In quell’anno 1884 la città viveva uno dei suoi periodi storici più oscuri. La violenta epidemia di colera che aveva investito gran parte della Penisola, aveva colpito duro in città, facendo registrare quasi ottomila morti.
Un triste record, legato alle pessime condizioni igieniche in cui versava soprattutto il centro storico cittadino, che proprio in quegli anni aveva conosciuto un’esplosione demografica, a fronte di un patrimonio abitativo assolutamente insufficiente e inadeguato ad accogliere tanti residenti. La crisi sanitaria aveva evidenziato la mancanza di impianti fognari, la carenza di reparti dedicati alla cura delle malattie infettive negli ospedali e, soprattutto, l’invivibilità dei “bassi” superaffollati nei quartieri del centro, in cui si concentrava la maggioranza della popolazione.
Ad affrontare l’emergenza in prima fila, come sindaco della città eletto l’anno precedente, c’era Nicola Amore, già deputato del Regno in varie legislature, capo della Polizia del governo Ricasoli, magistrato e penalista di fama. Fin dal suo insediamento, si era dedicato a dotare Napoli di fognature e di altri servizi essenziali per migliorarne la vivibilità. Un programma che la crisi sanitaria rendeva ancora più urgente, come emerse chiaramente in occasione della visita del re Umberto I, accompagnato dall’allora presidente del Consiglio Agostino Depretis, che Amore condusse a visitare il malsano centro storico, per il quale la giornalista e scrittrice Matilde Serao aveva coniato la definizione di “ventre di Napoli”, titolo del suo nuovo romanzo pubblicato proprio in quel difficile anno.
Per l’impegno profuso nell’emergenza, il 26 novembre 1884 Amore tornò a sedere in Parlamento come senatore. Un ruolo che, con la sua lunga esperienza parlamentare, fu decisivo per l’approvazione nel 1885 della cosiddetta “legge speciale per Napoli”, grazie alla quale il sindaco poté avviare la fase del Risanamento, portata avanti per tutta la durata della sindacatura, nonostante ostacoli e difficoltà.
Tra le opere salienti del Risanamento, vi fu lo sventramento di ampie parti dei quartieri meno salubri e più affollati: Porto, Pendino, Vicaria e Mercato. Una vera e propria rivoluzione urbanistica, che sacrificò anche edifici storici di valore per guadagnare spazio a strade più ampie e nuove costruzioni. Fu allora che piazza Bovio fu collegata alla stazione di piazza Garibaldi con la realizzazione del nuovo corso Umberto I, che i napoletani ribattezzarono Rettifilo.
Lungo il corso Umberto, all’incrocio con via Duomo, uno dei cardini della città antica prolungato proprio dal Risanamento fino al mare, fu allargata e completamente rifatta la preesistente piazza della Sellaria, abbellita dall’omonima fontana che fu trasferita nella piazzetta del Grande Archivio, dov’è ancora oggi. La nuova piazza, molto più ampia, fu caratterizzata dalla presenza di quattro, imponenti palazzi gemelli, in stile neorinascimentale, che presentano ciascuno, ai lati dell’ingresso, due coppie di possenti telamoni. Per queste caratteristiche, la piazza fu identificata subito dai napoletani come i “Quattro palazzi”.
Ufficialmente, la prima intitolazione, decisa nel 1891, fu piazza Agostino Depretis. Nel frattempo, dopo essere stato sconfitto alle elezioni del 1889, Amore si era ritirato, profondamente deluso, a vita privata. Morì nel 1994 e a lui fu dedicata una centralissima strada cittadina. Ma nel 1904, il Comune decise uno scambio di nomi, attribuendo alla piazza quello di Nicola Amore e di Agostino Depretis alla strada già dedicata al sindaco. Nell’occasione, fu inaugurata la centro della piazza una statua di marmo di Nicola Amore opera dello scultore Francesco Jerace. La statua fu trasferita nel 1938 in piazza Vittoria, dove si trova oggi, per evitare intralci alla parata navale organizzata per la visita di Hitler il 5 maggio.
La piazza, che ospita la stazione “Duomo” della linea 1 della metropolitana progettata dall’architetto Massimiliano Fuksas, è ancora interessata dai lavori per la realizzazione della struttura centrale che valorizzerà gli importanti ritrovamenti archeologici.
Il sito archeologico: il santuario dei Giochi Isolimpici
Fin dai lavori di fine Ottocento erano emerse testimonianze inequivocabili della presenza di importanti vestigia greco-romane nel sito della nuova piazza dei quattro palazzi. Lo scavo per la metropolitana ha confermato e ampliato le evidenze ottocentesche, ricostruendo l’antica storia del luogo e restituendo pregevolissimi reperti.
I resti più antichi sono di un edificio del IV-III secolo a,C. e di una strada coeva. Al II secolo a.C. appartengono parti del porticato e numerosi elementi architettonici del Ginnasio, dove si svolgevano gare sportive e artistiche. Sono stati rinvenuti anche i resti di un’area rituale e uno scarico con numerosi oggetti votivi.
Era l’anno 2 d.C. quando, per volontà dell’imperatore Augusto, Napoli ospitò la prima edizione degli “Italikà Romaia Sebastà Isolympia”, comunemente definiti “Sebastà”. La scelta della città era legata alla sua profonda cultura greca, rimasta intatta, compreso l’uso della lingua, anche in epoca romana. Come spiegava il nome, si trattava di giochi ispirati a quelli di Olimpia, con l’aggiunta alle numerose gare sportive, anche di gare artistiche, di musica, teatro e poesia. Si svolgevano ogni cinque anni per cinque giorni, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. I partecipanti arrivavano da ogni parte del Mediterraneo. I vincitori conquistavano corone di spighe di grano e premi in denaro, di maggiore entità per i partecipanti alle gare artistiche. L’imperatore li seguì personalmente fino all’anno 14, pochi giorni prima della sua morte.
Ad Augusto è dedicato il tempio i cui resti sono riemersi dai lavori nella piazza, in corrispondenza della quale si trovava il luogo dove avevano termine le gare. Di grande importanza è stato il ritrovamento di lastre di marmo con tutti i nomi, scritti in greco, dei vincitori delle varie gare dei Giochi, divisi per categorie e discipline.
La stratificazione delle diverse epoche ha restituito anche parti di una fontana marmorea del 1100. I reperti rinvenuti dagli scavi nella piazza sono esposti nello spazio della Stazione Neapolis del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
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