C’era una volta, nel centro di Napoli, nel quartiere Pendino, una piazza rinomata per la produzione di selle e di finimenti per i cavalli. Proprio da questa attività aveva tratto il suo nome di piazza della Sellaria o Selleria.
Nei pressi vi era anche la famosa Rua Toscana, dov’erano i fondachi dei mercanti toscani che operavano su Napoli. In quella piazza, erano ubicate varie abitazioni di proprietà di un capo carceriere della Vicaria, che era stato eletto dal popolo durante il brevissimo periodo di vita della Repubblica Napoletana di Masaniello, nell’estate del 1647. Così, al ripristino del potere vicereale sulla città, durante il regno di Filippo IV, come era già accaduto negli altri luoghi di Napoli legati alla rivolta popolare, la vendetta spagnola si concretizzò nell’abbattimento delle abitazioni del ribelle. Al loro posto, per volontà del vicerè Iñigo Vèlez de Guevara, duca di Oñate, fu costruita una monumentale fontana, a celebrare la restaurazione del potere spagnolo. L’opera fu progettata dall’architetto Onofrio Antonio Gisolfi e realizzata tra il 1649 e il 1652 dal marmoraro Onofrio Calvano, dal capomastro Leonardo De Mayo, dal fabbro Salvatore Daniele e dallo scalpellino Domenico Pacifico. I costi della costruzione ricaddero sui proprietari di case del rione.
Nello scavo delle fondamenta, tornò alla luce il tratto delle mura della città greca che passavano in quel punto, a ridosso dell’area occupata allora dal circo massimo e dal ginnasio.
La nuova fontana, in stile barocco, fu realizzata in mattoni, piperno e marmo di Carrara. Una vasca poligonale in piperno e marmo bianco, è inserita tra due piedritti che sostengono un arco a tutto sesto; sui lati sono collocate due vaschette abbellite da due mascheroni con relative fontanine. Due colonne laterali con capitelli in stile composito sorreggono la trabeazione sommitale, sormontata da un timpano a sesti spezzati, che reca in posizione centrale una composizione di stemmi: al centro s’innalza lo stemma reale degli Asburgo di Spagna, ai lati quelli del vicerè Guevara, corredato dal celebre motto “Malo mori quam foedari (Preferisco la morte al disonore)”, e della città di Napoli. Sempre ai lati, due volute adornano un paio di coppe, quanto resta delle quattro originarie. Nelle facciate sull’arco, spiccano due lapidi di marmo bianco con iscrizioni delle diverse epoche: una voluta dal vicerè, l’altra apposta in occasione dello spostamento della fontana nella nuova sede.
Già, perché la fontana non si trova più nella sua collocazione originaria. La piazza della Sellaria, infatti, fu tra le parti antiche della città che vennero sacrificate in occasione del Risanamento urbano deciso, a seguito della devastante epidemia di colera del 1884, dal governo cittadino guidato dal sindaco Nicola Amore. L’operazione fu avviata nel 1889 e cambiò completamente volto all’area dell’antica piazza. Al posto dell’originaria ne sorse un’altra, molto più grande e circoscritta da quattro imponenti palazzi in stile neorinascimentale. I “quattro palazzi” divenne, dunque, la denominazione popolare del nuovo spazio, che ufficialmente prese il nome di piazza Nicola Amore.
Nell’occasione del riassetto, la fontana della Sellaria fu traslata nella piazzetta del Grande Archivio, tra l’antico monastero dei Santi Severino e Sossio, divenuto sede dell’Archivio di Stato di Napoli, e la chiesetta diruta di Santa Maria a Mare. Era il 1903 e quello spostamento, che cambiò completamente l’assetto del largo, fu celebrato dall’epigrafe marmorea che ne tramanda la memoria ai posteri.
___