Il suo sembrava un futuro già scritto. La consuetudine consolidata nei secoli affidava anche a lui il compito di portare avanti la fornace, come a tutti gli altri giovani di Maiano appartenenti alle famiglie impegnate nella lavorazione dell’argilla.
E Marcello, con quel cognome Aversa legato al biscotto di Maiano dal XV secolo, non avrebbe fatto eccezione. Allora lo pensava anche lui, probabilmente. Anche se la sua passione per la creta non si identificava esclusivamente con le tipiche produzioni di laterizi che dal Quattrocento avevano reso famoso nel mondo il suo borgo, una frazione di Sant’Agnello, in Penisola sorrentina.
La scuola di famiglia gli aveva trasmesso la confidenza con la materia da modellare e la padronanza delle tecniche di cottura. Ma sul modo di utilizzare quelle conoscenze, Marcello si era fatto un’idea propria. Frutto di un talento di cui non era ancora pienamente consapevole, ma che un’insegnante di educazione artistica, Antonietta Tagliareni, aveva già riconosciuto e cercato di incoraggiare.
A Marcello il presepe era sempre piaciuto. A lungo restava a guardarlo, fin da bambino, affascinato da quell’universo senza tempo, carico di suggestioni e ispiratore di riflessioni, che traeva senso e valore dal Bambinello, la figura più piccola, fulcro imprescindibile dell’intera scena. E quell’interesse lo aveva portato, in seguito, a dedicarsi alla costruzione di grandi scenografie presepiali: «Erano strutture anche di cento metri quadri – racconta – realizzate con i materiali tradizionali degli “scogli”, sughero e legno, in cui collocavamo i pastori vestiti. Poco a poco, iniziai ad aggiungere alle case, tradizionalmente fatte con pietre di tufo, coppi e tegole di terracotta, dettagli nuovi, che si ricollegavano a Maiano. E poi la terracotta si trasferì anche negli scogli di sughero, a cui sottraeva sempre più spazio. Allora si utilizzavano ancora i pastori acquistati a Napoli, che andavamo a comprare a San Gregorio Armeno. Ma con il rimpicciolirsi dei presepi, fatti ormai prevalentemente di terracotta, cominciai a inserire i pastori fatti da me».
A SAN GREGORIO ARMENO
A San Gregorio Armeno, Marcello Aversa continuava ad andarci comunque, ma per cercare di vendere i pastori, invece che per acquistarli. Di quelle passeggiate a Napoli tiene conservata una scatola. All’interno, stanno acquattati nell’ovatta dei pastori con tutti gli animali del presepe. Minuscoli nelle dimensioni, perfetti nelle proporzioni, curatissimi nei dettagli infinitesimali. Come sono ancora tutti i suoi lavori. Eppure, a Napoli non avevano successo: «Facevano con me il viaggio all’andata e al ritorno con la Circumvesuviana – ricorda - perché era difficile che li vendessi. Per loro erano troppo piccoli, anche come moschelle, che sono i pezzi per i presepi piccoli, intorno ai quattro centimetri. I miei, di appena un centimetro, non erano capiti. Così, mi dedicai alla realizzazione di presepi in miniatura interamente lavorati da me». E concentrandosi sull’essenza del presepe, Marcello iniziò «per curiosità personale» le letture bibliche e gli approfondimenti teologici divenuti solida base speculativa e ispirazione creativa per le sue opere più mature, degli anni recenti.
LA CROCE DELLA CATTEDRALE
Alcune le ha appena riportate da Milano, dopo una mostra nella città meneghina, e sono sistemate con cura nel laboratorio di via Sersale, a pochi passi dalla Cattedrale di Sorrento, scrigno di opere d’arte che da due anni accoglie anche Vita semper vincit, uno dei lavori più rappresentativi di questa fase del percorso artistico di Aversa. Nutrita costantemente dalla ricerca di significati e dall’amore per le tradizioni della sua terra. Da quelle Marcello ha recuperato la storia del presepe di Pasqua, che già nel ‘400 si realizzava a Napoli, nei conventi, con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento. La rielaborazione dell’artista ha fatto del legno della Croce, trasformato in un albero vestito di foglie di diverse specie vegetali, il maestoso e armonioso supporto di raffigurazioni plastiche mutuate dalla Bibbia e dalla vita di Cristo, di cui propone i momenti salienti dalla Natività alla Passione, fino alla Resurrezione, estrema sintesi «che è la vittoria della vita».
Quarantamila pezzi compongono la spettacolare Croce di terracotta del Duomo di Sorrento. Modellati uno ad uno con una ricchezza di particolari che la piccolezza non nega, anzi esalta. Decine di figure e di putti in movimento, dai lineamenti delicati e i visi espressivi, circondati da una natura straordinariamente rigogliosa, magnifico Eden dalle connotazioni fortemente realistiche sebbene carico di elementi simbolici. Caratteristiche che accomunano, nella particolarità e unicità di ciascuna, le croci/alberi a cui Marcello si è dedicato negli ultimi anni, trasfondendovi tutta la maestria dell’artigiano conquistata nel tempo, unitamente alla complessa elaborazione creativa in continuo divenire dell’artista. Opere che sono presenti anche nel Duomo di Mirandola nel Modenese e nella Scuola Grande di San Teodoro a Venezia. Perché l’opera di Aversa, di respiro universale seppur profondamente legata all’identità culturale e all’eredità storica della terra del maestro, è già da diversi anni apprezzata nel resto d’Italia e all’estero, dove è stata protagonista di varie mostre e gratificata da riconoscimenti importanti.
LA CRETA E IL PROGETTO DI MAIANO
Riscontri che hanno certamente incoraggiato l’artista, ma che non hanno scalfito l’umiltà e l’autenticità di Marcello che, dopo venticinque anni di costanti progressi nella padronanza della materia, continua ad affrontare ogni minuscolo pezzo di creta con il sorriso e la semplicità del bambino dallo sguardo ammirato davanti al presepe. Lo stesso sguardo con cui ci si ritrova ad osservare, stupefatti per la loro delicata complessità, le piccole figure, i putti, le centinaia di delicatissime foglioline che, ancora grigia terra appena modellata, popolano l’accogliente bottega nel cuore di Sorrento. Tanti piccoli lavori, in attesa della cottura che regalerà loro il colore rosso della terracotta a cui Aversa non ha mai voluto rinunciare, perché «è il colore originario che mi riporta alle fornaci di Maiano, e poi lo trovo elegante».
Già, Maiano. Da quando ha assistito allo spopolamento di tante botteghe artigiane del borgo, al progressivo abbandono delle fornaci e, soprattutto, alla mancanza di giovani interessati a portare avanti quella come le altre attività artigianali tipiche della sua terra, Aversa ha cominciato a immaginare come restituire vita, futuro, prospettive a quel luogo, che racchiude ancora grandi potenzialità. «Dobbiamo trovare il modo di attrarre i giovani, usando anche il loro linguaggio, per far capire il valore di quel patrimonio e offrire loro la possibilità di rigenerarlo, per crearsi un futuro qui», è l’idea che ha cominciato a farsi progetto. Intanto, prosegue con la consueta dedizione a comporre i nuovi pezzi, destinati all’imminente mostra per i suoi venticinque anni di attività. Dai mattoni di Maiano alle miniature di oggi, alla ricerca delle infinite forme della terra cotta.
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