Dalla sua panoramica posizione a 875 metri di altezza, affacciata sul primo tratto del grande fiume Ofanto e sul torrente Fredane, Sant’Angelo dei Lombardi domina un ampio territorio, giustificando così il suo ruolo storico di capoluogo dell’Alta Irpinia.
Ruolo conservato e rafforzato nei secoli fino al 23 novembre 1980, quando la sua placida quotidianità fu sconvolta ancora da un terremoto, che tirò giù in un minuto e mezzo gran parte del paese, sopravvissuto a diversi sismi precedenti e ogni volta rinato. Una prova durissima per la comunità santangiolese, la più colpita dall’evento tellurico, che anche stavolta, tuttavia, si è dedicata con tenacia alla ricostruzione del pregevole tessuto urbano di origine medievale, riuscendo a restituire nuova vita ai principali edifici e all’identità del suo borgo. Impegno che le è valso la Medaglia d’oro al Valor Civile.
 
Furono i Longobardi a scegliere quell’altura per realizzarvi un primo insediamento, a ciò convinti, secondo la leggenda, da un’apparizione dell’Arcangelo Michele, a cui erano molto devoti e il cui culto diffondevano ovunque arrivassero. E il nuovo paese prese, dunque, il nome di Sant’Angelo, in onore del suo patrono San Michele, a cui si aggiunse il riferimento ai Lombardi da intendersi, appunto, come Longobardi. Ma gli studiosi non hanno dubbi sul fatto che quel sito fosse stato già occupato nell’antichità, non foss’altro che per la sua vicinanza alle importanti città sannite e poi romane di Compsa e di Aeclanum, oltre che per il rinvenimento di reperti di varia natura. Al di là della narrazione leggendaria, la scelta del luogo in epoca medievale fu legata alla sua posizione geografica, che suggerì la costruzione di un castello a scopo difensivo rispetto al confine del Gastaldato di Conza, presidiato anche dalle fortezze di Torella, Monticchio e Guardia. Con l’arrivo sulla scena della storia dei Normanni, la posizione di Sant’Angelo e del suo castello si rafforzò, tanto che con la conquista di Salerno da parte di Roberto il Guiscardo nel 1076 divenne sede diocesana. In epoca angioina, la regina Giovanna II cedette Sant’Angelo al suo favorito Sergianni Caracciolo, che lo trasferì al fratello Marino, dando così inizio al dominio della famiglia, che durò a lungo, prima di passare ad altri signori, come gli Imperiale di Genova. L’Università (Comune attuale) di Sant’Angelo nel 1432 ottenne una serie di privilegi che in seguito furono confermati e rafforzati. Durante il periodo risorgimentale, i santangiolesi furono particolarmente attivi, tanto da fondare ben quattro gruppi aderenti alla Carboneria, il che portò tanti cittadini a essere imprigionati, epurati e finanche giustiziati. Subito dopo l’unificazione dell’Italia, con la divisione in tre circondari della Provincia di Avellino, Sant’Angelo divenne capoluogo di uno dei tre, fino al 1926.

Nonostante i terremoti subiti, il centro storico cittadino aveva mantenuto la sua identità e le sue caratteristiche fino al terremoto del 1980. Ma l’opera di ricostruzione e restauro ha risanato da allora vicoli, piazze e numerosi palazzi nobiliari, da visitare: Casa Ricciardi con il suo particolare portale, Casa Fischetti, Casa Loreto, Casa De Vito e Casa Del Priore.

Domina il borgo dal IX secolo il possente Castello degli Imperiale o Imperiali, sorto con finalità difensive sulla sommità del colle, a guardia del confine settentrionale tra i Principati di Benevento e di Salerno. La fortezza longobarda fu ampliata dai Normanni, che inglobarono la struttura originaria nella nuova. Una ulteriore trasformazione intervenne nel XVIII secolo, ad opera dei nuovi signori, i principi Imperiale di Genova, interessati a riconvertire la fortezza in prestigiosa residenza. La destinazione d’uso del castello cambiò ancora dopo l’Unità d’Italia, quando nel 1862 vi furono allocati tribunale e carcere. La risistemazione, dopo l’ultimo terremoto del 1980, ha comportato il consolidamento delle volte e dei solai. Accuratamente restaurato, oggi accoglie, al primo piano, il Museo dell’Opera, con tutti i reperti antichi recuperati nella cattedrale di Sant’Antonino che inizialmente sorgeva lì; e, al secondo piano, il Museo dell’Emigrazione e della Civiltà contadina, con oltre duecento pezzi che raccontano la storia dell’agricoltura del paese e del fenomeno dell’emigrazione.

Altro monumento da non perdere è la Cattedrale di Sant’Antonino martire, fondata in epoca normanna nel 1076, quando fu creata la diocesi di Sant’Angelo sotto Papa Gregorio VII, ma rimaneggiata fortemente nel XVI secolo, secondo lo stile al tempo in voga. Fortemente danneggiata nel 1980, rimase chiusa al culto per vent’anni, per essere riaperta come Cattedrale dell’Arcidiocesi di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia. Si evidenzia la facciata rinascimentale con un portale in pietra locale e travertino con arco a tutto sesto del 1734, sovrastato da tre statue normanne, intervallate da anfore artistiche, raffiguranti Cristo Risorto, San Michele arcangelo e Sant’Antonino. L’edificio sacro è a pianta latina, a tre navate, divise da pilastri con capitelli molto decorati, che sorreggono la volta a botte. Nel transetto si trovano due altari: uno neoclassico dall’abbazia del Goleto e uno in stucco. Nell’abside ricostruita dopo il sisma, ci sono l’altare e un bel Crocifisso ligneo cinquecentesco, anch’esso proveniente dall’abbazia del Goleto, al di sotto del quale è collocato un coro di legno settecentesco. La chiesa si presenta nello stile barocco, secondo la ricostruzione promossa dal vescovo Tommaso De Rosa dopo il sisma del 1694. Vi sono custodite le statue di Sant’Antonino, San Francesco di Paola, di Santa Lucia (opera dello scultore barocco, Pietro Nittoli, nativo della vicina Lioni), e una Santa Maria Immacolata in legno policromo nelle navate laterali. A destra dell’ingresso, è collocato il monumento funebre con una pregevole lastra tombale del vescovo Nicola Cecere, che il figlio Donato volle realizzare in suo onore. Di notevole valore, i dipinti raffiguranti La Madonna di Montevergine di Angelo Michele Ricciardi e un Cristo Redentore di Domenico Antonio Vaccaro. Di fianco alla cattedrale s’innalza la torre campanaria, a base quadrata, mutilata dal sisma.

Di notevole interesse è anche la Chiesa del convento francescano di San Marco, del 1274, ma poi più volte riedificata con materiali originari. Il portale è in pietra rinascimentale e reca uno stemma Clemente XIV e un bel tondo di pietra della Vergine con il Bambino. Grande devozione è rivolta alla statua di Sant’Antonio da Padova. Altare in marmi policromi del duecento. Sulle pareti del convento sono posti pezzi architettonici antichi e sarcofagi di illustri cittadini del Cinquecento. Con la soppressione degli ordini religiosi in epoca napoleonica, il convento divenne caserma dei francesi, municipio, scuola e caserma di fanteria.

Nei dintorni della città non mancano i richiami naturalistici: il fiume Ofanto innanzitutto e poi i torrenti Fredane, Bocca Nuova e Sant’Angelo, ai quali si aggiunge una famosa sorgente sulfurea in località Selvaggio.