Da secoli è nel cuore dei napoletani. In quel luogo sull’antica via Domitiana, nel tratto che da Pozzuoli conduce ad Agnano, la storia racconta gli ultimi momenti di vita di San Gennaro, patrono amatissimo della città di Partenope.
Fu lì, a breve distanza dalla Solfatara in cui i Romani collocavano il Forum Vulcani, ovvero la dimora di Vulcano, che il Vescovo di Benevento fu decapitato il 19 settembre 305, all’epoca dell’imperatore Diocleziano, insieme a Procolo, Festo e Desiderio e ad altri tre fedeli che lo avevano accompagnato nella visita a Pozzuoli e che, come lui, subirono la prigione e la condanna a morte per volere del governatore Dragonzio, persecutore di cristiani. E già nell’immediatezza di quell’avvenimento, tra i cristiani che si premurarono di dare sepoltura ai martiri in posti sicuri e di conservare alcune ampolle del loro sangue, si manifestò il desiderio di tramandarne nel tempo la memoria. Così, nell’VIII secolo fu eretta una piccola chiesa dedicata a San Gennaro intorno alla pietra sulla quale, secondo la tradizione, si diceva fosse stato decapitato.
Le travagliate vicende geologiche dell’area flegrea provocarono danni a più riprese alla chiesetta che custodiva e teneva vivo il culto di Gennaro e dei suoi compagni di martirio. E nel 1198 l’eruzione della Solfatara rappresentò un colpo durissimo, anche se si salvò l’altare con la pietra del martirio. Intorno a quella testimonianza storica, che richiamava un numero sempre crescente di fedeli, fu progettata e costruita nel XVI secolo una nuova chiesa. Il terreno apparteneva ai canonici della cattedrale di Pozzuoli, ma a farsi carico della spesa del nuovo tempio volle essere la città di Napoli e infatti, ancora oggi, sebbene sita nel territorio di Pozzuoli, la struttura è proprietà del Comune partenopeo.
I lavori, iniziati nel 1574, si conclusero nel 1580. La nuova chiesa, posta a 120 metri di altezza e affacciata su un magnifico panorama del golfo di Pozzuoli, fu affiancata subito da un convento di una ventina di celle, che accolsero i Frati Minori Cappuccini, incaricati di curare il culto.
Il nuovo complesso religioso divenne ben presto un punto di riferimento per pellegrini provenienti da Napoli e da ogni parte della Campania, tanto da essere elevato a santuario in onore di San Gennaro. E alla sua esistenza fu attribuita anche la cessazione dei continui terremoti che avevano flagellato in precedenza quel territorio.
La grande affluenza rese necessario un nuovo ampliamento tra il 1701 e il 1708, su progetto dell’architetto Ferdinando Sanfelice, che s’incaricò anche di una ristrutturazione secondo il gusto barocco allora imperante. Ma neppure quella doveva essere la sistemazione definitiva per il santuario. A mettere di nuovo a rischio l’edificio fu un devastante incendio sviluppatosi tra il 21 e il 22 febbraio 1860, che ne mandò in rovina una parte consistente. Si rese, dunque, necessaria una ricostruzione. Il progetto fu firmato dall’architetto Ignazio Rispoli e fu realizzato anche con contributi della popolazione di Pozzuoli, grata al Santo per aver fermato l’epidemia di colera scoppiata nel 1866.
Gli esterni sono quelli di allora. Con il prospetto principale abbellito da un pronao e da due colonne tuscaniche. Un severo portale di piperno, sormontato da un bassorilievo seicentesco raffigurante il Volto di Gesù, conduce all’interno, caratterizzato da un’unica navata con cappelle laterali, inquadrate da lesene con capitelli ionici. A copertura della chiesa, c’è una volta a botte unghiata. Un arco trionfale precede il presbiterio coperto da una pseudo cupola. Quella come la volta e altre parti della chiesa furono affrescate nel 1926 da Luigi Tammaro. Tra le opere più antiche e significative custodite nel santuario c’è un bassorilievo con il Martirio di San Gennaro del 1685 di Lorenzo Vaccaro. Lo stesso soggetto è protagonista del quadro sull’altare maggiore opera di Pietro Gaudioso del 1678.
Nella cappella destra della navata si trovano le due principali testimonianze di fede legate al culto di San Gennaro: la pietra del martirio e il busto del XII secolo di autore ignoto, collocata in una nicchia nel muro.
La pietra del miracolo
Ė oggetto di culto dai tempi più remoti, identificata da subito e quando fu innalzato il primo edificio sacro come la pietra su cui era stato decapitato San Gennaro. Nei segni neri che vi si individuano sono identificate le tracce del sangue del martire che, nei giorni precedenti l’anniversario della morte, il 19 settembre, assumono un colore sempre più rosso. Gli studi più recenti hanno posticipato di due secoli la datazione della pietra, parte di un altare paleocristiano, e negato la presenza di sangue.
Il busto prodigioso
C’è una macchia giallastra sul collo del busto antico del Santo. Secondo la tradizione, comparve in un’occasione speciale, nel 1656, l’anno della peste che decimò la popolazione di Pozzuoli. Proprio per sconfiggere la pestilenza, i fedeli puteolani chiesero l’intercessione del Santo, il cui busto portarono in processione dalla Solfatara all’anfiteatro Flavio. Durante il tragitto, fu notata quella macchia che poco a poco si gonfiava, fino a diventare un bubbone che alla fine scoppiò, con un grande odore di bruciato, segno che il Santo aveva preso su di sé il morbo, liberandone Pozzuoli e la sua gente.
Una leggenda, poi, racconta che in occasione di una scorreria dei saraceni, con un colpo di scimitarra fu troncato il naso della statua. Per restaurarla furono chiamati diversi scultori, ma nessuno dei nasi sagomati per la sostituzione poté essere attaccato sul volto marmoreo. Accadde poi che un giorno dei pescatori rinvenissero nella rete uno strano pezzo di marmo, più volte buttato a mare e ripescato. Uno dei pescatori ebbe l’ispirazione di portare il pezzo di marmo nella chiesa di san Gennaro e fu allora che il sasso volò e si attaccò sul volto tornando al posto suo.
L’11 febbraio 1945 il santuario fu elevato a parrocchia in onore di San Gennaro e dei Santi Festo e Desiderio e la cura ne fu affidata ai Padri Cappuccini.
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