Coperto di fitti boschi, il Monte Tifata non poteva essere dedicato che a Diana dea cacciatrice, l’Artemide dei Greci, che ne avevano introdotto il culto dapprima nelle città costiere, per poi diffonderlo nell’interno man mano che si allargava la loro influenza anche tra le popolazioni indigene.

Furono poi gli Etruschi, esteso il loro dominio nella zona, a erigervi il santuario federale delle città etrusche in Campania, dedicandolo a Diana Tifatina. Il perimetro di quel tempio, come emerso da indagini archeologiche compiute nell’Ottocento, fu utilizzato in epoca longobarda per la costruzione di una chiesa dedicata a San Michele arcangelo, al quale i Longobardi erano diventati molto devoti dopo la loro conversione al Cristianesimo del VI secolo d.C.

Fu, quella chiesa, il primo nucleo di un importante complesso monastico, le cui parti giunte fino a noi rappresentano una delle testimonianze più antiche di architettura sacra nel Mezzogiorno, il cui valore è accresciuto dallo stato di ottima conservazione dell’importante ciclo di affreschi di gusto bizantino. 

L’antica abbazia, che è una basilica minore, sorge sul versante occidentale del Monte Tifata, nel territorio di Sant’Angelo in Formis, frazione del Comune di Capua,  da cui dista esattamente quanto da Santa Maria Capua Vetere, ovvero la Capua più antica. E dal grande piazzale antistante la chiesa si gode un magnifico panorama della Capua di oggi.

Il primo documento sulla chiesa risale alla prima metà del X secolo, quando l’allora vescovo di Capua, Pietro I, concesse il possesso ai monaci benedettini di Montecassino di quella che veniva letteralmente citata come la chiesa di San Michele arcangelo ad arcum Dianae, denominazione presente in tutti i documenti coevi, con un chiaro riferimento al tempio preesistente. In seguito, al posto dell’arco comparvero le formule ad Formas e poi in Formis, la cui etimologia si è prestata a varie interpretazioni, tuttora discordanti. C’è vi ha letto un significato teologico, identificandolo con l’aggettivo “spirituale”, e chi, invece, ha fatto risalire tutto alla “forma”, cioè ad un acquedotto di cui vi sarebbero diverse tracce nella zona. 

Dal punto di vista storico, nel 943 il discusso vescovo di Capua Sicone riprese il possesso della chiesa estromettendo i monaci, che si appellarono al papa  Marino II, il quale gliene concesse la restituzione. Nel 1065 il principe di Capua e conte di Aversa, il normanno Riccardo Drengot, uomo violento che desiderava fare ammenda dei suoi peccati, ottenne la chiesa per costruirvi un cenobio, a cui in seguito cedette altre sue numerose proprietà. Nel 1072 decise poi di trasferire tutti gli edifici e i benefici collegati al potente abate di Montecassino Desiderio, futuro papa Vittore III dal 1086.