Il mio amico Marco Cortese, architetto, fotografo, designer e creativo ha deciso - da un po’ di tempo in qua – di lasciarci una traccia identificativa del suo multiforme percorso stilistico.
Lo considero un ulteriore esercizio di maturità e consapevolezza «in progress». Di cosa si tratta? È la scrittura chirografica di un testo composto con inchiostro di china su una pagina di carta velina, pregiata come un’ostia, poi ripiegata su sé stessa come se fosse una busta senza indirizzo, avvolta all’apice da un sottile nastro annodato.
Non è una missiva e non contiene una lettera, perché l’involucro è il messaggio presunto, ed è tout court la lettera intesa come una probabile narrazione di sé. È una tessera, decifrabile solo in parte, di un’autobiografia? Di una citazione? Di un distillato filosofico? Dal controluce non è svelata, non ce n’è bisogno, e dichiara però la sua definizione che deve bastarci: «Trasparenza».
È racchiusa all’interno di una teca di vetro: sembra così trasformarsi in un frammento poetico barocco. Ed è un’icona, un idolo leggero che sta al centro del mondo, è il frutto e la testimonianza di una presenza umana che si specchia e dialoga con l’oltre di cui è una filiazione, annunciando la conversione possibile. In carne o luce? Non lo sapremo.
Ma sta lì con naturalezza.
Di fronte a questo spazio che si irradia e conquista,
e corrompe concettualmente l’attenzione dello spettatore/attore c’è una enorme stampa digitale, larga 230 centimetri e alta 155: è la foto delle grandi ed esotiche felci che spuntano da secoli nel castagneto fitto che domina, dall’alto delle colline di Pera di basso, la costa di Casamicciola. Il nome dell’immagine è Folium, e dà il titolo all’intera installazione, che si completa con un loop di fotografie boschive che si ammirano in sequenza su una parete laterale.
Tutto questo è – in parte – la rappresentazione dell’ultima personale di Marco Cortese, ospitata fino a Pasqua a Piazza degli Eroi nell’Atelier delle Dolcezze di Giovannangelo De Angelis. È la punta di un compasso che delinea un habitat di cioccolati supremi, torte ed eco-gelati visionari, e intende – non silenziosamente - fare leva sulla condivisione di un impulso necessario da mettere al centro del disegno: «Rivendichiamo la bellezza della nostra Natura, dichiariamo il nostro amore per l’isola». Categoricamente.
Ed esaminando però con passione i dettagli di foglie, arbusti, tronchi, rami, licheni, filtrazioni solari, spiritelli umbratili, profumi muschiati, nebbioline termosensibili, nel giocoso ed erotico variarsi del verde che è il colore – dimenticato? - di Ischia, la più bella. Su, andiamo in giro, muoviamo le zampe, e lo capiremo in fretta.
Non a caso «Folium», nel giorno dell’inaugurazione, si è fatta pure golosità estetica ed etica: agli ospiti è stato offerto un assaggio di Ombelico di Venere (Umbilicus Rupestris), un nuovo gusto di gelato studiato per l’occasione dalla Borsa Verde 3.0. Di questa piccola pianta che è ornamento spontaneo e commestibile tra rocce e parracine, sono state utilizzate le foglie carnose, scelte una a una.
È stata una sfida curiosa, ma non troppo.
Una sfida ben calibrata sulle scelte dell’artista, in assoluta controtendenza con i tempi – questi – oleosi, beceri e senza promesse dolci, ma con un’infinità di scorie frullate di cretineria, spacciate per socievolezza digitale.
«Io ritraggo persone e architetture. Questo è un progetto che è nato ben prima del lockdown e del Covid – spiega Marco – ed è una risposta a tanto cattivo gusto che si vede in giro. È in contrasto con l’arroganza e l’ignoranza imperante. Ho sentito il bisogno di azzerare tutto e di ripartire dalla Natura. Che poi alla fine rimane l’architettura più bella in assoluto».
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