È ormai un tema fisso e prioritario nell’agenda della politica mondiale e delle istituzioni nazionali e internazionali. Anche su sollecitazione e pressione dell’opinione pubblica, che in tanti Paesi si è mobilitata affinché le segnalazioni degli scienziati non cadessero nel vuoto. Ma i cambiamenti climatici e non sono solo un argomento da telegiornale, lontano dalla nostra realtà, anzi, esattamente il contrario.

Sia perché il problema riguarda tutti sia perché proprio il mare delle Isole Flegree ha un ruolo determinante nella ricerca scientifica che sta indagando i fenomeni climatici e i loro particolari effetti. A parlarne nel sesto incontro di Isole Verdi, il corso di formazione per operatori turistici promosso dall’Area Marina Protetta Regno di Nettuno, è stata Maria Cristina Gambi, della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, tra i ricercatori di punta del Laboratorio di Ecologia del Benthos di Ischia, oggi Ischia Marine Centre, di cui per diversi anni è stata anche la responsabile.

DC NAPOLI AAA 8852Il Golfo di Napoli è uno dei centri mondiali dello studio dei cambiamenti climatici  per le sue caratteristiche. Geologiche, innanzitutto. Si tratta di un’area vulcanica dalla notevole complessità geomorfologica (canyon, isole, banchi rocciosi profondi, montagne sottomarine) che si traduce in una altrettanto grande complessità ecologica rappresentata da tutti i principali ecosistemi esistenti, ciascuno con flora e fauna particolare. Tutti osservati e studiati dal 160 anni, da quando nel 1872 Anton Dohrn fondò a Napoli la Stazione Zoologica per la grande biodiversità già nota del golfo e per la presenza di un’università – la Federico II – dov’era già attiva una cattedra di Zoologia dal 1848, la più antica d’Italia. Dunque, è il sito più studiato al mondo, di cui si può disporre di un’ampia banca dati, preziosa per la ricerca attuale.

 

Le Isole Flegree rappresentative di tutti gli ecosistemi del golfo di Napoli

Le Isole Flegree delimitano il golfo a settentrione. Gambi ha presentato delle immagini di Ischia che ne evidenziano la peculiare orografia a terra e a mare: a nord la continuità della piattaforma continentale ad una non eccessiva profondità, mentre a sud, dal Banco d’Ischia, antico vulcano, a Punta Imperatore, il fondale sul limite della piattaforma sprofonda velocemente fino ai 500 metri e presenta ben dodici testate di canyon. Un’antica mappa ricavata negli anni Cinquanta dalle conoscenze dei pescatori è stata utile riferimento, anche toponomastico, per le rilevazioni più recenti con metodologie avanzate, grazie alle quali è stata redatta la nuova carta del 2016 con la batimetria delle Isole Flegree. Proprio le profondità dei fondali fanno sì che le praterie di Posidonia siano prevalentemente a nord, mentre siano molto più ridotte a sud. Nel complesso, il mare che circonda l’isola d’Ischia propone una varietà di ecosistemi che ne fanno in piccolo un perfetto esempio dell’intero golfo, che a sua volta lo è del Mediterraneo. Perciò in questo mare si trovano le condizioni ideali per lo studio degli effetti del cambiamento climatico.

 

Il cambiamento climatico

Per definizione il clima è l’insieme degli elementi atmosferici che si verificano in un’area dove si osservano in un arco temporale di almeno trent’anni. Dunque, è una rilevazione statistica sul lungo periodo. Conoscere il clima è fondamentale perché incide sulla vita della flora, della fauna e dell’uomo.

Nell’ambiente marino, si deve tener conto del livello delle temperature, della circolazione delle masse d’acqua ovvero delle correnti, dei venti e della loro influenza. Si aggiungono a questi generali anche dei fattori locali: le profondità, perché oltre un certo limite le variazioni stagionali non si avvertono; la presenza di bacini chiusi, come il Mediterraneo che è un mare temperato caldo; la distanza da connessioni con altri mari (Gibilterra e Suez); la presenza di canyon sottomarini, che fanno risalire le acque profonde in superficie.

