Ho una personalissima bibliografia portatile da viaggio (sulla rotta Ischia-Napoli e al contrario) che abita nella mia borsa, tra penne e matite: sono libri di medio-piccolo formato, li divoro rapidamente per curiosa passione, per ovviare alla routine del moto ondoso. Spazzano via l’afasia in caso di noia in agguato.
Da un po’ di tempo nel mio immaginario preferito, quello antropologico, sono entrate le streghe e soprattutto le fascinose janare.
La mia rotazione libresca è però continua. Ed ecco che, all’improvviso, s’è conquistato un posto d’onore il titolo che non m’aspettavo, per via delle mie discontinue frequentazioni con il genere in versione cartacea, quello da… paura.
«Due baci e piccole ferite», è l’ultimo libro di Antonio Pedicini (Kairós edizioni, 216 pagine, euro 15,00) e mi ha sorpreso e coinvolto perché è un distillato di horror mutante che è la naturale evoluzione – drop by drop - di un’appartenenza geografica, culturale e dunque identitaria molto forte e spiritata: il Sannio.
Qualcuno mi ha detto – giocando con le metafore - che durante la scorsa estate, caldissima, si è rinfrescato grazie ai brividi autoriali indotti dalla lettura tutta-d’un-fiato dell’antologia di racconti firmata da Antonio, napoletano di nascita (1976) ma con origini, appunto sannite, ben impresse nel suo corredo genetico.
Io direi invece che le sue storie sono un concentrato di ghiaccio bollente, evocando il più classico e vetusto degli ossimori, almeno da quando il funambolico Tony Dallara (era il 1959!) lanciò una canzone che si chiamava così (era sull’andante erotico malcelato, più che melodico). Per questo, e non ho dubbi, è il libro che bisogna leggere in questa stagione: a ridosso di Halloween! Se non ora, quando?
Stop alle divagazioni. Promesso. Anche se i salti ironici sono indotti dal modo stesso di proporsi con leggerezza di Antonio Pedicini.
Torniamo a «Due baci e piccole ferite». Anzi, prima all’autore, che ho incontrato non troppo tempo fa per questioni di Cinema. Certo, il Cinema, è questo il suo mondo (e c’è anche la musica), e se lo porta appresso quando scrive: Antonio è un regista raffinato, ricercatore oltre che narratore e saggista proteiforme.
Del resto, dopo essersi diplomato con il massimo dei voti al liceo artistico, ha cominciato a realizzare storyboard e sceneggiature per produzioni professionali a Roma. Come regista ha scritto e diretto numerosi cortometraggi, tra i quali «La traccia della vita», vincitore del premio Rai per «Inail: save the talent». In narrativa, dopo l’esordio con «In viaggio con il Maestro» (Albatros, 2011), c’è «Il diario di Burrasca» (SplendidaMente, 2016); e poi «Pink Floyd, musica per immagini», un fascinoso studio sul cinema del mitico gruppo pubblicato da Arcana nel 2017.
Nel frattempo, aspetto l’uscita del lungometraggio «Posso baciarti?», produzione Rio Film.
Se avete voglia di curiosare immediatamente tra i suoi lavori, date un’occhiata al canale YouTube di Kairós edizioni, e in particolare alla «Magia delle janare», che è stato il preludio all’editing e alla pubblicazione del blocco di racconti «Due baci e piccole ferite», che era in attesa da un po’…
«Infatti era da molto che avevo nel cassetto questa antologia che sintetizza le mie predisposizioni per l’occulto e oltre», ammette Antonio.
«Penso che l’horror nasca dalle profondità della mente umana, tutti abbiamo zone d’ombra dentro noi. Non a caso cito Karl Gustav Jung: “Non c’è presa di coscienza senza sofferenza”. Mentre gli occultisti ci parlano della figura archetipa dell’Elmer, ossia “il guardiano sulla soglia”: è un’entità che si nutre delle nostre paure per esistere e si manifesta proprio quando siamo alla soglia di un’evoluzione interiore». Più ne parla, più lo ascolti, più ti rendi conto che Pedicini è uno studioso appassionato che indaga le tradizioni facendo leva su un apparato teorico consolidato, proprio come piace a me, fino a svelare le connessioni tra le abitudini popolari umbratili che affondano nel passato millenario dei miti.
Il titolo della raccolta, «Due baci e piccole ferite», va detto, è frutto della citazione di un autore di stratosferica grandezza, Stephen King, lo scrittore con più adattamenti cinematografici di opere all’attivo.
«King – aggiunge Antonio - ha infatti detto che un racconto è “come un bacio veloce”, perché ti provoca un fugace brivido. Ma i brividi si provano anche per amore. E questo è l’altro filo conduttore di questo lavoro: amore e paura, eros e thanatos. Per me amore e paura sono sentimenti speculari, si può amare fino alla follia; e non è l’odio che uccide, ma l’amore, come testimoniano vicende di cronaca nera. Amare significa rischiare continuamente, scommettere, osare; e poi magari conquistare e combattere allo stesso tempo con la paura di perdere quello stesso amore. I “baci” del titolo sono i racconti lunghi che aprono la raccolta e le “piccole ferite” sono ciò che resta dopo i “grandi baci”».
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