Un gioiello consegnato dalla storia. A Padula, nel cuore del Vallo di Diano, si trova uno tra i più importanti monasteri del Vecchio Continente, di sicuro il più vasto.
Cinquantunomilacinquecento metri quadri per una cittadella autosufficiente e distaccata dalla mondanità, in linea con la rigorosa regola dei Certosini. Modello, quest’ultima, dal punto di vista strutturale e organizzativo, di tutte le certose fondate in Europa, a cominciare dalla prima, la Grande Chartreuse nelle Alpi francesi, vicino Grenoble.
Proprio l’origine francese dell’ordine giocò un ruolo decisivo nell’arrivo dei Certosini nel Vallo, per scelta del signore del tempo, Tommaso Sanseverino. Fu lui ad acquistare dall’abbazia di Montevergine, agli inizi del Trecento, un edificio rurale con un terreno e una chiesetta dedicata a San Lorenzo. Il barone aveva voglia e necessità di dare una visibile dimostrazione del suo potere agli Angioini di Napoli e fatta la scelta di costruire un grande monastero, a cui probabilmente non fu estranea la parentela con Tommaso d’Aquino, suo zio, lo affidò all’ordine di San Bruno, francese come la casa regnante. La strategia andò a buon fine, giacchè di lì a poco il Sanseverino fu nominato Gran Connestabile del regno da Carlo II. I Certosini, peraltro, si erano fatti apprezzare altrove per la capacità di bonificare zone paludose, che era anche la condizione del Vallo. Dove, infatti, il loro apporto per la bonifica fu decisivo.
I lavori iniziarono nel 1306, sotto la supervisione del priore dell’abbazia di Trisulti, affinchè tutto rispondesse ai dettami della regola. E così fu per l’enorme edificio dall’impianto a forma di graticola, a ricordo del martirio del santo, Lorenzo, a cui fu dedicata anche la nuova certosa. Come ogni altra ispirata agli imperativi della regola – pregare e contemplare - e perciò formata da una casa bassa, destinata a tutte le attività utili alla sopravvivenza della comunità curate dai conversi (i frati laici), e dalla casa alta, riservata alla vita di clausura dei padri certosini. E tutt’intorno al complesso c’erano i terreni coltivati con le vigne, gli uliveti, i frutteti e gli orti, che davano frutti copiosi, tanto da rappresentare per diversi secoli la principale realtà produttiva e lavorativa del Vallo. Poi, con il passaggio della proprietà dai Sanseverino, caduti in disgrazia dopo la Congiura dei Baroni, all’ordine certosino, la certosa di Padula conobbe un lungo periodo molto florido e si configurò come una vera potenza economica.
Tanta ricchezza nel Cinquecento e Seicento si tradusse anche in importanti lavori di ampliamento e trasformazione, che proseguirono per buona parte del Settecento. Così, poco a poco, la struttura originaria fu modificata fino alla completa “mutazione” in stile barocco. Suggellata dall’ultimo rimaneggiamento avvenuto nel 1779, quando fu completato lo scenografico scalone ellittico, in aggiunta al nuovo refettorio e al chiostro grande.
La soppressione degli ordini religiosi decisa da Gioacchino Murat nel 1807, costrinse i Certosini a lasciare Padula. Fu allora che fu spogliata dalle opere d’arte, dagli oggetti preziosi e da tanti libri antichi dalla biblioteca. Al loro ritorno dopo la restaurazione borbonica, i Certosini trovarono una certosa depredata e impoverita, di cui riuscirono a ripristinare e ad abbellire con nuovi dipinti solo il refettorio. Meno di cinquant’anni dopo, con l’Unità d’Italia e la nuova soppressione del loro ordine, i Certosini lasciarono definitivamente la loro certosa, che fu dichiarata a fine Ottocento monumento nazionale. Ma questo non bastò a proteggerla dal degrado del Novecento, quando durante le due guerre mondiali fu perfino utilizzata come campo di prigionia. Finalmente, nel 1981 ebbero inizio i restauri, che l’hanno recuperata in gran parte, consentendone la trasformazione in polo museale. E aprendo la strada, nel 1998, al riconoscimento di sito patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco insieme all’intero Vallo di Diano.
