La cavità nella roccia, straordinariamente spaziosa, offriva riparo e rifugio sicuri. E la presenza di acqua dolce a volontà era un altro aspetto favorevole di quel luogo, anche per viverci, non solo per farvi tappa temporaneamente.

L’unico ostacolo era l’acqua che copriva il pavimento della grotta. Così realizzarono un percorso rialzato e altrettanto fecero per gli spazi della vita quotidiana. E proprio i pali che sostenevano le palafitte erano destinati a raccontare ai posteri, tanti secoli dopo, la storia di quell’insediamento del II millennio a.C. dentro gli Alburni. Uno dei segreti che le Grotte di Pertosa hanno saputo custodire gelosamente nel tempo, fino alle prime esplorazioni della fine dell’Ottocento, che rivelarono al mondo la loro esistenza. E la loro stupefacente bellezza.  

Le Grotte di Pertosa o Grotte dell’Angelo si estendono sotto la parte settentrionale degli Alburni a 263 metri sotto il livello del mare, in corrispondenza dei territori di ben tre Comuni: Pertosa, che già nel nome (da pertusus, bucato) ne evoca la presenza, Auletta e Polla. Come le altre cavità, gole e anfratti che sono così frequenti e caratteristici di quella parte della Campania, sono dovuti alla natura carsica del massiccio degli Alburni. Ma, rispetto a tutti gli altri sistemi ipogei, è l’unico con un fiume navigabile al suo interno: il fiume Negro.

Lo si incontra dopo essere entrati nella Sala delle Meraviglie. E lo si naviga per 20 metri su una barca a fondo piatto, che avanza tirando delle funi aeree d’acciaio, fino al grande ingresso dal quale si prosegue a piedi, lungo un percorso illuminato, fino alla sala del Trono e alla Grande Sala, alta ben 24 metri. Quello è l’itinerario base, volendo si può proseguire verso la Sala delle Spugne, la Sala dei Pipistrelli fino alla sala del Paradiso, dopo aver goduto della visione di una meravigliosa cascata sotterranea. Un viaggio nel ventre della terra, tra cavità cunicoli e gallerie, costantemente accompagnato da concrezioni dalla strabiliante varietà e ricchezza di forme. Che negli ultimi anni hanno fatto da suggestive scenografie al cosiddetto “speleoteatro” con messe in scena de “L’Inferno di Dante nelle Grotte”  e, più di recente, de “Ulisse: il viaggio nell’Ade”.

Altra peculiarità delle Grotte dell’Angelo è proprio il villaggio palafiticcolo, che occupava tutta l’antegrotta, unico ipogeo in Europa. Era abitato dai primi abitanti di Pertosa, pastori dell’età del Bronzo Medio, che, oltre alle palafitte di cui si vedono ancora i pali, hanno lasciato testimonianze del loro quotidiano nelle grotte: dai vasi bollilatte usati per fare i formaggi, macine, cucchiai di terracotta, punteruoli d’osso, fuseruole in osso, frammenti di buccheri e di grossi pitho (vasi) ceramica d’impasto. Recuperati negli anni Trenta, prima che una diga per lo sfruttamento dell’acqua della grotta a scopi idroelettrici, sommergesse tutto. Il prosciugamento dell’antegrotta nel 2009 ha fatto riemergere il sito archeologico e consentito nuovi studi e nuovi recuperi di oggetti. Tuti i materiali delle grotte sono attualmente divisi tra il Museo preistorico etnografico di Roma, il Museo archeologico Nazionale di Napoli e il Museo Provinciale di Salerno.

La vita degli abitanti dell’Età del Bronzo è illustrata e ricostruita in modo virtuale e con laboratori per i bambini da parte della Fondazione MIDA, i Musei Integrati per l’Ambiente.

Dagli antichi le grotte era considerate un luogo sacro e vi si celebrarono i culti per le acque fino al Medio Evo, quando furono interrotti. Oggi vi si onora San Michele arcangelo.

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