Sono dolci antichi. Dal sapore inconfondibile e dall’aroma che fa subito Natale. Dolci immediatamente identificati con Napoli.
Dove tutti si sono inizialmente radicati, per poi diventare patrimonio dell’intera Campania, riproposti nella versione classica o con qualche variazione locale consolidatasi anch’essa nel tempo. Non a caso, sono stati tutti riconosciuti come Pat, Prodotti agroalimentari tradizionali. E proprio la tradizione prevede che vengano preparati già per l’8 dicembre, per poterli servire o regalare in occasione della festa dell’Immacolata e poi a conclusione dei pranzi e delle cene del periodo natalizio.
I Roccocò
Sebbene lo evochino nel nome, i roccocò avevano già quattro secoli quando si affermò lo stile artistico-architettonico che ebbe enorme diffusione a Napoli. La loro origine, infatti, risale al 1320, quando le monache del Real Convento della Maddalena impastarono per la prima volta insieme mandorle, farina, zucchero e canditi, con l’aggiunta della buccia profumata mandarino e di una mescolanza di spezie, decisiva per il sapore finale, che è nota come pisto napoletano. Il risultato fu un biscotto secco dalla forma simile a una ciambella schiacciata, color marrone scuro e decisamente duro. Tanto che proprio da questa consistenza simile alla roccia, rocaille in francese, derivò realmente il suo nome. L’ideale è servirlo a fine pasto accompagnato da un vino liquoroso.
I Mustacciuoli
C’erano, in epoca romana, delle focacce dolci, fatte con mosto d’uva, che venivano avvolte di profumate foglie di lauro per la cottura ed erano servite di solito come saluto agli ospiti prima di congedarli. Erano conosciute come mustacei, dal mustum, molto, o forse da mustax, alloro. E Catone non mancò di citarle nel suo De agricoltura, aggiungendo agli ingredienti stabiliti anche l’anice. E quelli che oggi conosciamo come mustacciuoli, si collegano anche ai più recenti mostazoli di mosto cotto conosciuti nel tardo Medio Evo. Nel Cinquecento, poi, facevano parte delle ricette proposte dal cuoco personale di Papa Pio V, Bartolomeo Scappi. La versione napoletana, dalla caratteristica forma a rombo, ha sostituito il mosto originario con il miele e con il cioccolato della glassa. Una variazione tutta beneventana, diffusa in tutto il Sannio, è più morbida e contiene nell’impasto anche il liquore Strega.
I Susamielli
Sono un trionfo di spezie e il loro nome deriva probabilmente dal sesamo e dal miele con cui erano preparate le piccole paste dolci offerte a Core e Demetra, le divinità dei Misteri Eusini. Avrebbero un’origine greca, dunque, i Susamielli napoletani, ma la storia più recente li fa identificare con le Sapienze prodotte dalle monache clarisse del Convento di Santa Maria della Sapienza, da cui sicuramente hanno ereditato la forma ellittica simile alla esse. E per questo sono stati messi in relazione anche a un omaggio a Luigi Settembrini. Sta di fatto che i Susamielli, con buccia d’arancia nell’impasto, erano donati agli zampognari che entravano a suonare nelle case per le novene dell’Immacolata e di Natale, e al personale di servizio. Poi, c’era una versione farcita con marmellata definita come Susamielli del buon cammino. Quelli che ancora si preparano oggi sono i cosiddetti Susamielli nobili, fatti con farina bianca, con farina di mandorle e con l’immancabile pisto napoletano.
I Raffiuoli
C’è ancora un monastero dietro un altro dei dolci tipici che accompagnano il Natale partenopeo. Quello delle Monache benedettine di San Gregorio Armeno, la strada delle tradizioni natalizie per eccellenza, che presero ispirazione dai ravioli del nord Italia per una loro originale versione dolce. Fatta di pan di Spagna con una inconfondibile copertura di glassa di zucchero, bianca come la neve.
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