Lungo le stradine accuratamente lastricate con la pietra chiara delle cave vicine, il canto discreto dell’acqua che scorre, accompagna il cammino.
Ė una presenza costante, l’acqua, a Sant’Andrea di Conza, suggestivo borgo collinare affacciato sulla valle solcata dal fiume Ofanto. Nella parte più elevata dell’altura su cui il paese iniziò a formarsi in epoca longobarda, sgorga la Fonte, la più importante delle sorgenti che da secoli alimentano la rete di canali e fontane che attraversa, caratterizzandolo, tutto il centro abitato fino a valle. Lì già nell’Ottocento i viandanti trovavano ristoro, bevendo l’acqua fresca e pura della grande fontana di pietra detta la Pila, dove anche i pastori si fermavano ad abbeverare le greggi. Era quello il primo benvenuto ospitale che Sant’Andrea riservava ai forestieri, a pochi passi dalla più antica delle porte di accesso al borgo, la Porta o Arco della Terra del 1753, che ancora s’innalza imponente con la sua struttura in pietra locale. Quella breccia irpina di origine calcarea con cui è costruito il paese antico e che lo ha preservato in gran parte dagli effetti distruttivi del terremoto del 1980.Il nucleo originario del casale di Sant’Andrea risale al Medio Evo. Il riferimento all’apostolo pescatore, raffigurato nello stemma del Comune, è legato al culto riconducibile all’insediamento di gruppi di Bulgari, incentivato dai nuovi signori longobardi che avevano preso il controllo del territorio strappato al dominio bizantino. Ma il primo documento ufficiale in cui si cita Sant’Andrea è del 1161, un atto di donazione firmato dal conte normanno Gionata, che con il beneplacito della moglie Stefania e dei figli Riccardo e Goffredo concesse il totale controllo del casale di Sant’Andrea e la giurisdizione sui suoi abitanti alla Mensa Arcivescovile di Conza. Dunque, da allora Sant’Andrea divenne feudo della Chiesa della vicina Conza, governato dai Vescovi succedutisi nel tempo, che avevano diritto di esercitarvi anche la giurisdizione civile e penale, oltre quella ecclesiastica, unitamente al pieno controllo economico. Ma non tutti i vescovi esercitarono appieno questi poteri e in alcuni periodi Sant’Andrea fu gestita da signori titolari di altri feudi nelle vicinanze: i Del Balzo nel XIV secolo, i Gesualdo nel XV secolo, i Ludovisi e i Mirelli nel XVII e XVIII secolo.
L’atto di donazione originario comprendeva anche l’esenzione dalla tassazione per la Terra di Sant’Andrea. Privilegio che fu confermato in seguito, sia in età angioina/durazzesca che aragonese e dall’imperatore Carlo V nel 1536, in una fase in cui il controllo del casale era tornato in pieno alla Mensa arcivescovile, che lo mantenne fino all’abolizione della feudalità nel 1806. E fu ancora l’arcivescovo Girolamo Muzzarelli ad ottenere dalla Regia Camera della Sommaria nel 1560 la conferma dell’esenzione dalle tasse per l’Università di Sant’Andrea.
Intanto, il borgo si era progressivamente ampliato intorno al palazzo fortificato, realizzato inizialmente a tutela dalle incursioni di briganti e nemici, e poi divenuto sede episcopale nel XIII secolo. Nel tempo, l’Episcopio, situato su uno sperone di roccia calcarea nella parte più alta del borgo, ha subito varie ricostruzioni, ampliamenti e trasformazioni. Gli stemmi marmorei ricordano i vescovi di Conza che vi hanno risieduto nel corso dei secoli. A partire dal XV secolo, infatti, l’Arcidiocesi di Conza degli Irpini si estese fino a comprendere i territori dell’alta valle dell’Ofanto e dell’alta valle del Sele. E, di conseguenza, i vescovi iniziarono ad abitare tra il palazzo episcopale di Sant’Andrea, nell’alta valle dell’Ofanto, durante l’estate e la sede vescovile di Santomenna, nell’alta valle del Sele, durante l’inverno, a seconda soprattutto del clima delle due località. Uno dei Vescovi, Gregorio De Luca, al fine di proteggere la popolazione di Sant’Andrea, vi ospitò nella seconda metà dell’800 per un periodo il temibile brigante lucano Carmine Crocco.
Monumento principale di Sant’Andrea, l’Episcopio fu abbellito con importanti opere, in particolare tra il XVII e il XVIII secolo. Settecentesca è la splendida fontana a cascata di pietra locale, alimentata dall’acqua della sorgente la Fonte. Quell’acqua purissima era utilizzata, a monte del palazzo episcopale, per il settecentesco mulino la Fonte, di cui restano ancora suggestive vestigia da visitare poco fuori dal borgo, e proseguiva poi il suo percorso a beneficio degli altri cinque mulini che erano attivi all’interno del paese. L’Episcopio, da cui si gode un magnifico panorama della valle circostante e dei paesi vicini, vantava anche uno spettacolare giardino pensile, cancellato come altre parti dell’edificio dal terremoto dell’80. L’edificio, dove continuano i lavori di restauro, è attualmente sede del Comune.
L’altro elemento caratteristico dell’abitato di Sant’Andrea, la pietra chiara che si estrae ancora nel suo territorio, è presente ovunque: nei muri dei monumenti, nel selciato delle stradine, sulle facciate delle chiese e sui portali delle case. Generazioni di abili scalpellini santandreani hanno lasciato segni pregevoli della loro creatività, che rappresenta indiscutibilmente uno degli attrattori dell’abitato. Una forma antica di artigianato, insieme a quella del ferro, tenuta ancora viva dagli artefici che, seppur molto meno numerosi di un tempo, continuano a praticarla.
Il grande restauro post terremoto della Chiesa madre di San Domenico non ha salvato gli elementi più antichi della struttura duecentesca, che aveva subito varie trasformazioni nel tempo, con l’aggiunta delle due navate laterali tra Sei e Settecento e dei due cappelloni, dedicati a Sant’Andrea e Sant’Emidio, nell’Ottocento. Tra le opere d’arte che abbellivano l’interno una statua lignea del Beato Stefano Seno. Il campanile, completamente restaurato, conserva la sua originaria imponenza.
La facciata neoclassica di pietra locale della co-cattedrale di San Michele fa da scenografia alla piazza-belvedere che affaccia sulla vallata. La chiesa era adorna, tra l’altro, di un ciclo pittorico dedicato agli Angeli dell’artista lucano Andrea Miglionico, un allievo di Luca Giordano. Anche il bel campanile, impiantato sul retro dell’edificio sacro, in corrispondenza dell’abside, è stato riportato al suo originario splendore. Un completo restauro ha riguardato, inoltre, l’attiguo Seminario arcivescovile, che prima del sisma era adibito a sede scolastica.
Monumento civile per antonomasia è quello ai Caduti, dedicato ai soldati morti nella Grande Guerra e innalzato un secolo fa, grazie al contributo di tanti santandreani emigrati all’estero.
Fuori dal borgo si trovano la chiesa dell’Incoronata del 1767, nella Piana di Campo, e la chiesa del Purgatorio, dedicata anche a Sant’Antonio, d’inizio Ottocento, sulla strada di collegamento con Conza.
All’ingresso del paese, un accurato progetto ha recuperato la struttura della Fabbrica di laterizi, che a lungo aveva rappresentato un pilastro dell’economia locale. Danneggiata dal terremoto e ormai dismessa, è stata acquisita al patrimonio pubblico e accoglie un Centro Polivalente al servizio della comunità.
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