La forma del dolce frutto ricorda vagamente una colomba. E giustifica ampiamento il nome “Palommina” della varietà nettamente prevalente tra i castagni che popolano i boschi di Montella.
Il rigoroso disciplinare di produzione prevede che debbano appartenervi il 90 per cento dei castagni nella zona tutelata dall’Igp, mentre la parte restante appartiene alla varietà “Verdole”. Insieme, le due specie di castagni contribuiscono al paesaggio del Terminio-Cervialto, terra d’origine della castagna di Montella, un’eccellenza nazionale che affonda le sue radici nella storia. Perché i castagneti crescono tra i monti dell’Irpinia da almeno venticinque secoli, favoriti dal terreno e dal clima. A cui si è aggiunta nel tempo la cura dell’uomo, prescritta già in epoca longobarda, quando la disponibilità di farina di castagne e il suo lungo periodo di conservazione risultavano molto utili durante i non rari assedi.
Fresche, secche, essiccate e tostate per farne le “castagne del prete” natalizie, trasformate in deliziosi marrons glacées o in farina per il castagnaccio, in purea o in confettura, a Montella ne ricavano anche un ottimo liquore e un tipico pantorrone.
Altri centri di produzione della Castagna di Montella sono Bagnoli Irpino, Cassano Irpino, Nusco, Volturara Irpina e Montemarano.
Più grande, ideale per il consumo fresco e i marrons glacèes, è la castagna di Serino Igp, dalle varietà “Verdole” e “Montemarano”. Si coltiva nell’alta valle del Sabato e sui Picentini, dove fu introdotta dai Benedettini tra il XII e il XIII secolo.
___