Un piccolo borgo collinare dalla posizione favorevole. Non, per una volta, rispetto ad esigenze militari, bensì ad una florida agricoltura, che nei secoli ha avuto nella viticoltura la sua punta di diamante.
Vigne ben esposte al sole circondano Lapio, degradando dolcemente verso la media valle del Calore. Con la verde catena dei Picentini, e in particolare il monte Tuoro, a sud, alle spalle del paese. Punto di arrivo della strada provinciale che collega Avellino all’interno dell’Irpinia e tappa della storica ferrovia Avellino-Rocchetta Sant’Antonio, che da qualche anno è stata riattivata a scopo turistico.
Iniziò durante il dominio longobardo, la storia del paese roccioso, Lapideum, forse all’origine del toponimo attuale, che altri hanno invece voluto collegare alla presenza delle api o, ipotesi più ardita, all’antico nome dell’uva lapiana, già nota ai Romani, da cui si produce il Fiano di Avellino DOCG, produzione di eccellenza del territorio da almeno otto secoli.Nell’XI secolo, al seguito di Roberto il Guiscardo, arrivò a Napoli la nobile famiglia normanna dei Filangieri (i figli di Angerio il Normanno), che a Lapio, assegnato loro come feudo, avrebbero messo radici profonde e durature, fino all’abolizione della feudalità. Probabilmente risale al XIII secolo la versione più antica della residenza baronale, che s’innalza nella parte più alta del paese ed è affacciata sulla valle del Calore. Lì sono passati tutti i personaggi che hanno dato lustro alla casata, sempre molto legata ai regnanti del momento. Fin da Riccardo, che seguì nella crociata del 1228 Federico II, tanto da essere nominato governatore di Gerusalemme, acquisendo il diritto di utilizzare la croce nello stemma di famiglia. E poi nel XVII secolo, Annibale, fedele a Ferdinando II d’Austria, che poté fregiare lo stemma con l’aquila imperiale. Senza dimenticare il cavalierino Gaetano, tra i maggiori esponenti dell’Illuminismo europeo e della corte borbonica di fine Settecento. Proprio nel Sei-Settecento, coincidente con il periodo di maggior fulgore della famiglia, il palazzo, che era frequentato soprattutto d’estate, venne abbellito in momenti diversi da autori sicuramente provenienti dalla capitale e degni dell’importante committenza. Il complesso monumentale custodisce oltre seicento metri quadri di pitture, che coprono anche scale, corridoi e sottotetto. Opere di soggetto sacro o mitologico, con riferimenti (quelle settecentesche) alle pitture pompeiane appena riscoperte, furono realizzate nel primo trentennio del XVII secolo soprattutto con la tecnica dell’affresco, a cui si aggiunse nel secolo successivo anche un esteso uso della tempera.Numerose sono le chiese del borgo, testimoni della fede della comunità di cui sono espressione ben quattro antiche confraternite. La chiesa madre è dedicata a Santa Caterina d’Alessandria. Dietro l’imponente facciata, abbellita da vari elementi architettonici, si aprono tre navate, che custodiscono importanti opere d’arte come la tela del Martirio di Santa Caterina. Del secolo scorso è la tomba del cardinale Giuseppe Caprio, nativo di Lapio. Tra le case e, un tempo, le botteghe degli artigiani, si eleva la chiesa di San Giuseppe, a navata unica, con un pregevole altare in marmo policromo. Gli arredi sono tutti di legno di castagno, largamente utilizzato anche nell’attività agricola, e vinicola in particolare. Di castagno è anche la cassa armonica dell’organo a canne che domina dall’alto l’interno dell’edificio sacro. Di grande valore è il presepe, con 76 statuine risalenti alla seconda metà dell’800.Originariamente cappella gentilizia del palazzo Filangieri, a cui è attigua, la chiesa della Madonna della Neve fu costruita nel 1598 e ricostruita nel 1903. Sulla facciata si nota, con la pietra locale, il brecciato grigio dei vicini Monti Picentini. Di fianco al portale con un bel portone di castagno, sono collocate due colonne ioniche. L’interno presenta diversi dipinti di metà Settecento firmati da Francesco Capobianco: quattro tondi alle pareti e una grande tela sul soffitto, raffigurante una Vergine con Bambino e Santi. La chiesa della Madonna del Loreto fu costruita nel XVII secolo, ma è poi stata completamente rifatta nel 1893, ad un’unica navata, reca con altre pregevoli opere quattro dipinti di Domenico Celentano del XVIII secolo: un’altra dimostrazione di come, grazie ai Filangieri, arrivassero da Napoli in un piccolo centro come Lapio artisti di buon livello.
Fuori del borgo, prima di arrivarci, s’incontra la Chiesa del Carmine, edificata nel luogo occupato precedentemente da una chiesetta seicentesca. Quando l’università decise in quella zona la realizzazione di un nuovo cimitero, nella seconda metà del XVIII secolo, fu consentito alla Congrega delle Anime del Purgatorio, dedicata alla Madonna del Carmelo, di costruire lì vicino una sua chiesa. Che si presenta su due livelli, uno fuori terra e l’altro, raggiungibile con una scala di pietra dietro l’abside, ipogeo.
Tra le opere che caratterizzano il territorio di Lapio c’è anche il grande ponte di acciaio sul fiume Calore, che collega la sponda lapiana e quella di Taurasi per la linea ferroviaria Avellino/Rocchetta Sant’Antonio, che in anni recenti è stata ripristinata per l’utilizzo turistico. Progettata dell’ingegnere Sangiorgi, la maestosa opera fu realizzata dalla Società Industriale Italiana di costruzioni metalliche di Castellammare di Stabia in pochi mesi, da marzo a settembre, nel 1893 ed inaugurata il 20 settembre con una grande festa di popolo. Una struttura monumentale, all’avanguardia per l’epoca, che suscitò grande attenzione in tutta la Penisola con i suoi trecento metri di lunghezza e i trentacinque metri al di sopra della valle. Per queste sue caratteristiche furono gli abitanti di Lapio a ribattezzarla con orgoglio “Ponte Principe”.
Le statue, di fattura napoletana, risalgono al 1810. Custode dei “Misteri” e della ritualità delle funzioni del Venerdì Santo è la congrega di Santa Maria della Neve, che ha il compito di organizzare anche l’ordine di uscita delle “Tavolate” nella solenne processione.
Famosa per il Fiano, il vino conosciuto già nell’antichità e prediletto da Federico II, che ne ordinava grandi quantitativi, e dai sovrani medievali del regno di Napoli, Lapio produce nel suo territorio anche uva per un altro DOCG, il Taurasi. Inoltre, i terreni della valle sono ideali per coltivare i pregiati ulivi di qualità “Ravece” da cui si ottiene l’olio extravergine DOP Irpinia-Colline dell’Ufita. Grazie alla grande biodiversità che si riscontra nel territorio lapiano, si producono numerose qualità di miele - di millefiori, castagno, acacia, sulla e girasole – una dissquali nel 2019 ha ottenuto dall’International Honey Quality Competition l’ambito riconoscimento di miglior miele del mondo.
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