L’Irpinia verde: castagne e nocciole, vini e oli d’oliva e tante altre eccellenze

Una terra generosa, l’Irpinia. Anche nelle zone di montagna, oltre che nei fertili altopiani e sulle colline dove alle produzioni agricole si accompagna l’allevamento allo stato brado di bovini, ovini e caprini lungo percorsi antichi, suggeriti dai cicli della natura. Tante le eccellenze riconosciute a livello nazionale e internazionale, legate ad aziende piccole, spesso familiari, e profondamente radicate sui territori, che della trasformazione artigianale delle materie prime frutto del lavoro quotidiano nei campi, nei pascoli e finanche nei boschi hanno fatto il valore aggiunto di prodotti dal sapore unico. Capace da solo di indicarne e caratterizzarne la provenienza. Il loro primo marchio. Inconfondibile.

L’immagine della verde Irpinia non può non essere associata ai boschi che ne fasciano le alture più imponenti e ne dipingono il paesaggio. I boschi di castagni, che regalano all’autunno i loro frutti rinomati, già in primavera forniscono fioriture abbondanti alle api che ne fanno ottimo miele per le più diverse preparazioni e i più godibili abbinamenti. E già in estate non mancano funghi delle tante specie edibili e sicure tra le oltre centomila presenti nella regione. Da consumare freschi nelle ricette della tradizione o anche secchi. Tutte le specie di porcini, soprattutto,  e i ricercati ovoli. Dal Terminio a Bagnoli Irpino, intorno al Lago Laceno. E Bagnoli può vantare anche il suo tartufo nero Pat, per nulla inferiore alle migliori e più conosciute specie dell’Umbria. 

Sempre Bagnoli lega il suo nome a quello delle pecore “bagnolesi” allevate nel suo territorio nel cuore dei Picentini, dove i pascoli a mille metri d’altitudine offrono erbe molto aromatiche, che si ritrovano nel latto trasformato in pecorino. Tra i prodotti caseari di punta dell’Irpinia, si segnalano ben tre varietà di pecorino corrispondenti ad altrettante razze di pecore dagli areali piuttosto circoscritti. Oltre al “bagnolese”, il Carmasciano, prodotto nella valle D’Ansanto tra Guardia dei Lombardi, Rocca San Felice e Frigento, dove i pascoli – e dunque il latte - risentono della vicinanza del laghetto delle Mefite. E poi il Laticauda, il pecorino dal latte delle pecore dalla “grossa coda”, che sono presenti anche in Irpinia, in piccoli allevamenti collinari. Di latte di pecora prevalentemente, ma anche caprino e vaccino, è la delicata juncata, che si produceva durante le transumanze, utilizzando dei caratteristici cestini di giunchi. 

La produzione lattiero casearia è comunque diffusa quasi ovunque in Irpinia, anche se gli allevamenti ovini e bovini sono concentrati in particolare nelle zone del monte Terminio e del massiccio del Partenio. Dagli allevamenti allo stato brado di mucche podoliche dell’Alta Irpinia, nel territorio dalle colline del Terminio-Cervialto alla Valle dell’Ufita, arriva il latte per il Caciocavallo podolico Pat, nelle versioni dolce o piccante e con vari periodi di stagionatura, anche in grotte naturali, prodotto in quantitativi limitati tra Montella, Aquilonia, Bisaccia, Zungoli e Calitri. Quest’ultima località famosa anche per il suo pane, rigorosamente impastato con lievito madre e cotto a legna. Molto rinomato è anche l’antico pane di  Montecalvo Irpino, di grano duro saragolla. 

Molto ricca è la varietà di salumi, con peculiarità distintive a seconda delle aree di produzione, corrispondenti alle zone di allevamento dei maiali bianchi e neri casertani. In particolare, capocolli aromatizzati e soppressate affumicate e stagionate. Ai piedi del Partenio, Mugnano del Cardinale e l’area baianese si distinguono per il tipico salame Pat,  documentato fin dal Trecento, affumicato con l’uso di bracieri e poi asciugato al vento, che è caratteristico anch’esso in quei luoghi.

Formaggi e salumi dai sapori decisi consigliano vini corposi. Come i rossi nobili dai vitigni che connotano l’importante viticoltura irpina, fin dall’epoca imperiale: Taurasi e Greco di Tufo Docg. E il bianco Docg Fiano di Avellino

Accanto ai grandi vini, l’Irpinia è anche terra di un grande olio extra vergine d’oliva: il pregiato Dop Irpinia-Colline dell’Ufita. E’ l’oro verde dell’Irpinia, prodotto da piccole aziende nel territorio di 38 Comuni della valle e del medio corso del Calore e dell’Arianese, dove i terreni offrono le condizioni ideali, insieme al microclima, per la coltivazione di olivi, in prevalenza della varietà Ravece.

Immancabile come l’olio extra vergine nei grandi piatti della cucina irpina è la cipolla ramata di Montoro Pat, prodotta anche nel territorio di Solofra, dolce e aromatica, da consumare cotta o per farne confetture e conserve. E le colline di  Montoro sono anche patria dei tipici pomodori datterini. 