A determinare il cambiamento climatico evidenziatosi nel lungo termine rispetto al modello di riferimento è l’immissione nell’atmosfera di anidride carbonica sia per fenomeni naturali, come le eruzioni vulcaniche, che soprattutto per l’azione dell’uomo.

Le ricerche compiute in particolare sui ghiacci artici e antartici che hanno incamerato aria di epoche remote hanno confermato che è in atto un cambiamento climatico ad una velocità che non ha precedenti negli ultimi 800mila anni di vita del pianeta. E infatti la soglia critica delle 400 particelle per milione di CO2 è stata superata e ora è già a 430 sia a terra che a mare. E l’aumento di CO2 è correlato all’aumento della temperatura, che dal 1990 è un trend confermato con anni sempre più caldi.

 

Il riscaldamento del mare

A mare il riscaldamento provoca la riduzione delle calotte polari; l’innalzamento del livello dei mari; l’acidificazione delle acque degli oceani; l’aumento delle radiazioni ultraviolette che interferiscono con il Dna di varie specie animali e che sono pericolose anche per gli esseri umani. Il Mediterraneo risente molto delle variazioni climatiche: i sedimenti e la fauna fossile hanno registrato questi cambiamenti. La differenza, oggi, è l’accelerazione del fenomeno che non dà il tempo agli organismi viventi di adattarsi alle nuove condizioni.

Nel mare delle Isole Flegree sono stati riscontrati fenomeni legati al cambiamento climatico. In primo luogo, il riscaldamento anomalo estivo, con picchi nel 2002 e nel 2009 accompagnati dalla moria di specie marine, a fronte di un incremento e proliferazione delle specie termofile, che cioè hanno bisogno di caldo e la comparsa di sempre più numerose specie “aliene”.

Sempre più caldo pure il mare delle isole

L’Italia è un crocevia bio-geografico dove s’incontrano specie di vari areali del Mediterraneo. In questo contesto, il limite di uno di essi, passa tra le Isole Flegree e le Pontine. Si tratta di un confine bio-geografco oltre che climatico corrispondente all’isoterma dei 14 gradi fino a pochi anni fa. Quel limite si è spostato da qualche anno verso nord e ora passa per l’arcipelago toscano, mentre a sud l’isoterma dei 15 gradi sta salendo dal sud al nord della Sicilia. Le isole frontiera biogeografica e climatica sono un laboratorio di ricerca ideale.

Dal 2002 il mare di Ischia è stato interessato da onde di calore (heat waves) durante l’estate mai verificatesi prima e ora invece sempre più frequenti.  In relazione a questo fenomeno è stato osservato che il termoclino (ovvero la discontinuità termica di diversi gradi tra gli strati caldi superiori del mare che assorbe calore e quelli più freddi inferiori) che si crea d’estate, non si rompe più ad agosto, ma permane e si approfondisce, spostandosi dai 15 ai 25 metri, interferendo con gli organismi che vivono più in profondità e che subiscono uno stress termico, con rischi per la sopravvivenza delle popolazioni. A cominciare da gorgonie e madreporari, perché il caldo favorisce un batterio che necrotizza il tessuto vivente delle ramificazioni delle colonie, che infatti hanno riportato danni pesantissimi nelle annate più calde.

Il mare più caldo ha molto accresciuto la diffusione di specie termofile come Astroides, Calpensia, riccio diadema, pesci pappagallo e barracuda. E aumenta la presenza di specie “aliene”: delle 48 arrivate nel golfo, ben 29 si sono insediate nel mare delle isole: tra le altre, Asparagopsis, Culerpa cylindracea, Ostreopsis ovata, che è una microalga tossica, Aplysia e il granchio Percnon. Nella zona di Sant’Angelo, grazie alla segnalazione e alle osservazioni di Luca Tiberti e Gianluca Iacono, da poco  è stata documentata la presenza di Lophocladia Lallenandii, un’alga rossa invasiva nota nel Mediterraneo solo alle Baleari e in Toscana, che arriva ai 15 metri di profondità e accoglie 44 specie, anche di pesci, che vi si nascondono e vi mangiano.

