischitani. Nella sua diffusione in Italia, la colonizzazione greca dell’isola ha avuto un ruolo determinante. Per secoli è stata la coltivazione prevalente in un territorio quasi esclusivamente dedito all’agricoltura.

E oggi che il turismo ha preso il sopravvento, ha tutte le caratteristiche per essere un fattore di punta sul fronte della sostenibilità ambientale, della tutela del paesaggio e della riqualificazione dell’offerta turistica. Da ventinove secoli la viticoltura è, dunque, parte integrante dell’identità di Ischia. Perciò IsoleVerdi, il corso di formazione per operatori turistici promosso dall’Area Marina Protetta Regno di Nettuno, non poteva non approfondire questo aspetto della realtà isolana che, pur interessando direttamente la parte terrestre, è ampiamente condizionato dalla presenza del mare. Tutti temi approfonditi dall’articolato intervento su “Paesaggio, agricoltura eroica e prodotti tipici/enologia” proposto dal sommelier professionista Tommaso Mascolo.

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L’identificazione di un vino con il territorio di produzione risale agli antichi Egizi. I luoghi di produzione del vino sono stati trovati incisi sulle anfore custodite nella tomba di Ramses. Fu con vino di Ismaros che Ulisse riuscì a mettere fuori gioco il Ciclope e i vincitori delle Olimpiadi erano festeggiati con il vino di Crotone. Ed è Plinio nella Naturalis Historia che distingue nell’Agro Falerno ben tre tipologie di vino diverse. Insomma, la zona di coltivazione è elemento decisivo per l’identificazione di un vino. E in quest’ottica, se l’Aglianico riporta immediatamente alla Campania, lo stesso vale per la Biancolella rispetto a Ischia.

Questa strettissima relazione ha un risvolto ulteriore. Uno studio ha dimostrato che un vino associato a un bel paesaggio è più gradito di un vino a esso omologo per qualità, ma legato a un luogo meno attrattivo. E se un paesaggio di qualità è reso unico dalla storia che lo caratterizza, il vino si può considerare storia liquida del territorio.

 

Le origini della vite

Areali della vite sono le zone temperate del pianeta, anche se il cambiamento climatico sta spostandone la coltivazione perfino in Gran Bretagna.

La zona d’origine è stata identificata tra Caucaso, Tauro e Monti Zagros e corrisponde sostanzialmente alle repubbliche del Mar Nero. Attraverso varie vicissitudini, la vite giunse in Sicilia nel 3000 a.C., ma a diffonderla nel Mediterraneo furono i Greci, in seguito i Romani proseguirono l’opera in Europa centrale. E furono i Greci a portare la pianta sull’isola d’Ischia, un territorio relativamente piccolo, ma ricco di peculiarità rivelatesi favorevoli alla vite.

 

La zona etrusca e la zona greca

Proprio le caratteristiche dell’ambiente naturale hanno influenzato le forme di allevamento della vite, secondo gli usi etrusco e greco. Il professor Attilio Scienza è riuscito a delineare un “confine” da nord (tra Casamicciola e Lacco) a sud (vicino Sant’Angelo) che separa l’isola in due aree: nord/est e sud/ovest. L’area nord/est, che comprende Ischia, Campagnano e parte di Barano è etrusca, caratterizzata dalla spalliera alta, con viti sorrette da pali alti fino a 4 metri o anche da tutori vivi. Sull’isola si trovano anche esempi di alberata come quello dell’Aversano per l’asprinio. L’area sud/ovest, invece, è greca. A Forio si utilizzano la spalliera bassa e l’alberello. Tra le due aree c’è una importante diversità pluviometrica, giacchè nel versante di nord/est di Ischia le precipitazione sono tre volte superiori che nell’area greca.

Altra differenza che contraddistingue i paesaggi, è il tipo di pietra utilizzato per le “parracine”, i muri a secco dei terrazzamenti che rendono possibile la viticoltura in tante parti dell’isola. Nella parte nord/est si usa pietra vulcanica scura, in quella sud/ovest il particolarissimo tufo verde.

 

La viticoltura eroica

Quella ischitana è un esempio di quella che viene chiamata viticoltura eroica, segnalata in diverse zone d’Italia. La legge del 2016 considera tale la viticoltura in zone ad alto rischio idrogeologico o dove le condizioni orografiche impediscono la meccanizzazione del lavoro, in zone di particolare rilievo paesaggistico e nelle piccole isole. Di fatto, Ischia concentra nel suo limitato territorio tutte queste condizioni. E gli “angeli matti” – come li definì il grande Veronelli – che coltivano la vite sfidano terreni impervi e instabili, avversità climatiche e pure economiche, perché produrre vino sull’isola costa sette volte più che in terraferma. I vigneti storici, poi, sono quelli segnalati almeno dal 1960.

