Arrivano dalla notte dei tempi, da quando gli agricoltori cominciarono a rendere grazie alle divinità della terra per l’esito dei raccolti. Diventarono vere e proprie feste comunitarie in epoca romana, nel pieno dell’estate, quando le bionde spighe donavano i loro frutti, irrinunciabile fonte di cibo.
Da allora si sono tramandati di generazione in generazione nei secoli, integrandosi anche nella ritualità cristiana, come omaggio, a seconda dei paesi, o alla Madonna, celebrata con vari titoli, o a San Rocco, protettore dalle pestilenze, il cui culto si radicò fortemente in Campania soprattutto dopo l’epidemia di peste che colpì duramente l’intero Regno di Napoli nel 1656. Sono i Riti di Grano e di Paglia, radicati in diversi Comuni campani del Sannio e dell’Irpinia, con altri due vicini paesi del Molise, lungo la dorsale appenninica che fu ponte tra popoli e culture fin dalle epoche più remote. Al di là delle peculiarità che li caratterizzano nei diversi paesi, gli elementi comuni che ne fanno una testimonianza antropologica di straordinario interesse hanno convinto la Regione, dalla quale sono già identificati come eventi di rilevanza nazionale e internazionale, a predisporne la candidatura al Patrimonio Unesco.
 
FONTANAROSA

Il borgo incastonato tra la collina e la valle del Fredane celebra la sua annuale festa dedicata al grano, che in quella zona si coltiva almeno dall’epoca longobarda, il 14 agosto. Anche se i festeggiamenti iniziano l’8, quando si avvia la complessa macchina organizzativa che rende possibile la “Tirata”, nome con cui è definita la manifestazione fontanarosana. Ė in quella giornata, infatti, che sul gigantesco obelisco di paglia e grano viene tradizionalmente collocata la parte sommitale della cupola, sovrastata dal tronetto su cui viene sistemata la statua della Madonna della Misericordia, in onore della quale si svolge la festa. 

L’obelisco è di dimensioni davvero imponenti con i suoi 28 metri d’altezza, diviso in otto registri. Si tratta di una complessa struttura di legno, sulla quale di anno in anno vengono montati i pannelli che sono dei veri capolavori di intreccio della paglia. Una volta composta l’opera, entrano in azione gli esperti “angeli delle funi”, che hanno il compito, delicatissimo, di tenerla in piedi senza rischi durante tutto il percorso da via Primo Maggio al Municipio, compiuto su un carro trainato da due coppie di buoi. Di contorno, ma svolta con lo stesso spirito corale dagli abitanti del borgo e delle campagne vicine, è la sfilata delle “gregne”, i covoni di spighe condotti da persone del posto in abiti tradizionali, accompagnati da musiche e canti tipici.

Una tradizione molto radicata, questa della festa del grano, della cui origine più antica si è perduta la memoria. Da connettersi probabilmente ai riti propiziatori per la mietitura praticati nell’antichità e poi riconvertiti con l’avvento del Cristianesimo. L’obelisco potrebbe essere stato mutuato dagli obelischi dell’età barocca innalzati in alcune piazze di Napoli. E proprio di origine napoletana erano i due fratelli “apparatori” Generoso e Stanislao Martino, figli del falegname napoletano Giuseppe Martino, già artefice dell’obelisco di grano di Mirabella Eclano, che a metà Ottocento si trasferirono a Fontanarosa elaborando il primo carro con l’obelisco. Quest’ultimo è stato poi elaborato nella sua configurazione attuale nel secolo scorso da Mario Ruzza. 

FLUMERI

Tra le alture della Baronia e la valle dell’Ufita, Flumeri rinnova ogni anno la sua devozione a San Rocco, rendendo grazie per la raccolta del grano con una manifestazione di fede che affonda le sue radici nei culti ancestrali legati all’attività contadina della sua gente. Il 15 agosto l’intera comunità del borgo irpino è mobilitata nella cerimonia della “tirata del Giglio”, un monumento di spighe intrecciate di forma piramidale, alto trenta metri, frutto del lavoro e della partecipazione di tutti. 