 

L’Acidificazione degli oceani

Il Ph marino si sta abbassando su scala globale a livelli mai registrati negli ultimi 25 milioni di anni.

I mari del pianeta assorbono ogni giorno 24 milioni di tonnellate di CO2, un terzo della produzione mondiale. Dall’inizio della rivoluzione industriale intorno al 1850 la CO2 è aumentata del 40 per ceno. L’aumento dell’acidità delle acqua nello stesso arco temporale è del 26 per cento. La proiezione dell’aumento alla fine del secolo è di un altro 10 per cento.

La CO2 in acqua forma l’acido carbonico che per una serie di fenomeni chimici induce una forte riduzione del carbonato di calcio, ovvero il “mattone” che forma gli organismi calcificanti (anche l’uomo lo è) che lo usano per lo scheletro e i gusci. Perciò le specie calcificanti si trovano con una carenza di questa sostanza vitale perdipiù  in un ambiente già di per sé acido.

 

I vents di Ischia, primato mondiale

Per studiare l’acidificazione dei mari e i suoi effetti si opera in situ sfruttando gli ambienti già naturalmente acidificati, come i sistemi idrotermali. A Ischia, lungo una faglia che lambisce il Castello sul lato che guarda l’isola maggiore, per proseguire davanti a Ischia Ponte e alla Spiaggia dei Pescatori da una parte e fino alla Grotta del Mago dall’altra, in alcuni punti si osservano in mare delle emissioni di CO2 dette vents che provengono dalla camera magmatica profonda.

Il primo ad essere studiato è il sito sotto il Castello Aragonese, a bassissima profondità, tanto da essere visibile anche con lo snorkeling, e ormai noto in tutto il mondo perché è il più studiato del Mediterraneo. Ad esso se ne sono aggiunti altri quattro: ‘a Vullatura, su fondale sabbioso con Posidonia, il più spettacolare per la quantità di bollicine; Chiane del Lume, roccioso con Posidonia; la secca della Madonnina e la Grotta del Mago, unico esempio di vents in una grotta. Dunque Ischia offre la possibilità di conoscere gli effetti dell’acidificazione del mare su tutti i tipi di habitat, a profondità tra i 2 e i 48 metri.

 

La Posidonia salva la biodiversità

Dalle continue osservazioni effettuate è emerso che l’acqua molto acida incide fortemente su flora e fauna marine, per cui la biodiversità ne è duramente colpita.  Delle 634 specie censite dove il Ph è normale (8,1), dove il Ph è intermedio basso  ne sopravvive il 51 per cento, mentre nelle zone zone con il Ph più basso (tra 7,3 e 6,6) ne restano 207, cioè se ne perde il 67 per cento, ovvero la maggior parte degli organismi calcificanti, restano i non calcarei. Tutte le specie subiscono forti regressioni. La differenza di biodiversità tra siti acidificati e non è evidente tra la secca della Madonnina, quasi desertificata, e le vicine secche di Pertuso e della Catena, splendidi esempi di coralligeno nella zona A dell’Area Marina Protetta. Quella che resiste bene è la Posidonia, che come pianta trasforma la CO2 con la fotosintesi, di fatto contrastando l’acidificazione. L’emissione di ossigeno, poi, salvaguarda la biodiversità, che infatti si conserva dove cresce la pianta. Perciò la Posidonia mitiga l’acidificazione, un altro buon motivo per tutelarla.

 AREA MARINA PROTETTA DELLE ISOLE FLEGREE REGNO DI NETTUNO