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Nella sua “Gatta Cenerentola”, forse la più celebre delle favole raccolte ne “Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerilli”, pubblicato nella prima edizione proprio nell'anno 1634, Giovan Battista Basile cita un elenco di leccornie comprendente anche la pastiera.
Quanto abbia avuto realmente a che fare, almeno in origine, con la città a cui il nome la collega, non è chiaro. Di sicuro, la “genovese” è uno dei piatti più caratteristici della cucina napoletana e una delle presenze più assidue nei pranzi delle feste.
Riccia o frolla, a seconda dei gusti, è la più nota e caratteristica tra le tante leccornie della pasticceria napoletana. E ha una illustre e ghiotta antenata. Più antica di due secoli, molto simile nella forma come nel dolce e aromatico ripieno.
“A riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco… (Erri De Luca)
All’inizio, non era piaciuta proprio. Quella novità arrivata chissà da dove, non aveva fatto breccia nei desideri né dei signori né del popolo...
Sono dolci antichi. Dal sapore inconfondibile e dall’aroma che fa subito Natale. Dolci immediatamente identificati con Napoli.
Il piatto totemico della città si prepara con carne di manzo o maiale, cipolle, concentrato di pomodoro, lardo, strutto, olio extravergine d'oliva, vino rosso, aglio, sale e pepe, utilizzando un tegame di terracotta nel quale, dopo aver tritato il lardo con l’aglio, si mette la carne legata con lo spago da cucina insieme alla cipolla tritata, l’olio e un pizzico di pepe.
Un colpo d’occhio che racchiude sette secoli. Seduti comodamente ad un bel tavolo di ceramica di Vietri
In origine era solo un pane schiacciato e condito con i più diversi ingredienti, a seconda della disponibilità.
Lo spartiacque fu l’arrivo dal Perù del pomodoro, agli inizi del Seicento. Una novità destinata a rivoluzionare le abitudini
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