Ė con le spighe più belle che si crea il Giglio. Scelte una ad una, selezionate con pazienza secondo il colore e bagnate, per poi riuscire ad intrecciarle e a realizzarne i pannelli che andranno a comporre i sette piani da cui è formata l’opera. Ogni piano è curato da una squadra di giovani, mentre esperti falegnami, detti “carristi”, si occupano della struttura portante in legno, del primo piano del Giglio, dedicato a San Rocco, e della punta. Assemblato in orizzontale, il Giglio viene innalzato tra l’8 e il 10 agosto, mentre la “tirata” con la sfilata per le strade del borgo si svolge il giorno di Ferragosto. Il percorso tradizionale va dal Campo del Giglio alla chiesa di San Rocco, su un trattore. Ma è solo grazie alla maestria e all’abilità dei manovratori delle funi che è possibile tenere in equilibrio il gigante di spighe per l’intera sfilata, a cui assistono tutti i paesani e gli ospiti forestieri. Al termine della manifestazione viene proclamata la squadra vincitrice del Palio per le decorazioni più belle. I vincitori parteciperanno alla processione della festa di San Rocco, il giorno dopo, portando il gonfalone con l’immagine del Santo.

VILLANOVA DEL BATTISTA

Nell’alta valle dell’Ufita, non lontano dal Regio Tratturo Pescasseroli-Candela per secoli tra le principali vie della transumanza, gli abitanti del borgo montano affacciato sul torrente Fiumarella rendono omaggio ogni 27 agosto al loro patrono San Giovanni Battista con il “tiro del Giglio”, una festa particolarissima che vede protagonista il grano. Ė con la paglia, infatti, che viene costruito un giglio alto ventisette metri, che viene poi per trasportato per le strade del paese. 

Fu un abitante del paese, Costantino Ciccone, ad avere l’idea nell’800 di dedicare un ex voto a San Giovanni Battista sotto forma di un obelisco di circa due metri. Nel tempo, ne furono realizzati altri sempre più grandi. Nel 1930 è attestata l’esistenza di due gigli: uno più alto, di venticinque metri, di avena intrecciata e uno più piccolo di grano. Tradizione interrotta dal terremoto di quell’anno e poi ripresa nel 1986 con la realizzazione di un unico Giglio, opera dell’intera comunità villanovese, che porta avanti con entusiasmo la tradizione.

MIRABELLA ECLANO

Lo chiamano “carrettone”, gli abitanti di Mirabella Eclano.  Fin dalla mietitura si danno da fare a intrecciare le migliori spighe per decorarlo a dovere. Perché sia pronto per l’8 settembre, quando viene trasferito nel borgo, per dare il via alla tirata del carro, nel terzo sabato di settembre. Non è solo il carrettone ad animare la festa, che è anche atto di devozione verso al Madonna Addolorata, a cui fu dedicato il più antico carro come ex voto, donato per ringraziare la Madonna per un buon raccolto . A completare l’imponente struttura, figlia della fede e dell’impegno corale della comunità, è un obelisco alto venticinque metri, formato da pannelli artistici di paglia montati su un’anima di legno, che culmina con una statua della Madonna. L’obelisco conta ben sette registri, di cui quattro sono opera della bottega Faugno, che vi provvede da tre generazioni, mentre i tre superiori non cambiano e sono custoditi nel resto dell’anno presso il museo del paese. 

Nel giorno stabilito per la “tirata”, il percorso attraverso il paese di circa 1300 metri viene coperto in cinque ore, procedendo con il carrettone guidato da sei coppie di buoi, mentre centinaia di paesani si occupano di tenere i piedi l’obelisco utilizzando sapientemente le funi necessarie. 

Il rito tradizionale prevede che di buon mattino avvenga la benedizione del carro nella chiesa dell’Addolorata, prima di iniziare la sfilata tra le ali della popolazione assiepata nel centro del borgo.