Lo avevano verificato anche le popolazioni antiche, quanto fosse fertile quella terra. Una folta vegetazione raggiungeva la sommità frastagliata dell’altura e rigogliosi vigneti la fasciavano nella parte più bassa, alternandosi poi a uliveti, frutteti e coltivazioni estensive nella piana circostante, fino al mare. Nessuno immaginava, allora, che quella fertilità fosse conseguenza della natura vulcanica del monte e dei materiali che le sue remote eruzioni avevano depositato in abbondanza sul terreno. Una situazione che la prima, grande eruzione storica del 79 d.C., stravolse in poche ore. E la stessa sequenza, tra fase generativa e fase distruttiva, si è riproposta da allora altre numerose volte, con importanti effetti e conseguenze sulla flora vesuviana. Questa, distrutta in modo più o meno esteso durante i periodi di attività del vulcano, ha poi riconquistato progressivamente i suoi spazi precedenti, anche con l’ausilio dell’uomo, che ha provveduto a ricostituire il patrimonio verde e introdotto nuove specie. E infatti attualmente nell’area del complesso vulcanico compresa nel Parco Nazionale del Vesuvio si contano oltre settecento specie (per l’esattezza 744) di cui, però, solo una minima parte, appena quindici, sono endemiche. Ė il caso perfino di una rarità botanica come la Silene giraldi, la cui presenza, a parte il Vesuvio, è segnalata altrove solo sulle isole di Ischia e Capri.
Il Monte Somma, dove si registra una maggiore percentuale di umidità, è popolato da boschi misti di castagno, roverella, ontano napoletano, leccio, acero napoletano e robinia. E la betulla, decisamente rara in un ambiente mediterraneo.
Sul Vesuvio, più arido e più esposto al sole, sono state impiantate delle pinetine, ma è la macchia mediterranea preesistente a risultare prevalente, anche per la vicinanza al mare, con mirto, corbezzolo, alloro, viburno e rosmarino. Oltre ad una presenza importante di leccio.
Molto diffusa nelle aree interessate dalle eruzioni più antiche è la ginestra e ben 19 specie di orchidee tutelate dalla Convenzione di Washington e il centranthus ruber, la valeriana rossa. Non mancano l’Helicrisum o elicriso, l’Artemisia campestris o artemisia,o Romice rossa e il cisto, Nella Valle del Gigante permane un boschetto di betulle (Betula pendula), che è un relitto dei boschi mesofili prevalenti quando il clima era più umido di quanto non sia oggi.
Le lave dell’ultima eruzione del 1944 sono ancora aride, fatta eccezione per lo Stereocaulon vesuvianum. il lichene d’argento che è la prima specie a ricrescervi.Specie pioniera per eccellenza, la ginestra cresce sul Vesuvio con varie specie, tra cui la ginestra odorosa, Spartium junceum, il Cytisus scoparius, la Genista tinctoria e la Genista aetnensis, introdotta dall’Etna che si è poi notevolmente diffusa nella Valle dellì’Inferno e nell’Atrio del Cavallo. Sono ben duecento le specie di funghi, tra cui alcune molto rare, che vivono sulle lave ancora relativamente recenti. Come erano conosciuti anche dai Romani, i suoli alle pendici del vulcano molto ricchi di minerali, soprattutto potassio, risultano molto favorevoli per la vite, che da duemila anni resta la coltura più importante. Caratteristici vitigni sono Piedirosso e Falanghina a bacca rossa e Coda di Volpe a bacca bianca, che non a caso in zona è noto come “caprettone”. Varietà che con altre, sempre locali, sono utilizzate per la produzione del vino vesuviano Doc, il Lacryma Christi.
Le campagne vesuviane sono rinomate per i frutteti, a cominciare dalle albicocche di varie qualità, e poi fichi, gelsi bianchi e neri, melo, ciliegio, pesco, noci e nocciole. Famosi anche i pomodorini del Vesuvio, ideali per la conservazione nei tipici “piennoli”, oltre ad ortaggi come friarielli, fave e finocchi.
Ph:@Angelo Ammendola/Archivio Parco Nazionale del Vesuvio
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