Quanto abbia avuto realmente a che fare, almeno in origine, con la città a cui il nome la collega, non è chiaro. Di sicuro, la “genovese” è uno dei piatti più caratteristici della cucina napoletana e una delle presenze più assidue nei pranzi delle feste.
Protagonista è la cipolla, non una qualsiasi, ma preferibilmente quella ramata di Montoro, tipicità irpina con il marchio IGP. Poi c’è la carne, solitamente di manzo, a scelta tra “lacierto”, “colarda” o muscolo dello stinco, anche se un tempo i nobili preferivano il vitello.
La cipolla la fa da padrona per la grande quantità, che regala aroma e consistenza al piatto. Tagliata fine, con l’aggiunta di carote, alloro, prezzemolo, una manciata di pomodorini o un cucchiaino di concentrato di pomodoro e, a completare la base succulenta, pezzetti di salame o prosciutto, deve cuocere a lungo, “pippiare” molto lentamente con l’aiuto di vino bianco, finchè la cipolla e i suoi compagni di cottura non si trasformano in una crema dorata. Così si ottiene un ragù di carne in bianco, da usare per condire le mezzane o i classici ziti. La ricetta base non di rado presenta piccole rivisitazioni familiari, tramandate di generazione in generazione come si conviene a una preparazione che vanta una lunga storia, peraltro decisamente controversa.
Sul riferimento a Genova nel nome, sono state avanzate varie ipotesi, più o meno suffragate da elementi storici. Di sicuro, Napoli, importante scalo commerciale, era frequentata assiduamente da marinai genovesi come di tante altre provenienze mediterranee. E magari questa salsa fu elaborata da cuochi genovesi che la proponevano nella zona del porto ai loro clienti della Superba, forse mutuandola da un antico sugo genovese con ingredienti molto simili. Altri sostengono che tutto sia nato dal soprannome di un cuoco del XV secolo, conosciuto come “’o genovese”.
È un dato di fatto che presso l’Archivio Nazionale di Parigi fu ritrovato nel Novecento un “Liber de coquina”, dedicato a Carlo II d’Angiò, scritto in lingua volgare, ma interamente dedicato alla cucina napoletana della corte angioina, dove la ricetta 66 della Tria Genovese corrisponde proprio alla “genovese” che conosciamo. Secondo il famoso cuoco partenopeo dell’Ottocento, Ippolito Cavalcanti, autore de “La cucina teorico-pratica”, la “genovese” era un sugo semplice in bianco, definito “raguetto”.
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