Straordinario talento artistico, Giotto di Bondone nacque a Vicchio, nel Mugello, forse nel 1267. Le notizie sui suoi primi anni sono scarne e non è storicamente comprovato neppure che sia stato allievo del grande Cimabue.
La prima opera attribuitagli risale al 1290: una Madonna per la pieve di Borgo San Lorenzo di cui resta solo un frammento. Secondo altri, la sua opera più antica sarebbe la tavola della Madonna con Bambino di San Giorgio alla Costa. Dibattuto è anche il suo contributo nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, che è stato individuato in una parte delle Storie di Isacco e in tutto il ciclo di affreschi della Vita di San Francesco. Probabilmente, proprio in quel 1290 Giotto dipinse a Firenze in Santa Maria Novella il suo famoso Crocifisso, dalla forte carica innovativa, come tutta la sua straordinaria produzione pittorica. Dopo Firenze, Roma, durante il papato di Bonifacio VIII. Ormai affermato, negli anni seguenti ebbe una sua bottega a Firenze e lì gli arrivarono importanti committenze da Rimini e da Padova. Tra il 1303 e il 1305 realizzò nella città di Sant’Antonio uno dei suoi capolavori, tra i massimi esempi della pittura di ogni tempo: la Cappella degli Scrovegni, interamente affrescata con Storie di Anna e Gioacchino, di Maria, di Gesù, Allegoria dei Vizi e delle Virtù e Il Giudizio Universale. Notevole anche la Croce, originariamente collocata sull’altare della cappella.
L’anno dopo, nel 1306, iniziarono i lavori nella Basilica inferiore di Assisi con gli affreschi delle Storie dell’infanzia di Cristo, delle Allegorie francescane e la Cappella della Maddalena di cui Giotto fu ideatore e progettista, mentre a eseguirla materialmente furono i suoi allievi. Nel 1311, un altro ritorno a Firenze, dove rimase per diversi anni, allontanandosene solo per brevi periodi per lavorare a Prato e a Roma Nel 1318, nella Chiesa di Santa Croce, cominciò a dipingere le quattro cappelle che gli erano state commissionate: la Cappella Peruzzi, la Cappella Bardi, che sono giunte fino a noi con i loro gioielli artistici, e altre due andate scomparse. Il 1320, invece, fu l’anno del Polittico Stefaneschi per l’altare maggiore della basilica di San Pietro a Roma e del Polittico Baroncelli in Santa Croce a Firenze.
Fu re Roberto d’Angiò a chiamare Giotto a Napoli. Era il 1328, quando l’artista toscano giunse in città con tutti i suoi allievi, per rimanervi a lungo. Furono anni di intensa attività, come primo pittore di corte stimatissimo dal sovrano, che lo considerava e definiva suo familiare. Delle tante opere realizzate a Napoli sono arrivati fino a noi solo un frammento dell’affresco Lamentazione sul Cristo morto in Santa Chiara e in Castelnuovo le figure di Uomini illustri, dipinte negli strombi delle finestre della Cappella di Santa Barbara. La trasferta napoletana fu decisiva per l’affermazione di alcuni allievi del maestro, ma anche per la formazione di una vera e propria scuola di artisti locali, tra i quali il Maestro di Giovanni Barrile, la cui “mano” è stata identificata nelle pitture della cripta della cattedrale del Castello Aragonese di Ischia, Roberto D’Oderisio e Pietro Orimina.
Dopo Napoli, a Bologna realizzò il Polittico della Chiesa di Santa Maria degli Angeli. Poi, il ritorno a Firenze stavolta come architetto, responsabile delle opere pubbliche, che il 18 luglio 1334 avviò la costruzione del famoso campanile del Duomo che porta il suo nome. Dopo una permanenza a Milano, che segnò profondamente la pittura lombarda dopo di allora, il grande maestro dedicò a Firenze le sue ultime energie, con gli affreschi nel Palazzo del Bargello famosi per il più antico ritratto di Dante. Poco dopo morì nella sua città, l’8 gennaio 1337.
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