Storicamente era nota e frequentata per il mercato, che vi si svolgeva ogni mercoledì già da due secoli. Una funzione sottolineata, a nord, dalla presenza di una struttura con le fosse del grano e, a sud, dai depositi di olio.
Perciò la piazza era ufficialmente denominata largo del Mercatello nel 1757, quando fu identificata dall’allora amministrazione di Napoli come il sito ideale per realizzare un’opera che celebrasse la grandezza di Carlo di Borbone, che tanto aveva fatto progredire la capitale del regno, ormai una delle città più grandi ed evolute d’Europa. 

Copyright video foto e testi ️ 2020Per il progetto fu scelto l’architetto più famoso del momento che era anche prediletto dal re: Luigi Vanvitelli. L’artefice della nuova reggia a Caserta e di tante altre opere importanti ideò per quello spazio, sul lato delle mura aragonesi, un imponente emiciclo ad esedra, che avrebbe dovuto incorniciare una grande statua equestre del sovrano da collocare al centro della piazza. Per lo scenografico edificio erano previsti abbellimenti di marmi e piperno e sul livello più alto, l’attico, sarebbero state collocate ben ventisei statue di marmo a rappresentare le Virtù di Carlo. Quattro di quelle statue furono commissionate a Giuseppe Sanmartino, l’autore del celebre Cristo Velato. Nella nuova fabbrica, inoltre, sul lato ovest, doveva essere inserita la preesistente Port’Alba, fatta costruire nel 1625 dal vicerè don Antonio Alvarez de Toledo per collegare la piazza al decumano.

Quanto alla statua del sovrano che aveva dato inizio alla dinastia borbonica, al centro della piazza fu sistemato all’inizio solo il calco in gesso della famosa statua, che venne abbattuto con la Repubblica Napoletana del 1799 per essere sostituito da una statua di Napoleone, a sua volta eliminata con il ritorno al potere dei Borbone. Intanto, sopra l’edificio di Vanvitelli venne aggiunto il torrino con il grande orologio che ancora oggi caratterizza quello che era stato inizialmente definito Foro Carolino.

Era destino che il soggetto della statua scelta per campeggiare al centro della piazza dovesse seguire le vicissitudini dinastiche della capitale del regno. La nuova statua collocata dopo il rientro dei Borbone fu distrutta da un violento temporale nel 1801. Cinquant’anni dopo, nel 1855, i napoletani riproposero l’idea della statua di Carlo III e si tassarono per farla realizzare. Fu creata anche una Commissione per il monumento, fu perfino pagato lo scultore Irdi, ma il progetto si arenò. E con l’avvento dello Stato unitario nel 1861, su proposta di Luigi Settembrini, si decise di salutare la novità cancellando l’identità borbonica e puntando, invece, su un simbolo dell’italianità con l’intitolazione della piazza a Dante, raffigurato nella nuova, ennesima statua firmata dallo scultore Tito Angelini e collocata al centro del largo.

Per dare una connotazione sabauda all’ex Foro Carolino, intanto, si era già provveduto l’anno prima a trasformare il monumento vanvitelliano, dove, invece della statua di Carlo III, era stato aperto nel nicchione centrale l’ingresso del Convitto nazionale dedicato a Vittorio Emanuele II e ospitato nei locali dell’antico convento di San Sebastiano. Di quest’ultimo restano i due splendidi chiostri: uno rappresenta un rarissimo esempio napoletano di architettura romano-gotica e l’altro è invece in stile rinascimentale. 

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