Dopo esempi di viticoltura eroica e storica, Mascolo ha indicato i luoghi dove le vigne appaiono sospese tra cielo e mare. A Procida, il vigneto de La Vigna e, a Ischia, Punta del Lume, Calimera, Frassitelli, Fango, Crateca, Cuotto, Montecorvo e Jesca: esempi di terrazzamenti in luoghi di grande suggestione, dove le vigne danno prodotti di notevole spessore. Tra le varie realtà, la zona dei Frassitelli registra una piovosità dimezzata rispetto alle altre, non più di 25 gradi in estate, talvolta la neve d’inverno, sempre vento, ad un’altezza tra i 400 e i 600 metri sul livello del mare con una pendenza del 60 per cento dei terreni serviti dalla monorotaia. Altri terreni sull’isola sono raggiungibili solo a piedi, trasportando l’uva a braccia.

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Sull’isola, il vino è un prodotto tipico, anzi il primo dei prodotti tipici, per il forte legame con il luogo in cui è prodotto, per la peculiarità delle sue caratteristiche e per i processi di lavorazione tramandati di generazione in generazione.

 

Dalla Coppa di Nestore al rilancio odierno

A sottolineare la rilevanza del vino per e sull’isola è la Coppa di Nestore con la sua iscrizione del 725 a.C. che evoca l’Iliade e rappresenta la più antica testimonianza scritta e il più antico componimento poetico in greco in Occidente. Non meno prezioso, dal punto di vista storico, è il sito dimenticato di Punta Chiarito, dove nel 1988 è venuta alla luce una fattoria greca attiva tra l’VIII e il VI secolo a.C., che ha restituito anche un palmento e tracce di vinaccioli, che dimostrano la produzione di vino fin da quel periodo.

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Dall’epoca greca, la vite era diventata nel tempo la principale coltivazione di Ischia. Nel 1914 erano coltivati a vigna 2622 ettari, con una produzione annuale di 194.763 quintali di uva. Poi, dagli anni Sessanta del ‘900, l’abbandono dell’agricoltura a favore delle attività legate al turismo aveva provocato una gigantesca regressione della viticoltura, con appena 100 ettari rimasti per le viti. Un lento recupero in tempi recenti ha consentito di raggiungere i circa 300 ettari attuali. Seppure con un passaggio dalle produzioni di quantità alle produzioni di qualità.

Una volta i palmenti per fare il vino erano presenti ovunque nei terreni, giacchè si lavorava il prodotto in loco. L’uva raccolta era trasferta subito al palmento, dove si provvedeva alla pigiatura con i piedi. Dalla prima vasca, il mosto scendeva attraverso un foro chiamato dolce nella seconda vasca, dove una leva consentiva di manovrare la pietra torcia, un masso tufaceo dalla forma a campana con cui si pigiava ancora l’uva per trarne più succo possibile.

 

I vitigni sull’isola

A bacca bianca. La Biancolella o uva greca, il vitigno autoctono tipico di terreni vulcanici; la Forastera, arrivata dopo la Fillossera dei primi del ‘900, lavorata sempre più in purezza; la Malvasia, uve eterogenee sia di varietà aromatiche che non, descritta intorno al 1850 dopo l’oidio, forse introdotta dai fratelli liparoti Sanfilippo; l’Uva Rilla, testimoniata dal 1867 nella zona di Forio dove è quasi scomparsa; la San Lunardo con una prima citazione dal 1962, presente pure a Ventotene.

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A bacca rossa. Il Piedirosso, coltivato in varie zone della Campania, con un graspo rosso come il piede di piccione; la Guarnaccia dalle origini incerte; la Cannamela, testimoniata dal 1844, il cui vino viene descritto come “debole”. Le microvinificazioni sperimentali in purezza di uve dimenticate stanno dando risultati molto interessanti

 

Enoturismo e valorizzazione del territorio

Le azioni di marketing turistico che coinvolgono anche i prodotti tipici di un territorio, non escludono ovviamente il vino. L’Enoturismo in crescita parte dall’idea che il viaggio sia occasione di scoperta di un territorio, facendovi esperienza della cultura locale per acquisire il senso del luogo. E la cultura del vino può essere mediatrice dell’approccio al territorio. Inoltre, la sostenibilità ambientale della filiera vitivinicola può dare un contributo anche al paesaggio.

L’Ischia doc dal 1966 è stato il secondo doc in Italia, ma è rimasto da allora il più antico, visto che la precedente Vernaccia è diventao Docg. Per il cinquantenario, nel 2016, fu organizzato un programma di eventi e un annullo filatelico. Poi ci sono state le iniziative a Villa Arbusto, per legare il vino alla storia dell’isola e le Strade del Vino, solo per fare qualche esempio.

Mascolo ha anche ricordato il valore delle etichette, soffermandosi con Silvia D’Ambra sulla storica etichetta di Casa D’Ambra.

Il vino – ha spiegato il relatore – racconta il territorio attraverso il colore, l’olfatto e il gusto. In generale, il vino di Ischia è cristallino e giallo paglierino; ha sentori di pesca, agrumi, aromatiche e ginestra, tutti molto garbati; il gusto è minerale, iodato ed elegante. Vini di livello elevato, di qualità, che hanno ottenuto nei più vari contesti ottimi risconti e numerosi, crescenti riconoscimenti. Ciò che ne fa un ottimo veicolo di promozione del territorio, il suo, di cui tanto spesso si trova ad essere ambasciatore in Italia e all’estero.

 

AREA MARINA PROTETTA DELLE ISOLE FLEGREE REGNO DI NETTUNO

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