IN VISITA NELLA CERTOSA
Ovviamente, il restauro ha restituito dignità e bellezza, dopo un lungo abbandono, alla certosa nella sua ultima versione barocca. Delle configurazioni precedenti, a cominciare da quella gotica originaria del Trecento, sono rimasti soltanto il portone, del 1374, e le volte a crociera della chiesa. Che si trova nella parte bassa dell’amplissimo complesso, quella, cioè, vocata alle relazioni con il mondo esterno. A cui si accede, sul lato orientale da un grande cortile rettangolare, tuttora ingresso principale al monumento, che anticamente era il cuore della realtà produttiva della certosa. Lì, infatti, oltre alle stalle, si aprivano i granai, le spezierie, le officine dei fabbri, le lavanderie e pure le pescherie. Vi si trova una fontana seicentesca e da lì partono i collegamenti con i giardini che circondano la certosa oggi, in luogo degli orti del passato. A dominare il cortile, edificata sulla cinta muraria esterna, s’innalza la settecentesca Torre degli Armigeri.
In fondo al cortile, è la facciata principale di gusto barocco, realizzata entro il primo ventennio del Settecento. Quattro nicchie accolgono le statue di San Bruno, San Paolo, San Pietro e San Lorenzo, opera di Domenico Antonio Vaccaro. Sul registro soprastante sono collocati i busti dei quattro Evangelisti, della Madonna e di Sant’Anna. In alto si trova una statua centrale della Vergine affiancata da Religione e Perseveranza e da putti.
Dentro la certosa, l’itinerario ha inizio dalla foresteria più antica, affrescata da Francesco De Martino, che immette sul chiostro della Foresteria, risalente al Cinquecento, tardomanierista, con una fontana centrale di marmo, un porticato con statue di gesso ottocentesche e una loggia al piano superiore su cui si aprono numerose stanze abbellite con pregevoli affreschi raffiguranti paesaggi di autore ignoto. Erano destinate, un tempo, all’accoglienza degli ospiti di riguardo, che furono particolarmente numerosi proprio a partire dal XVI secolo, a testimonianza del ruolo di primo piano che la Certosa di Padula aveva conquistato. A beneficio degli ospiti era anche la Cappella di Sant’Anna dalle ricche decorazioni a stucco.
Dal chiostro, impreziosito pure dalla Torre dell’Orologio, si accede a vari ambienti, tra i quali la Chiesa. La porta lignea trecentesca, attribuita dato il valore artistico ad Antonio Baboccio da Piperno, reca bassorilievi raffiguranti la Vita di San Lorenzo e l’Annunciazione. Ad unica navata, l’edificio sacro presenta archi ogivali e volte a crociera con affreschi di Storie del Vecchio Testamento opera nel 1686 di Michele Ragolia. A parte le sontuose decorazioni barocche di stucchi dorati, le pareti sono bianche, perché prive dei dipinti originari, di grandi autori come Luca Giordano, Francesco Solimena, Giacomo Farelli e Paolo De Matteis, trafugate durante il Decennio Francese. Assai preziosi sono i cori lignei della chiesa: il “coro dei conversi”, all’ingresso, con intarsi di Giovanni Gallo del 1507, e il “coro dei padri” con scene ad intarsio, sempre cinquecentesche, dal Nuovo Testamento, di Santi ed Eremiti e di Martiri. Sulla destra della chiesa si aprono la Sala del Capitolo dei Conversi con il trono del Priore e quattro cappelle settecentesche finemente abbellite. L’altare maggiore è di stucco e intarsi di madreperla, opera di artisti affermati.. L’abside è adorna dei dipinti di Salvatore Brancaccio, commissionati dai frati dopo il loro rientro, per coprire gli spazi lasciati vuoti dalle opere rimosse durante il periodo napoleonico. Da dietro l’altare si accede alla sacrestia, dalla volta a botte e con le pareti foderate da pregiati mobili seicenteschi.