Le lunghe trecce da appendere per l’essiccazione consentono di conservare perfettamente il pregiato Aglio biancodell’Ufita PAT, figlio del “bianco campano”, ottenuto da semi prodotti nelle aziende agricole che lo coltivano o in semenzai del territorio e raccolto rigorosamente a mano nel mese di giugno.

Al borgo di Quaglietta, dominato dal castello longobardo, nel Comune di Calabritto, appartiene il tipico Peperoncino, nelle due varietà: la papaiola o papazzo, che si conserva sotto aceto e lo Spungulicchio dalla punta piegata, piccante, che si usa per insaccati e come condimento.

Tra i frutti della terra irpina, le ciliegie sono largamente diffuse e  rappresentano un quarto della importante produzione campana. Si distinguono la “Palermitana” di Montoro e Serino, la “Monte” di Baiano, la “Maiatica” di Taurasi e la “Melella” e “San Pasquale” di Ariano Irpino. 

Irresistibili i fichi di San Mango sul Calore Pat. Adattati nei secoli al clima freddo, dalla buccia rossa quando il frutto è maturo e la succosa polpa bronzo scuro, sono ideali anche per conserve o glassati o ricoperti di cioccolato fondente. Si producono anche nelle zone di  Paternopoli (noto anche per i broccoli), Caposele e Castelfranci. Nell’ultimo week end di luglio sono protagonisti di una tipica sagra.

Anche intorno ad Avellino i noccioleti la fanno da padroni, come in tante altre parti dell’Irpinia, che è una grande produttrice di nocciole. Molto ricercate per le loro peculiarità dall’industria nazionale di creme, cioccolate e merendine. Merito delle cultivar regine della corilicoltura irpina, che risale all’epoca romana: la “Mortarella”, medio-piccola e marrone chiara; la “Camponica”, tipica di Avellino, e la” San Giovanni”, friabile e aromatica.

E le nocciole con il miele sono gli ingredienti base del “cupeto”, il torrone, che nelle sue varianti territoriali è tra i dolci tipici di tante località irpine. Uno dei centri di produzione principali è Dentecane, frazione di Pietradefusi, con i suoi torronifici. Per antica tradizione, i pellegrini in visita al Santuario di Montevergine consumavano il torrone e infatti è molto rinomato quello del vicino borgo di  Ospedaletto d’Alpinolo. Ce n’è una versione dura e una morbida, molto diffusa in Irpinia con il nome di pantorrone, per l’aggiunta agli ingredienti consueti di Pan di Spagna bagnato con rhum e liquore Strega. Una variante è lo Spantorrone di Grotta, originario di Grottaminarda nella valle dell’Ufita, dolce particolarmente friabile, che al taglio si divide in scaglie.

Castagne e marroni

La forma del dolce frutto ricorda vagamente una colomba. E giustifica ampiamento il nome “Palommina” della varietà nettamente prevalente tra i castagni che popolano i boschi di Montella. Il rigoroso disciplinare di produzione prevede che debbano appartenervi il 90 per cento dei castagni nella zona tutelata dall’Igp, mentre la parte restante appartiene alla varietà “Verdole”. Insieme, le due specie di castagni contribuiscono al paesaggio del Terminio-Cervialto, terra d’origine della castagna di Montella, un’eccellenza nazionale che affonda le sue radici nella storia. Perché i castagneti crescono tra i monti dell’Irpinia da almeno venticinque secoli, favoriti dal terreno e dal clima. A cui si è aggiunta nel tempo la cura dell’uomo, prescritta già in epoca longobarda, quando la disponibilità di farina di castagne e il suo lungo periodo di conservazione risultavano molto utili durante i non rari assedi. 

Fresche, secche, essiccate e tostate per farne le “castagne del prete” natalizie, trasformate in deliziosi marrons glacées o in farina per il castagnaccio, in purea o in confettura, a Montella ne ricavano anche un ottimo liquore e un tipico pantorrone.

Altri centri di produzione della Castagna di Montella sono Bagnoli Irpino, Cassano Irpino, Nusco, Volturara Irpina e Montemarano. 

Più grande, ideale per il consumo fresco e i marrons glacèes, è la castagna di Serino Igp, dalle varietà “Verdole” e “Montemarano”. Si coltiva nell’alta valle del Sabato e sui Picentini, dove fu introdotta dai Benedettini tra il XII e il XIII secolo.

 

La ricetta

Baccalà alla pertecaregna

Una ricetta di pesce della cucina contadina irpina, un piatto della tradizione frequentato soprattutto in prossimità delle feste importanti dell’anno. Bisogna prima lessare il baccalà precedentemente ammollato. Poi si prepara un soffritto di aglio con abbondante olio extra vergine d’oliva e si fa dorare l’aglio, che va tolto prima di spegnere il fuoco. Si immergono dei peperoni cruschi secchi, dopo aver eliminato il picciolo e parte dei semi. Basta farli cuocere per qualche secondo e fare attenzione a non bruciarli. Si tolgono e si mettono da parte a raffreddare. Nell’olio dei peperoni si mette il baccalà e si riscalda, avendo cura di  non farlo friggere. Si impiatta il baccalà con il condimento e si completa con i peperoni cruschi.