È un soffio vorticoso, vibrante ma morbido e nobile, ritmato, e non è un rumore banale: arriva dalla cucina, è il suono delle uova appena sgusciate e poi battute rapidamente da mamma Iolanda. Ed è una danza aperitiva, il segnale per papille e pupille: «Rosà, stanno preparando le mozzarelle in carrozza per noi!». Un bagliore soddisfatto s’impossessa dello sguardo di Rosanna.
La doratura luminosa e complice, avvolge il fior di latte poggiato con voluttuosa soddisfazione sulla fetta di pane cotto a legna, che è di suo consistente, intenso. Il risultato fa lo sprint, per personalità e carattere, con tante specialità della friggitoria mediterranea. E vince. Eppure ricordo che nel secolo scorso la superba custode dei segreti della «Cucina napoletana», Jeanne Caróla Francesconi, fece un feroce sgarbo. Si dedicò con poca voglia alla descrizione della ricetta: scrisse di «pane raffermo» e «tramezzini», forse sotto l’influenza di certe frettolose pappatorie cittadine…
Lo ricordo bene. Eh, no, ci vuole un cazziatone postumo, con tutto il rispetto. Se si parla di questa signora Mozzarella in Carrozza, bisogna usare le maiuscole. E poi, non vuoi aggiungere che Rosalia, 18 anni, le accompagna in tavola con generosa flessuosità e un sorriso che ti fanno ben sperare nel futuro? E il valore ulteriore è in quel sentiero di conoscenze che anche Anna, 24 anni, cuoca con entusiastica vocazione ha già intrapreso: i gesti esemplari fanno trionfare l’umiltà degli ingredienti. Papà Leonardo Iacono se la gode sornione: è un ottimo maestro! Il pane scelto e tagliato con cura si lascia avvolgere nello sfrigolio della frittura orgoglioso del suo profumo, fino ad esaltarsi nel destino compattato dal fuoco e dell’albume, creando due «isole» nel piatto. Punteggiate di pepe, bollenti e leggere, ammutoliscono i nostri ‘nciuci di fine estate. E zittiscono i babbasoni del gusto. Vecchi e nuovi. Ce ne sono a migliaia.
Mammia mia, che fame, ragazzi. Dopo un pomeriggio beatitudinario, trascorso a giocare in acqua appallottolando un foulard, e poi ad asciugarmi sulla grana sabbiosa delle Fumarole, lo spigolo selvaggio della parte occidentale della spiaggia dei Maronti, ho scandito i minuti – nell’attesa delle sette di sera - come un bambino che gioca a nascondino.
Eccomi, finalmente, a Cavascura per l’ennesimo rendez-vous di stagione alla «Taverna Pietropaolo – Stalino» (telefono: 081.905870 – 320.6341345), la grotta della storia ciclica dell’appetito e della gioia, della naturalezza preservata in forma di trattoria, che quest’anno ho eletto al vertice della personale classifica mangiatoria. Il motivo? Più di uno.
E poi, vuoi mettere: tranne gli spaghetti con aglio e olio (e peperoncino fresco), o i bucatini; ho sempre usato le mani. Ho goduto, nzevato, tra scarpette e inzuppate, in un sancta sanctorum di preparazioni minimaliste e abbondanti, dunque perfette: sauté di cozze, vongole e cannolicchi; sugo di coniglio; fritture di pesce povero e insalate sgranocchiose, fino all’apice dell’ottimismo, le zeppole…innevate di zucchero.
Certo, ormai, questo posto lo conoscono tutti, è uno dei miti d’Ischia inglobati nel vulcano e nelle acque ipertermali. Appena ti siedi, il sesto senso ti guida e ti strega. L’atmosfera interiore è governata da Vincenzo, che è nato nel ’93 ma è uno straordinario professionista, un già veterano che si muove tra le pareti intrise di immagini epocali, di ricordi quasi ancestrali, rivolgendosi ai frequentatori con una dote spiccata e consapevole: l’accoglienza verace. Friendly ed elegante, si vede che è cittadino del mondo: ha studiato al glorioso Istituto alberghiero di Ischia… Enzo si è diplomato col massimo dei voti, facendo una tesina sul libro bellissimo scritto dal mio amico Angelo Conte e intitolato «Il Principe di Cavascura» che è un inno all’unicità di una terra che per Gianni Mura era cappadociana, impastata di mare e minerali, con dolmen, forre e calanchi.
Enzo parla molte lingue, d’inverno va a perfezionare il mestiere all’estero, proprio come si faceva una volta. Ha una marcia in più. Auguro ad Antonio, il fratello più piccolo, di prenderlo davvero come esempio… Tant’è. Tutta la famiglia Iacono è rassicurante e infonde speranza.
Anche se ho un cruccio forte: possibile che a Cavascura bisogna scendere in quad, fuoristrada, quattroperquattro, motocross e quant’altro? Diamoci una mossa, cerchiamo di tenere un po’ più lontani questi mezzi…
Per il resto, la Taverna è come la vuoi: un ambiente letterario per le menti sottili; una mèta popolare per i gustatori di semplicità e i fanatici dei sapori «di casa»; una riprova identitaria per i narratori del proprio sentirsi globetrotter appagati; uno spicchio fertile di poliglottismo che evoca i «Figli dei fiori», gli artisti e gli intellettuali. E ti fa incontrare, come se niente fosse, perché non c’è bisogno di nascondersi, i vip e i nuovi ricchi di questa Terra Promessa; gli amanti tout-court e in fuga; e gli amanti dell’insularità resiliente che adora i «tempi belli d’una volta», pur sprofondando, a volte, in un fiume di cliché.
Sto qui ancora, con Rosanna, nell’affresco movimentato dalla memoria amorosa, accesa dalla favola di Pietropaolo che aveva i baffoni e quella faccia un po’ corrucciata alla Stalin che gli valse un soprannome gigantesco - nuotando in un oceano di ormoni montanari - e due mogli, Angelina e Amalia. Stalino divenne presto un Super Nome, di cui il mondo e le pance degli umani, si sono alimentati per poi riempire i ricordi di un’esperienza appagante, forte. Che fa sognare e tornare. All’inizio, nell’antro stupefacente del piacere, si celebravano i conigli allevati nelle fosse. Eh, qua ci scrivo un altro libro… E poi c’era l’antipasto frugale, con i salami fatti con le proprie mani, seguìto da «lo spaghetto» per gli avventori, tedeschi, ieri come oggi. Anche quelli che continuano a bere il cappuccino davanti a un piatto di pasta. Mannaggia…
E vabbè. Tutto cominciò nel 1929. A proposito, si accettano prenotazioni per il Centenario.
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