La grande montagna coperta di vegetazione che s’innalzava solitaria nella fertile pianura, era da sempre una presenza familiare. Per la sua conformazione particolare, con i profondi valloni che le solcavano i fianchi e la sommità smozzicata, lasciava immaginare un’origine molto antica. E da tempo immemorabile, infatti, contribuiva all’armonia del paesaggio che faceva corona alla città di Pompei in continua espansione, verso l’interno, con i suoi sobborghi agricoli che arrivavano alle pendici del monte, e fino al mare, dove l’insediamento si estendeva sempre più lungo la costa. Per i patrizi romani erano terre ideali in cui investire le loro ricchezze in sontuose ville d’otiumrivolte verso il mare o nelle ville rusticae nella campagna, che assicurava ottimo vino, olio squisito, frutti copiosi e ortaggi saporiti. Una condizione ideale, fin quando la terra non aveva violentemente tremato in quell’anno 62 d.C., sconvolgendo la vita a Pompei e nelle località vicine. Ma anche allora nessuno aveva mai pensato che quel fenomeno potesse essere collegato alla montagna dominatrice del paesaggio.
Il pacifico Somma dal remoto passato turbolento nella pianura di Pompei
Pacifica e innocua. Tale era apparsa ai gruppi di Osci, che nel IX secolo a.C. avevano cominciato a prendere possesso di quel territorio in posizione strategica vicino al mare e alla foce del Sarno. E anche in seguito, nessun fastidio ne avevano avuto i Greci, gli Etruschi e i Sanniti, che lì si erano insediati, prima che Pompei diventasse città romana. Nessun popolo italico né i colonizzatori ellenici potevano avere memoria della vera natura di quel gigante o conoscenza delle sue molto più remote turbolenze. Perché non era un “semplice” monte, il Somma, bensì un vulcano, con circa 24mila anni di storia in una zona dove i fenomeni vulcanici avevano iniziato a rivelarsi più di 370mila anni prima.
Da giovane, il Somma era stato molto più alto di come lo avevano conosciuto in seguito gli abitanti dei suoi dintorni: raggiungeva i 1600 o 1800 metri, forse anche di più. Ma delle violente eruzioni lo avevano squassato e ridimensionato, modificandone progressivamente l’aspetto. Tre erano stati gli eventi decisivi, tutti corrispondenti a eruzioni pliniane, dunque esplosive e con espulsione di lava molto viscosa. La prima, risalente a 18mila anni fa, nota come eruzione delle Polveri di Base, provocò già una riduzione dell’altezza di circa 200 metri. La seconda, l’eruzione delle Pomici di Mercato, verificatasi 8mila anni fa, abbatté altre parti della sommità. La terza, l’eruzione delle Pomici di Avellino, che 3400 anni fa scaraventò quantità incredibili di pomici e ceneri vulcaniche fino all’attuale Avellino, distruggendo comunità riconducibili alla Cultura di Palma Campania, fece collassare la parte sud occidentale del vulcano, creando un’ampia caldera. Tutti eventi che cronologicamente avevano preceduto di molto la presenza umana nella pianura circostante. Una lunghissima fase di quiescenza, poi, aveva presentato per oltre nove secoli agli abitanti della zona una “normale” montagna alta circa 1200 metri e dalla forma particolare, con una grande apertura sul versante sud. Quello che era stato devastato dall’eruzione delle Pomici di Avellino.
L’eruzione che cambiò la storia
Il terremoto del 62 aveva provocato danni ingentissimi a Pompei. E messo in ginocchio l’economia della città, che aveva impiegato parecchio tempo a riprendersi. C’era da affrontare, infatti, una complicata e costosa ricostruzione, che era ancora in corso il quell’anno 79 d.C., destinato a diventare una pietra miliare nella storia.