Dall’abside si accede alla Sala delle Campane da cui si entra nella Sala del Capitolo, usata per le confessioni e abbellita da affreschi del Seicento e dipinti e statue settecentesche; nella Sala del Tesoro dai ricchi stucchi, che custodiva un tempo il tesoro dei Certosini, andato perduto e nel chiostro del Cimitero antico. Quest’ultimo risale alla prima metà del Settecento ed è stato attribuito a Domenico Vaccaro. Dal chiostro si entra nella Cappella del Fondatore, dove Tommaso Sanseverino è sepolto in un monumento funerario cinquecentesco, riconducibile alla cerchia dell’artista catalano Diego De Siloè. Il Sanseverino vi è rappresentato in una scultura di marmo di gusto rinascimentale napoletano.
Sempre il chiostro dà accesso al Refettorio, costruito tra il 1738 e il 1742, con le sedute di legno e il pavimento decorato con marmi policromi. Dalle pareti furono rimossi i dipinti originari nel Decennio francese, ma resta un affresco raffigurante Le nozze di Cana del 1749, opera di Francesco D’Elia. E di grande valore artistico è anche il pulpito sorretto da un’aquila con Il martirio di San Lorenzo e La morte di San Bruno a bassorilievo. Fuori al Refettorio si trova il Chiostro trecentesco con un porticato dal pavimento in terracotta che raffigura Esculapio che nutre il serpente.
Sul chiostro, di lato al Refettorio, si trova la grande cucina di impianto settecentesco, con il focolare centrale guarnito di maioliche colorate in cui è collocato l’antico bollitore e sovrastato da un’enorme cappa. Sulla parete di fondo è affrescata una Deposizione di Cristo del 1650. Un ambiente creato ex novo, che non corrisponde alla cucina precedente, protagonista della famosa leggenda sulla frittata da mille uova cucinata per la visita di Carlo V, quando l’imperatore sostò alla Certosa con il suo esercito nel 1535, di ritorno dalla vittoriosa campagna di Tunisi contro Khair al Din “Barbarossa”. Sotto la cucina si estendono le cantine dove si faceva il vino, tra le principali produzioni della Certosa.
Vicino alla cucina si trova il Chiostro dei Procuratori, che erano gli amministratori della Certosa, per cui sovrintendevano a tutte le attività che vi si svolgevano e si occupavano di gestirne i numerosi possedimenti. Un altro degli spazi dell’ampliamento settecentesco, abbellito da una fontana centrale con un delfino. Al piano superiore erano disposti gli alloggi dei Procuratori e l’importante Biblioteca, alla quale si accede da una scala elicoidale in pietra, risalente al Quattrocento. Dei ventimila volumi originari, ne restano circa duemila, ma l’ambiente si distingue comunque per il pavimento di maiolica opera degli artefici del chiostro di Santa Chiara, Donato e Giuseppe Massa. L’Aurora col suo carro, Il Giudizio universale e L’Allegoria della Scienza di Leonardo Olivieri del 1763 impreziosiscono la volta, altri affreschi di Filippo Pascale si trovano sulle pareti.
Proprio vicino alla scala elicoidale è l’ingresso del Quarto del priore, l’alloggio della guida della comunità monastica, composto da dieci sale, tra cui la settecentesca cappella dedicata a San Michele arcangelo, ricca di stucchi e affreschi, oltre ad un ciclo di dipinti sulle Storie di San Michele e l’Immacolata di Alessio D’Elia. Le sale ospitano il Museo archeologico provinciale della Lucania occidentale. È parte del “quarto” anche un chiostro che si estende dietro le celle dei padri certosini e collega la certosa ai giardini che la cingono. Il porticato del chiostro ha un soffitto a cassettoni e pareti affrescate con scene di Paesaggi, probabilmente di Domenico Gargiulo. Nel chiostro sono anche due fontane, una con la scultura della Madonna con Bambino e un’altra accostata alla parete.
