Dalla sommità della collina verdeggiante lambita dal fiume Clanio, a 320 metri di altezza, si godeva di una visione completa sui monti del Partenio e sul passo di Monteforte Irpino fino alla valle del Sabato, la chiave d’accesso alla terra di Puglia e al collegamento con l’Adriatico.
Una posizione strategica ideale, che aveva motivato un piccolo insediamento militare ancora prima che, nel VII secolo, i Longobardi vi edificassero una fortezza a forma di trapezio. E la difesero con una cinta di mura, rafforzata da dieci semitorri, a racchiudere un’area in vetta all’altura di circa diecimila metri quadri. Furono loro, cultori devoti dell’arcangelo, a legare la fortezza al nome di San Michele, che avevano scelto come patrono.
Un secondo anello di mura, concentrico, fu costruito nell’XI secolo dai Normanni, che vollero così raddoppiare la superficie protetta, all’interno della quale sorgeva il villaggio del castello. Sempre durante il periodo normanno, si provvide a una prima ristrutturazione con un netto rafforzamento della rocca. Fu allora che venne inserito il donjon, l’alta torre di difesa che svolgeva anche la funzione tipica del mastio del castello, poi perfezionata in epoca angioina. Era il 1087 quando la rocca entrò nel dominio del suo primo feudatario, Aldoino, appartenente alla famiglia Mosca, di origine normanna, che lo conservò nel tempo fino all’estinzione del casato.
Altri signori seguirono, come i Del Balzo e gli Orsini. Fu durante il dominio di questi ultimi che si succedettero due forti terremoti, nel 1456 e 1466, che provocarono danni ingenti alla fortezza. Da allora ne iniziò il lento, inesorabile declino, a cui cercarono di porre rimedio nel 1533 con un importante restauro gli Spinelli, subentrati nel possesso della rocca. Qualche decennio dopo, quando il XVI secolo volgeva al termine, la fortezza fu riconvertita a prigione, oltre che a residenza del castellano nei piani superiori della torre e nell’attiguo palazzo. Ancora un evento geologico disastroso, l’eruzione del Vesuvio del 1631, segnò la fine della storia plurisecolare del castello. Ne seguì una totale spoliazione, per utilizzare i materiali raccolti sulla rocca nella costruzione del nuovo centro di Avella, più a valle.
Da allora, è come se il tempo si fosse fermato tra i ruderi della fortezza, che ancora spiccano sulla vetta della collina, ben visibili anche a notevole distanza. Gli eventi geologici avversi hanno risparmiato solo la struttura della torre circolare del mastio, costruita con pietre di tufo e roccia calcarea. Mentre del villaggio sviluppatosi ai piedi della torre, all’interno della corte interna, dove nel periodo di massimo splendore si contavano un centinaio di fuochi (ovvero di famiglie residenti) e una chiesa parrocchiale, resta solo la struttura a pianta rettangolare di una capiente cisterna fuori terra.
Restano visibili e definite le due cinte murarie, la longobarda e la normanna. La prima, la più antica, comprende dieci semitorri, una delle quali è compresa nella struttura del donjon.La seconda, risalente al XII e XIII secolo, mostra ancora la portacarraia sud-orientale e le nove torri che la caratterizzavano, otto delle quali a pianta quadrangolare, mentre quella collocata all’estremità sudoccidentale è pentagonale.
Delle strutture originarie dirute, l’unica parte finora oggetto di restauro è stata quella che era adibita anticamente alle stalle. Eppure, nonostante si tratti ormai di ruderi, l’imponenza e la maestosità dell’antica fortezza richiama ancora visitatori che, dopo essere saliti sulla sommità della collina, vengono accolti dal fascino della storia e da una visione panoramica di straordinaria bellezza in qualunque direzione si soffermi lo sguardo.
Le rovine del castello di Avella sono anche associate a un reperto archeologico unico quale è il Cippus Abellanus, il Cippo avellano, un reperto lapideo del 150 a.C. con alcune delle più significative iscrizioni in lingua osca giunte fino a noi. La lapide venne ritrovata proprio nell’area del castello e utilizzata come soglia di marmo in una delle abitazioni del nuovo borgo di Avella. Ritrovata nel 1745 e riconosciuto il suo enorme valore archeologico, è stata oggetto da allora di analisi, valutazioni e interpretazioni da parte di esimi studiosi, a cominciare da Mommsen, e vari gruppi di ricerca.
Info e prenotazioni La visita al castello di Avella fa parte di un tour guidato, con spostamenti in navetta, che comprende anche l’anfiteatro e i mausolei funebri di epoca romana. Il biglietto cumulativo è di 5 euro, 2 con lo sconto di Campania Artecard. Le visite sono su prenotazione in occasioni di manifestazioni ed eventi.
Ph:@Aniello Perna
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