Le prime avvisaglie erano state diverse scosse di terremoto nei giorni precedenti, ma nessuno le aveva collegate al monte verdeggiante. Tutto cambiò bruscamente quando dall’interno dell’altura si generò una gigantesca esplosione che provocò una pioggia di pomici e la comparsa di una immensa colonna di materiali, alta quaranta chilometri. Il disastro colse alla sprovvista i pompeiani e gli abitanti delle località vicine. La grande quantità di pomici sommerse ogni cosa, determinando crolli delle strutture in cui tante persone avevano cercato riparo e rifugio. E in seguito, dalla colonna si svilupparono i venti ardenti delle correnti piroclastiche che, viaggiando a una velocità di 100 chilometri all’ora, con temperature di centinaia di gradi cancellarono ogni forma di vita anche a Ercolano, Stabia, Oplontis e lungo la costa.
Una catastrofe naturale senza precedenti nella storia. Verificatasi, secondo quanto si era tramandato per secoli, il 24 agosto. Data che si era evinta dalla lettera con cui Plinio il Giovane aveva raccontato a Tacito il cataclisma che aveva ucciso anche lo zio Plinio il Vecchio. Una cronologia che la ricerca archeologica ha messo recentemente in discussione, spostando l’eruzione di un paio di mesi al 24 e 25 ottobre. Infatti, le trascrizioni della lettera in epoca medievale recano date differenti, ma non vi sarebbero ormai dubbi che fosse già autunno quando il vulcano mostrò la sua vera natura.
Il nuovo Vesuvio all’interno del vecchio Somma
L’eruzione pliniana che cambiò volto ad una vastissima area, non modificò la struttura del vecchio Somma. Ma all’interno della sua caldera s’innalzò un nuovo cono vulcanico, che sarebbe stato identificato da allora proprio come il Gran Cono del Vesuvio. Un esempio di quello che i geologi chiamano vulcano a recinto, formato da un edificio esterno ormai spento con una cinta craterica in parte crollata, all’interno della quale è presente un altro vulcano, attivo. Ingrandito e modellato fino alla sua inconfondibile forma attuale dalle numerose eruzioni successive, subpliniane, in quanto di intensità inferiore a quella di epoca romana. In particolare, l’eruzione del 1036si distinse per la prima volta per l’emissione di lava. Seguì dal XIII secolo un periodo di quiescenza, interrotto nel 1631. Quando una violentissima eruzione esplosiva si verificò il 16 dicembre, formando una bocca nuova sul versante sud-orientale.
La fase di attività a seguire fu segnata da varie eruzioni. Numerose furono quelle, anche effusive, che contrappuntarono l’Ottocento, facendo aumentare di volume e alzando l’altezza del Gran Cono. Lo stesso avvenne nel Novecento. Un’ultima grande eruzione effusiva si verificò tra il 16 e il 29 marzo del 1944 e fu fotografata a beneficio dei posteri dai soldati americani presenti a Napoli.
Il complesso vulcanico Somma-Vesuvio ora
Il Monte Somma come lo vediamo oggi è sostanzialmente quello che osservavano anche gli abitanti di Pompei prima del 79 d.C. Nel punto più alto della sua cresta, Punta Nasone, raggiunge i 1132 metri. Le altre protuberanze della cresta sono note come Cognoli. Alla base, il suo diametro è di ben 15 chilometri. All’interno della caldera s’innalza per 1277 metri il Gran Cono del Vesuvio, con la sua caratteristica forma tronco-conica e il cratere dal diametro di 500 metri e profondo 230. A separare il vulcano spento più antico dal giovane ancora attivo è la Valle del Gigante, dove si distinguono a est la Valle dell’Inferno, teatro dell’ultima eruzione del 1944, e a ovest l’Atrio del Cavallo. Nella caldera condivisa si trovano le diverse bocche eruttive delle colate degli ultimi secoli. Il Somma e il Vesuvio condividono anche la stessa camera magmatica, che si trova a circa 8-10 km di profondità e si estende per circa 400 km quadrati.
Un grande complesso vulcanico che racchiude ben 230 specie di minerali, tra le quali 62 sono tipiche e 6 esclusive del luogo. Una meraviglia della natura che è anche uno dei simboli della Campania, elemento costitutivo del paesaggio e dell’immagine di Napoli conosciuta e immediatamente identificata ovunque nel mondo.
Ph:@Angelo Ammendola/Archivio Parco Nazionale del Vesuvio
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