Con i suoi quindicimila metri quadri il Chiostro grande della Certosa è il più ampio del mondo e potrebbero entrarvi sessantamila persone. Funge da raccordo tra la “casa bassa” e la “casa alta” ed è il cuore di quest’ultima, riservata ai monaci dediti alla vita contemplativa in solitudine. La struttura fu completata, così come si presenta ancora, nell’arco di tre secoli: La fabbrica della parte inferiore, avviata alla fine del Cinquecento, fu ultimata nella prima metà del Seicento ed è stata attribuita al grande Cosimo Fanzago e ai suoi allievi. Ben ottantaquattro colonne binate di ordine dorico scandiscono il porticato con la volta ad arco a tutto sesto e bassorilievi raffiguranti I padri fondatori degli ordini religiosi, Santi ed Angeli. Al piano inferiore si trovano le ventisei celle dei monaci, dove trascorrono la maggior parte del tempo della clausura. Ognuna è formata da tre o quattro ambienti e un piccolo giardino, che i certosini coltivavano individualmente. Tra le celle si aprivano le piccole finestre attraverso le quali venivano consegnati i pasti agli eremiti. Vicino alla porta che porta in biblioteca si trova una fontana di Andrea Carrara. Quattro vie di pietra dividono il prato del giardino del chiostro, al centro c’è una fontana del 1640. Nella parte orientale del Chiostro grande è inserito il Cimitero dei Padri, costruito nel Settecento su progetto di Fanzago, che richiama l’omologo della Certosa di San Martino. Al piano superiore si trova il camminamento dove i monaci trascorrevano la loro uscita settimanale dalla clausura, quando potevano passeggiare due a due e rompere il silenzio praticato per tutto il resto del tempo.
Sul lato opposto a quello in cui è l’ingresso del chiostro, s’impone la monumentale Scala ellittica di pietra di Padula, che collega i due piani che affacciano sul Chiostro grande. È opera di Gaetano Barba, l’allievo di Luigi Vanvitelli, anche se le caratteristiche della scala ne suggeriscono una progettazione a cura di Ferdinando Sanfelice. Lo stemma della Certosa campeggia al centro della scala, chiusa all’esterno da una torre ottagonale dotata di sette finestroni affacciati sul giardino all’italiana di gusto settecentesco, il desertum tipico delle certose e utilizzato per le uscite dei monaci nelle festività importanti. Giardini all’italiano circondano interamente la Certosa, adorni di fontane ed edicole sacre.
L’ANTICA COSILINUM
Nel percorso tra la Certosa e Padula, a Civita, s’incontrano i resti dell’antica Cosilinum, primo insediamento nella zona risalente al XII secolo a.C., fondato molto probabilmente dagli Enotri. Tanti piccoli villaggi di pastori erano disseminati nella pianura con un centro di riferimento fortificato in cui abitanti e armenti potevano rifugiarsi in caso di pericolo. Poi, intorno al VI secolo, l’espansione fino al luogo dove sorge l’attuale Padula e dove sono riemersi importanti corredi funerari. La città crebbe ancora in epoca romana, sebbene il sostegno a Pirro e ad Annibale l’avesse fatta cadere inizialmente in disgrazia. A salvarla fu la favorevole posizione lungo la nuova via Popilia Annia, che la collegò a Paestum e Velia, prima che nell’89 a.C. diventasse municipio romano.
Di Cosilinum restano tra la vegetazione parti della cinta muraria e delle cinque torri di difesa. I reperti sono invece nel Museo archeologico all’interno della Certosa.
Informazioni utili:
Aperto dal martedì alla domenica dalle ore 9:00 alle ore 19:30
Biglietto intero: 6€
Biglietto ridotto: 2€
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