"Concordemente da tutti gli scrittori è stimata la più bella regione del mondo, per il clima temperato,
la grassezza dei terreni, e per i luoghi piacevoli”
Camillo Porzio avvocato e storico
Una vasta pianura, incoronata dai monti del Matese e solcata da fiumi che scorrono imponenti fino al mare. Fertile e accogliente, come il grembo della Mater matuta, la dea dell’Aurora e della fecondità a cui erano devote le antiche popolazioni italiche, che in quella terra trovarono le condizioni ideali per insediarsi e progredire. Genti osche, etrusche, sannite e, prima di tutti, i Leborini, da cui Plinio il Vecchio mutuò i nomi Laboriae e Campi Laborini riferiti all’ampia area tra i Monti Aurunci, a nord, e i Campi Flegrei, a sud. In gran parte corrispondente all’ager campanus, il florido territorio di Capua, la città più antica di Roma, che nel V secolo a.C., suo periodo di massimo splendore, era seconda solo all’Urbe.
Di Capua, capuani, campani…ed ecco Campania: questa l’origine del toponimo che nell’antichità identificava l’ager campanus, dal fiume Garigliano ai Campi Flegrei e parte del Sannio. Un territorio che fu progressivamente ampliato fino a raggiungere, a livello amministrativo, l’altra Campania, ovvero la campagna alle porte di Roma. Fu per distinguere questa Campania nova dalla Campania antiqua, propria di Capua, che Plinio vi aggiunse il felix destinato a passare alla storia. E che, poi, fu collegato a posteriori alla feracità del suolo e, dunque, alla ricchezza e alla felicità di chi viveva in quella zona. Dove Annibale si fermò col suo esercito a svernare durante la seconda guerra punica, deciso a usare la grande Capua a lui favorevole come antagonista della Roma che aveva giurato di combattere.
I Romani vincitori furono implacabili con i Capuani ribelli. Ma la grande pianura che sfamava anche Roma restituì presto il benessere alla sua gente. E così fu anche nei secoli successivi, durante le alterne fasi di pace e stabilità garantite dai dominatori di turno della Campania felix, identificata fin dall’avvento dei Normanni come Terra di Lavoro, dal nome del popolo dei Leborini.
Il vasto territorio ha sempre avuto caratteristiche favorevoli agli insediamenti umani. A cominciare dalla sua conformazione, in gran parte pianeggiante dalle catene appenniniche fino al Tirreno, su cui affaccia per i 45 chilometri di sviluppo della fascia costiera, caratterizzata da lunghi litorali sabbiosi. E lì che sfociano i due fiumi principali: il più modesto Garigliano, confine naturale a settentrione per buona parte del suo corso campano, lungo il quale irrora la sua fertile piana, e il maestoso Volturno, che nel suo medio e basso corso, rafforzato dal contributo degli importanti affluenti, nutre l’ager campanus, con cui perlopiù si identifica il suo enorme bacino. È la catena montuosa in cui svetta il monte Massico che, nel raggiungere il mare, separa la pianura del Garigliano da quella del Volturno.
Gli altri corsi d’acqua più importanti sono figli delle montagne che, oltre alla catena del Massico, sono presenti, sia pur non prevalenti, nella Campania felix. In primo luogo i monti del Matese, un monumento della natura al confine tra due regioni e quattro province, che raggiunge altezze significative. E infatti lì è la cima più alta della Campania, La Gallinola. Ma il Matese custodisce anche una preziosa e importante riserva d’acqua. Tra le sue vette hanno origine i principali affluenti del Volturno, il mitico Lete e l’irruento Torano, che offrono spettacoli naturali di rara bellezza. Di non minor valore sono quelli che si godono intorno ai laghi Matese, Gallo matese e Letino.
Dal monte Caprario prendono il nome i Colli Caprensi, noti anche come Monti Trebulani, che s’innalzano sulla media valle del Volturno, con le varie cime, la più alta delle quali appartiene al monte Maggiore. E anche se apparentemente ha l’aspetto di un massiccio montuoso, dall’alto rivela il cratere che l’ha generato il vulcano spento di Roccamonfina, con il monte Santa Croce e il monte Lattani, vicino al confine laziale. C’è poi il brullo monteTifata, in realtà un colle che supera di poco i 600 metri, a presidiare il limite settentrionale della pianura campana tra Capua e Caserta, le due città che hanno fatto la storia della Campania felix.
La prima, Capua, ne ha rappresentato il baricentro dall’antichità per undici secoli, capoluogo del territorio anche quando diventò la provincia di Terra di Lavoro. E anche dopo la realizzazione della nuova, sontuosa reggia di Caserta,voluta da Carlo di Borbone come alternativa alla capitale del regno. Un’opera geniale di Vanvitelli, accompagnata ad un’altra meraviglia ingegneristica come l’Acquedotto Carolino, che domina la fertile Valle di Maddaloni. Fu solo nel 1818, che Capua fu soppiantata nel suo ruolo storico da Caserta. Capoluogo della Terra di Lavoro, i cui confini erano già stati ampiamente rivisitati, finchè la provincia non fu abolita del tutto nel 1927 durante il fascismo, aprendo la strada alla frammentazione amministrativa dell’antica Campania felix e all’accorpamento delle sua diverse parti alle province limitrofe. Fu solo alla conclusione della guerra mondiale nel 1945 che Caserta riprese la sua funzione di cuore della Campania felix, l’antica florida terra del Leborini.
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